di Raffaele Romano
Nel mentre veniamo bombardati da giorni di “notizie” o presunte tali su Matteo Messina Denaro e sulle quali ci riserviamo di intervenire dopo che sarà passata l’ubriacatura passa, come al solito, quasi sotto silenzio una bruttissima vicenda che riguarda la conferma, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno, del totale allineamento ideologico di taluni sedicenti partiti alle procure, in particolare del partito democratico e dei 5 stelle.
La pessima notizia, augurandoci che non sia vera, riguarda Fabio De Pasquale in compagnia, questa volta, di Sergio Spadaro che, nel frattempo e tanto per gradire, esercita le sue funzioni presso la procura europea.
Orbene il dr. De Pasquale cosa avrebbe fatto?
Il De Pasquale, insieme allo Spadaro, avrebbe nascosto prove potenzialmente favorevoli alla difesa, nel processo che vedeva imputato l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi, poi assolto come tutti gli altri imputati in un processo che diventerà uno dei più grandi errori della procura milanese.
Secondo “Il Riformista” e secondo la ricostruzione ribadita fatte ieri in aula, i due pm milanesi rinviati a giudizio non vollero “volontariamente” depositare alle difese prove favorevoli agli imputati nel processo sulla vicenda nigeriana raccolte dal pm Paolo Storari, che invece stava indagando sul fascicolo parallelo, quello del cosiddetto “falso complotto”.
Sempre nell’ambito di un’altra inchiesta sull’Eni, quella volta su Eni-Sai, De Pasquale fece arrestare l’allora presidente della compagnia petrolifera, Gabriele Cagliari. Dopo quattro mesi di carcerazione preventiva, il 15 luglio 1993, Cagliari rilascia l’ennesimo interrogatorio e chiama in causa l’ex segretario del Psi Bettino Craxi, negando però di essere a conoscenza di una tangente per l’accordo fra Eni e Sai. Secondo quanto riferì, a suo tempo, l’avvocato D’Aiello, difensore di Cagliari, al termine dell’interrogatorio De Pasquale promise che avrebbe chiesto la certa scarcerazione del Cagliari ed inviarlo agli arresti domiciliari tanto aveva ottenuto la “libera confessione”, come si usava all’epoca e come ricorderà l’ambasciatore USA a Roma Reginald Bartholomew ai 7 anonimi magistrati italiani convocati a Villa Taverna per le clamorose violazioni dei diritti delle difese degli imputati nei processi di mani pulite.
Allo stesso modo una decina di anni indietro Lucio Di Pietro “nomen omen” e Felice di Persia carcerarono Enzo Tortora sotto una valanga di accuse da parte di falsi pentiti. I due furono capaci di emettere la bellezza o, in questo caso, la bruttezza di 855 ordini di cattura incappando in 266 errori di persona. Qualcuno ha pagato qualcosa? Assolutamente no! Anzi qualcuno ha fatto carriera diventando, pochi anni fa, procuratore a Salerno.
Ovviamente siamo per la presunzione di innocenza fino a che non sia stabilita una condanna anche per i giudici. Ma le storie insegnano che nel frattempo le vittime di provvedimenti giudiziari sono state messe nelle condizioni di perdere l'onore, la libertà e anche la vita.







