Articolo di Antonio Foccillo
Voglio ricordare alcuni avvenimenti fra i tanti che, in Italia, hanno condizionato la politica e i suoi uomini e in particolare: il crollo del muro di Berlino; Tangentopoli; i governi di centro destra, guidati da Berlusconi; la sua sostituzione con Monti.
Dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dei regimi comunisti in Europa orientale, le democrazie liberali hanno subito le trasformazioni imposte dalla globalizzazione e dell’intervento della finanza nell’economia e successivamente la Pandemia e le guerre hanno destabilizzato le certezze su cui si fondava l’Occidente e oggi quindi si deve andare alla ricerca di altri ideali e valori utili e necessari per regolare la convivenza civile e l'impegno politico.
Successivamente, in Italia, l’operazione “mani pulite” che portò alla fine della Prima Repubblica, ha spazzato via gran parte della classe politica di allora non solo con gli arresti, ma anche con molti suicidi di chi si riteneva accusato ingiustamente. Questi sono anni difficili, bastava un avviso di garanzia e la campagna mediatica lo faceva diventare già una condanna. Da quel momento nella politica italiana comincia una processo di rinnegamento delle proprie radici e di camuffamenti, cambiamento dei nomi dei partiti per nascondere il proprio passato. Così facendo si consegna il popolo italiano a partiti e movimenti senza storia e tradizione e contemporaneamente nelle mani di alcuni, già mezze figure di quella classe politica di allora.
L’avvento del primo governo di centro destra, guidata da Silvio Berlusconi ha portato il Paese a una condizione in cui prevalsero più gli scontri fra diverse tifoserie che la mediazione e questo fece avviare quel processo di astensionismo, che a ogni elezione aumenta sempre più. Cominciarono le esagerazioni da parte degli esponenti del Pds, il quale ha cambiato poi varie volte nome, con gli slogan: è in crisi a democrazia, i fascisti al governo, va difesa la Costituzione.
Altro momento di forte tensione è quando, nel 2011, Berlusconi fu costretto a dimettersi, su pressione dei mercati e di due governi stranieri. Dopo un po’ di anni si verrà a sapere che la sua defenestrazione è stato un vero e proprio “golpe”. Egli fu sostituito da Monti. Da quel momento nacque un’alternanza, anche se con durata diversa, fra governi di centro destra, governi tecnici e governi di centro sinistra. Inoltre, la classe dirigente della Prima Repubblica fu sostituita da una che condivise e accettò i dettami della finanza internazionale e del neo liberismo, facendo venire meno garanzie, tutele e diritti.
In fondo, la situazione attuale in Italia non appare molto diversa da quella con cui Cicerone, all’indomani della morte di Cesare, invocava il ritorno alle istituzioni repubblicane. “Tornato precipitosamente dall’esilio, abbandonato il proposito di tenersi lontano dalla politica, l’ormai anziano oratore si getta a capofitto nel conflitto politico apertosi dopo le Idi di marzo. Vincendo lo sgomento seguito all’assassinio di Cesare, finisce col giustificare la congiura di Bruto e col legittimare il tirannicidio. Invoca i congiurati a prendere il potere e a ristabilire la legalità, e infine si appella al popolo romano per restaurare la gloriosa repubblica. Dopo il primo entusiasmo, l’Arpinate guarda, infatti, la scena che Roma gli offre, e si accorge improvvisamente che nulla è più come lo ricordava, che la Roma repubblicana – con i suoi miti, i suoi eroismi, la sua coesione – è tramontata per sempre. Soprattutto, si rende conto che neppure l’uccisione di Cesare, neppure la soppressione del tiranno, neppure l’eliminazione di quel nemico giurato della libertà, può ridare la vita a una repubblica priva ormai delle sue stesse basi. Ma, una volta preso atto dell’impotenza, l’unica soluzione – per Cicerone, può consistere solo nel rimpianto dello spirito perduto e nella condanna moralistica dei tempi nuovi. E deve ammettere che nessuno in questa città degenerata persegue onestamente l’idea di libertà. Rincorrono tutti il potere o il benessere, l’assassinio di Cesare è stato inutile, tutti litigano e mercanteggiano e ambiscono solo ad accaparrarsene l’eredità, il denaro, le legioni, il potere, alla continua ricerca di vantaggi e profitti – ma solo per se stessi, non per l’unica santa causa: la causa romana”[1].
La mia non è una esagerazione ci sono tante analogie con quel tempo.
Inizia, dal governo Berlusconi in poi, una fase in cui prevalgono interessi personali, contrapposizioni fortissime e lo scontro nel Paese vive essenzialmente di odio reciproco. Tutto questo è alimentato anche dalla nascita di varie formazioni politiche, che dall’opposizione si trovano a governare, quindi senza cultura di governo, non fanno altro che vedere nemici negli antagonisti politici e mantengono questa situazione di divisione, accentuandola sempre più.
Di fronte alla drammaticità di questa situazione, c’è bisogno di ritrovare il gusto di una nuova battaglia ideale e politica per ripristinare le condizioni in cui il cittadino si senta realmente cittadino e non suddito e la politica ridiventi Politica.
