Non sono contraddizioni, ma effetto di errori.
Mettere a confronto ciò che dice Landini e ciò che dice Orsini, capo della Confindustria, sulla finanziaria, ma in generale sul futuro economico dell’Italia, spiega molte cose. Sul piano politico dice perché vi sono "piazze piene e urne vuote". Sul piano economico chiarisce perché "i mercati volano e l’economia stenta". Due apparenti contraddizioni. Mi fermo, ma solo per ora, alla prima.
Orsini fa il suo mestiere: rivendica attenzione, proposte, interventi e finanziamenti alle imprese che rappresenta. Landini fa il suo mestiere: rivendica il superamento di una situazione reddituale e di welfare negativa, con non poche punte drammatiche. E su questo c'è poco da dire.
La differenza è che Orsini, proponendo come ottenere ciò che chiede, è attento a non sottovalutare quanto di positivo è stato sinora fatto e non può essere sprecato. Attenti all’equilibrio dei conti? Si, giusto: ma guardare ad un “debito buono” non significa alienarsi consensi degli investitori. Anzi, un Governo stabile che abbia una visione almeno triennale dello sviluppo economico e consente serenità negli investimenti, non può che portare del bene al Paese. E per chiarire cosa significa debito buono, cosa diversa dalle pezze a colori, richiama la possibilità di estendere interventi di finanziamento a favore ad altre ZES, tutte da da creare.
Landini parte dal presupposto che questo Governo, tra l’altro complice di un genocidio, non ha fatto fin qui nulla di buono, che comunque vanno recuperati per intero il disagio decennale sulle retribuzioni e tutti i guasti creatisi nel welfare con le ultime crisi. Nessun cenno agli impatti sulle situazioni economiche generali. Dimenticavo: richieste anche sulle pensioni. L’ho già detto: a spanne sono richieste intorno ai 70 miliardi e un colpo al sistema pensionistico. E sul come finanziare le richieste, propone una patrimoniale, uno scontro con le banche, la rinuncia agli investimenti in armi, la messa in discussione degli accordi con l’Europa sul rientro dal debito. Non considera che queste sono solo pezze: i motivi delle criticità restano lì, inesplorati e irrisolti.
Temo che alla fine Orsini si vedrà più o meno soddisfatto e “Landini” no. Non lo sarebbe, soddisfatto, “a prescindere” ma probabilmente davvero l’intervento a favore dei lavoratori e ceti poveri non sarà da applaudire. Che il Governo sia di stampo conservatore è fuori dubbio. Ma questo non può essere un alibi. Il fatto che – in linea di principio e tranne verifica della realtà - Orsini si ponga disponibile a discutere e trovare soluzioni possibili e che Landini, ma dietro di lui una minoranza politica che scalcia, si ponga come castigatore di un “Governo nemico e moralmente squallido”, il primo dunque in clima di partecipazione ed il secondo in clima di scontro anche duro, incide non poco. Perché smuovere un assetto di bilancio, quello del Governo, che – giusto o sbagliato che sia – è frutto di un progetto nel quale tutto “si tiene”, per proporne uno del tutto nuovo significa chiamare entrambe le parti ad un confronto profondo ed al compromesso. “Tutto” sarà impossibile averlo: e dunque rivendicare il giusto ma impossibile non serve; “niente” sarebbe inaccettabile e il Governo deve capirlo. Trattativa, compromessi, disponibilità. Tutta questo si fa iniziando con uno sciopero generale. Come sostegno, e qualcosa in più, ad una opposizione delle stesso segno e logica. Ha senso?
Ci sarebbe da discutere sul richiamo al famoso detto nenniano del 1948, oppure a quella dicotomia “Paese legale - Paese reale” che ci fece interrogare negli anni ’70. O, ancora, alla più moderna riflessione sulla scissione tra morale e politica. Ma, nella sostanza, le proposte di Landini, che diventano nei fatti la piattaforma della opposizione, riempiono le piazze. E come non potrebbero? Dopo aver verificato che non trovano sbocco, svuotano però poi le percentuale di partecipazione al voto. Sbagliato, ma comprensibile.
Dunque piazze piene e urne vuote. Non c’è contraddizione: è il frutto di un errore politico e di far politica, marcato da un giudizio popolare.