Come ho già avuto modo di scrivere, il mondo è in una fase “diluviale”.
Il Diluvio va inteso come modello di ogni “fine di un mondo”.
Ogni grande crisi epocale viene letta in chiave diluviale: la caduta dell’Impero romano d’Occidente; la scoperta/conquista dell’America, la Rivoluzione francese che lava via l’Ancien Régime; le due guerre mondiali, con epicentro in Europa, le quali hanno modificato gli assetti mondiali, facendo degli Usa una potenza talassocratica mondiale sostitutiva di quella inglese. Il mondo uscito dalle due guerre era connotato da due potenze: gli Usa e l’Unione Sovietica e da un equilibrio chiamato Guerra Fredda.
La fine dell’Unione sovietica, passaggio diluviano sull’equilibrio della Guerra Fredda, ha condotto alla finanziarizzazione dell’economia mondiale e all’utopia statunitense neocon del Nuovo Ordine Mondiale, con tanto di nuovo vate della fine della fine della storia, ossia di quel Fukuyama che ci ha propinato una delle più grandi fandonie degli ultimi millenni.
Ora il mondo della globalizzazione è entrato nella fase diluviale, mentre si va profilando all’orizzonte un mondo multipolare, che vede sulla scena presentarsi grandi protagonisti, come Usa, Russia, Cina, India, Arabia Saudita, con un corollario di Stati alleati distribuiti nelle varie aree del mondo.
In questo orizzonte che si profila mentre il diluvio travolge le vecchie certezze, l’Europa è un’arca che rischia il naufragio, essendo zavorrata dall’Unione Europea, colonia dei neocon e dei neo colonialisti, prona da sempre ai desiderata della finanza e delle multinazionali e propugnatrice di politiche economiche e sociali che l’Europa reale l’hanno destrutturata, impoverita, umiliata.
L’Europa, tuttavia, ha ancora grandi risorse, una grande cultura, una grande storia e menti capaci di avviare un vero e proprio Rinascimento, purché sappia gettare a mare, nei flutti del diluvio, la zavorra che le impedisce di navigare.
La zavorra è fatta anzitutto di politiche sbagliate che possono essere immediatamente corrette con un cambio altrettanto immediato di alleanze nel Parlamento e tra gli Stati. Un’alleanza che veda il Partito popolare europeo, al cui centro c’è la Cdu/Csu, allearsi con le forze politiche di destra, mandando all’opposizione chi ci ha trascinato nel disastro attuale.
Va poi buttato a mare l’impianto istituzionale uscito da Maastricht, che è solo un mostro burocratico. Togliere di mezzo questa zavorra potrebbe consentire all’arca di riprendere la navigazione con la rotta della Cee, mentre a bordo si può progettare una nuova Europa Unita, basata su una costituzione e su istituzioni politiche, avviando un processo graduale di aggregazione che consenta davvero ai popoli di sentirsi europei e non sudditi di una dittatura burocratica.
Va continuamente ripetuto fino alla nausea che l’Unione Europea non è uno Stato e che la Commissione è un aggregato di funzionari che dirigono una massa di 30 mila burocrati. Ursula von der Leyen è una funzionaria, non un capo di Stato.
L’Unione Europea non è uno Stato perché non ha una Costituzione, sostituita dal Trattato di Lisbona dopo la sua bocciatura dai referendum di Francia e Olanda, a dimostrazione che, evidentemente, i cittadini di quei due Paesi non volevano procedere verso qualcosa che assomigliasse ad uno Stato unico.
Anche il progetto di Costituzione europea, ufficialmente intitolato “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa”, approvato dalla Convenzione sul futuro dell’Europa nel 2003, firmato dai capi di Stato e di governo a Roma il 29 ottobre 2004, non andava nella direzione di una Confederazione o di una Federazione.
Dietro le quinte c’era la logica neocon di avere una realtà che non fosse uno Stato federale o confederale che avrebbe potuto essere concorrenziale con gli Usa.
Gettare la zavorra neocon in tutte le sue articolazioni è assolutamente necessario per metter mano a qualsiasi cura delle potenzialità europee.
C’è poi da buttare a mare la cultura woke, che il professor Giulio Sapelli definisce “figlia di un intreccio fra neoateismo, transumanesimo e antisemitismo”.