Per questo, senza voler volgersi al passato, ma individuando una nuova funzione con i valori sì del passato, bisogna ricreare una nuova condizione di una cultura politica e di governo della sinistra, visto che la destra oggi ha vinto e non ha alternative.
In questi decenni la sinistra ha perso proprio quel ruolo di rappresentare l’emancipazione delle persone, quelle più in difficoltà, i loro bisogni, la solidarietà e la coesione.
Allora, se chi come me che non rinnega la sua appartenenza al socialismo e non vuole vivere soltanto nel ricordo del passato, sia ancora più convinto che si debba riprendere un’opera di formazione valoriale, con azioni o con parole, per ridare centralità alla solidarietà, alla coesione, all’uguaglianza, alla libertà e alla tolleranza, alla cultura del dialogo, con idee e valori che puntino al rispetto del pensiero altrui.
Qualcuno potrebbe chiedere perché farlo? Perché, bisogna riaprire la discussione sulla politica e sui partiti, che debbono riappropriarsi della loro storia e della loro cultura. Ma oggi quelli che rappresentavano la Prima Repubblica sono quasi tutti privi di capacità di rappresentanza e rappresentatività, pertanto, vanno rilanciati con i valori che si debbono riscoprire nelle nostre radici democratiche e solidali.
Bisogna che la sinistra, se vuole uscire dalla sua morta gora, deve riscoprire quella politica del socialismo democratico, della laicità e del Repubblicanesimo e deve riprendere nella società una battaglia per affermare, ancora una volta i contenuti di un modello di società, dove sono tutelate le persone e i diritti di cittadinanza in tutti i suoi aspetti: dal diritto al lavoro alla sua sicurezza, dalla sicurezza sociale e personale, dal ripristino di un potere di acquisto a un fisco impostato non sui condoni ma in funzione solidaristica di ridistribuzione della ricchezza. Come pure deve proporre in un programma di governo la soddisfazione di necessità materiali quali: occupazione duratura, casa, reddito, salute, educazione.
Urge instaurare un agire politico il cui obiettivo consiste, innanzitutto nella cura primaria degli interessi collettivi, coordinati in sede nazionale, sulla base di una gerarchia di valori, che determina quali sono quelli più urgenti e quelli rinviabili con l’ottica di salvaguardare l’intero sistema Paese.
Ne vogliamo parlare? E quando? Da uno che non ha mai abbandonato o rinnegato la sua cultura e la sua militanza socialista, viene la proposta di cominciare a incontrarsi e riconoscersi e soprattutto fare presto nell’individuare un nuovo contenitore.
Tutto questo va realizzato con un’autentica azione concreta, non solo di rituale denuncia, come fa la pseudo sinistra attuale, ma soprattutto di fattiva proposta progettuale al Paese, su cui chiedere la mobilitazione, per ridare motivazione alla partecipazione.
Nella vita di ognuno giunge quel momento in cui si impone una verifica di ciò che si è fatto, e di quello che si dovrebbe fare, sugli atti realizzati, sulle scelte, sui progetti e sulle proposte da fare. Non si può, per questo piangersi addosso, ma va data una svolta. Non si può continuare a essere agnostici.
Troppo tempo si è già perso e non se ne può perdere altro! La sinistra riformista, quella rappresentata dal socialismo, che com’è sua tradizione, deve riproporsi per contribuire a cambiare questa realtà di inaccettabile regresso civile, sociale e politico, ma va fatto presto, prima che la situazione peggiori ulteriormente.
L’azione di questo nuovo impegno deve partire dall’assunzione che bisogna indubbiamente porre l’esigenza di riflettere profondamente sullo stato di salute del nostro sistema democratico, e quindi su tutte le diverse componenti che attengono alla sua azione, vale a dire il rapporto con il consenso, la strategia politica e la capacita organizzativa di riaffermare il diritto a partecipare.
Deve ricrearsi una nuova volontà da parte della società di riappropriarsi di questa cultura. Una volta concretizzata questa scelta il passo successivo è rivendicare con forza un proprio ruolo, contestualizzando in diversi ambiti di azione, integrandolo tutto in una politica che leghi e unisca la realtà dei cittadini e dei lavoratori, con le condizioni di sviluppo macroeconomico e le condizioni di distribuzione sociale delle tutele e delle garanzie.
Da qui bisogna rafforzare l’impegno di questa nuova formazione politica nel richiedere nuovamente e con più decisione una politica di partecipazione, per poter essere nuovamente soggetti interlocutori nei processi di decisione e di realizzazione delle realtà economiche, politiche e sociali.
A volte però, questa idea che propongo spesso, resta una semplice elaborazione personale, se non viene riempita di contenuti, confortata da convinzioni e da consenso. Ha bisogno anche di un gruppo dirigente che deve sostenere e attuare questo percorso.
Per avviare il processo credo che bisogna pensare anche a uno strumento formativo che serva a educare alla politica, soprattutto i giovani e a rilanciare i valori che hanno fatto in passato il nostro modo di vivere civile, libero e democratico.
[1] S. Zweig, Momenti fatali, Aldephi, Milano