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POLITICA

ELEZIONI REGIONALI, TRA NUOVE DINAMICHE E UNA CRESCENTE ASTENSIONE

ELEZIONI REGIONALI, TRA NUOVE DINAMICHE E UNA CRESCENTE ASTENSIONE

Elezioni regionali: tra nuove geografie politiche e un astensionismo sempre più crescente

«La democrazia non è un insieme di regole, ma un insieme di comportamenti.» – Norberto Bobbio

La parola “elezioni” nella prima frase porta con sé un significato che quest’anno, in Campania, Puglia e Veneto, è apparso più complesso del solito: un rito democratico che si ripete, sì, ma che ogni volta rivela cambiamenti sottili o macroscopici nella società, nell’equilibrio politico e nel rapporto tra cittadini e istituzioni. L’ultima tornata elettorale ha mostrato tre scenari diversi, tre regioni che parlano linguaggi politici propri, e soprattutto un comune denominatore che trascende ogni confine territoriale: l’astensionismo, ormai consolidato come uno dei protagonisti della politica italiana.

Campania: continuità politica e disincanto crescente

In Campania il risultato è stato una conferma. La coalizione uscente ha mantenuto il proprio primato, beneficiando della forza delle reti locali, dell’apparato amministrativo consolidato e di una frammentazione delle opposizioni che non ha permesso alternative credibili. La vittoria, pur netta, non è tuttavia un trionfo assoluto. Piuttosto, suona come un segno di stabilità in un contesto in cui la partecipazione elettorale continua a diminuire, segnalando una progressiva distanza tra istituzioni e cittadini.

Il voto campano ha mostrato una dinamica ricorrente: chi governa da tempo riesce a preservare un radicamento profondo, ma fatica a intercettare quell’elettorato volatile che, sempre più spesso, sceglie di non votare piuttosto che optare per un cambiamento ritenuto incerto. La coalizione di centrodestra ha migliorato i propri consensi in alcune aree, ma senza mai rappresentare una reale minaccia competitiva. Il Movimento 5 Stelle, un tempo particolarmente forte nel Sud, ha registrato un’ulteriore erosione, segno di un elettorato mobile, sfiduciato e meno coinvolto.

Il quadro complessivo restituisce un’immagine duplice: da un lato stabilità politica, dall’altro una partecipazione in declino che rischia di diventare una forma strutturale di dissenso silenzioso.

Puglia: un braccio di ferro risolto sul filo della credibilità

In Puglia il confronto è apparso più acceso, con una competizione reale tra le due principali coalizioni. La regione, spesso terreno di equilibrio tra centro-sinistra e centro-destra, ha confermato una dinamica già vista negli ultimi anni: una maggioranza progressista che resiste grazie a una fitta rete territoriale e a una narrazione locale efficace, contrapposta a un centrodestra in crescita che però non riesce ancora a conquistare quell’ultimo margine necessario al sorpasso.

La campagna elettorale pugliese è stata caratterizzata da temi energetici, infrastrutturali e sociali, con una particolare attenzione ai giovani, al lavoro e alle questioni ambientali. Il risultato finale premia la continuità, ma non senza segnali di malessere. L’astensione ha toccato livelli molto alti, soprattutto tra i giovani e nelle periferie urbane, dove la distanza dalla politica è percepita come una barriera invalicabile.

La vittoria della coalizione di centrosinistra non è dunque una semplice conferma, ma un successo che convive con un contesto di crescente sfiducia verso le istituzioni e verso le forme tradizionali di rappresentanza. È una vittoria che deve fare i conti con un territorio segnato da crisi economiche irrisolte e da un sistema produttivo fragile, elementi che alimentano il distacco di ampie fasce della popolazione.

Veneto: leadership consolidata e opposizioni fragili

Il Veneto, ancora una volta, ha rappresentato un caso quasi emblematico di continuità politica. Il centrodestra, saldamente radicato da anni, ha ottenuto una vittoria ampia, rafforzata dalla struttura organizzativa del territorio, da un forte legame identitario e dalla percezione di efficienza amministrativa, soprattutto in campo sanitario e infrastrutturale.

Qui lo scenario politico sembra meno fluido che altrove: il consenso verso la coalizione vincente si conferma molto stabile, con margini che difficilmente vengono erosi. Il centrosinistra e i movimenti civici faticano a trovare una narrazione alternativa capace di parlare a un elettorato che valorizza la continuità e l’idea di un modello amministrativo considerato efficiente. Il Movimento 5 Stelle rimane marginale, incapace di imporsi come polo alternativo.

Eppure, anche nel Veneto la partecipazione cala. Una regione tradizionalmente dinamica e attiva dal punto di vista civico mostra un’inquietante convergenza verso il trend nazionale: la scelta di non votare. È un segnale significativo, perché se persino territori ad alta coesione sociale manifestano disaffezione, il problema appare ancora più strutturale.

Astensionismo: un voto che pesa più del voto

Il dato che più colpisce in tutte e tre le regioni è la crescita costante dell’astensionismo. Non si tratta più di un’anomalia, bensì di un fenomeno consolidato. L’Italia è tra i Paesi europei con il calo più marcato della partecipazione elettorale negli ultimi vent’anni, e le regionali di Campania, Puglia e Veneto non fanno eccezione.

A differenza del passato, l’astensione non riguarda più solo gli elettori considerati “periferici”, ma anche fasce tradizionalmente partecipative: professionisti, lavoratori stabili, studenti. È il segno di una sfiducia estesa, che non deriva soltanto dal disincanto politico, ma da un senso più ampio di inefficacia delle scelte democratiche.

Molti elettori percepiscono che la politica regionale abbia un impatto limitato sulle grandi dinamiche economiche, esacerbando la convinzione che il voto “non serva”. Questa sensazione, alimentata da anni di instabilità nazionale e da un clima di frammentazione, continua a crescere.

Una lettura trasversale: tre regioni, un’unica domanda

Osservando insieme Campania, Puglia e Veneto, appare evidente un quadro complesso ma coerente: una politica regionale che resiste grazie a radicamenti locali molto forti, ma che non riesce più a parlare a una parte significativa della popolazione. Le vittorie nelle tre regioni, pur diverse per colore politico, rivelano un pattern comune: chi governa da tempo mantiene il potere, mentre le opposizioni non riescono a modificare gli equilibri.

Il vero fattore di cambiamento non è più il voto, ma l’assenza del voto. È una trasformazione profonda che tutti gli attori politici dovranno affrontare. Perché quando una maggioranza relativa vince grazie a una partecipazione al di sotto del 50%, la legittimazione democratica si indebolisce, nonostante la correttezza formale del processo elettorale.

Conclusione: una democrazia da ricucire

Le elezioni regionali in Campania, Puglia e Veneto raccontano una storia fatta di continuità e divergenze, ma soprattutto di distanza. Una distanza tra istituzioni e cittadini che si esprime nel silenzio delle urne. Le forze politiche, sia di governo sia di opposizione, sono chiamate a una riflessione profonda che non riguardi solo le strategie di comunicazione o le alleanze, ma la capacità di ricostruire un rapporto concreto con le comunità.

La politica regionale rimane essenziale: determina la qualità della sanità, dei trasporti, dell’ambiente, dell’educazione. Eppure, paradossalmente, proprio dove incide di più sulla vita quotidiana, riesce sempre meno a mobilitare.

Il compito del futuro non è semplicemente conquistare voti, ma riconquistare il senso del voto. Solo allora la democrazia tornerà non a essere solo un insieme di regole, ma — come ricordava Bobbio — un insieme di comportamenti.

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