Un’altra zavorra da gettare in mare è quanto rimane della logica della Guerra Fredda e dell’idea neocon di conquistare la Russia, in un modo o nell’altro. Logica dalla quale deriva l’attuale narrazione propagandistica in base alla quale la Russia è un pericolo per l’Europa.
La forza militare russa e la capacità di invadere l'Europa è una favola.
Al momento la Russia non possiede la forza militare necessaria per invadere con successo l'Europa, intesa come i paesi NATO (inclusi quelli dell'Europa orientale come i Baltici o la Polonia).
Lo stato dell’arte è il seguente:
TABELLA
Questi numeri riflettono la superiorità complessiva della NATO, anche se la Russia eccelle in aree come l'artiglieria (ha prodotto 4 volte più munizioni della NATO nel 2025) e i sistemi di difesa aerea.
Senza il supporto USA (che fornisce circa il 70% delle capacità NATO), l'Europa da sola avrebbe ancora un vantaggio (circa 1,5-2 milioni di personale attivo), ma richiederebbe un aumento immediato di 300.000 soldati e 250 miliardi di Euro annui per colmare lacune in unità corazzate e meccanizzate.
La Russia ha capacità ibride (sabotaggi, cyber-attacchi, droni) e nucleare (5.580 testate, paritetiche con USA/UK/Francia).
Un attacco ai Baltici o alla Polonia (es. Corridoio di Suwalki) fallirebbe contro le difese NATO pre-posizionate (40.000 truppe USA in Europa orientale).
Un'invasione porterebbe a una guerra d'attrito che Mosca perderebbe, con costi globali stimati a 1,5 trilioni di dollari nel primo anno (Bloomberg Economics).
In conclusione la Russia non ha oggi la forza per invadere l'Europa NATO, che la supererebbe in un conflitto convenzionale. Le sue priorità rimangono l'Ucraina e la deterrenza nucleare, non un'espansione su vasta scala.
Dobbiamo poi considerare come è cambiato lo stesso concetto di guerra, anche in rapporto a quanto sta avvenendo in Ucraina.
L’avanguardia in campo militare è un concetto che si è profondamente trasformato rispetto al passato. Non si tratta più solo di chi ha i carri più veloci o gli aerei più avanzati, ma di chi riesce a integrare in modo più rapido ed efficace una serie di tecnologie in un unico ecosistema operativo.
Ecco i principali “fronti” dove oggi si gioca la superiorità militare decisiva.
1. Guerra dei droni e sciami autonomi (Swarm Warfare): l’Ucraina ha dimostrato che droni FPV da poche centinaia di dollari possono distruggere mezzi da decine di milioni. In questo campo i Paesi all’avanguardia sono: Turchia (Bayraktar TB2, Kargu-2 loitering munition con capacità swarm già esportata), Israele (Harop, Hero-series, Orbiter 4, sistemi anti-drone come Drone Dome); Cina (CH-7, Wing Loong III, sciami dimostrati al Zhuhai Airshow 2024 con oltre 1.000 UAV coordinati), Iran (Shahed-136/149 e sciami di piccoli droni kamikaze), USA, che stanno recuperando velocemente con il programma Replicator (migliaia di attritable drones entro il 2026).Il vero salto di qualità è l’autonomia: droni che decidono in modo distribuito senza collegamento datalink interrotto (mesh networking + AI di bordo).
2.Guerra elettronica e dominio dello spettro elettromagnetico. Chi controlla lo spettro vince. La Russia in Ucraina ha mostrato limiti enormi (mancanza di jamming efficace iniziale), poi ha recuperato con Krasukha-4, Murmansk-BN, Pole-21. Oggi i sistemi più avanzati sono: USA → NGJ (Next Generation Jammer) su EA-18G Growler; Cina → sistemi su J-16D e su navi Type 055; Israele → Scorpius-SP/Scorpius-T (jamming multi-dominio simultaneo).
3. Armi ipersoniche e anti-ipersoniche. Qui lo scenario cambia. I maggiori attori sono: Russia: Zircon (in servizio su fregate e sottomarini), Avangard (ICBM ipersonico planante); Cina: DF-17 (HGV), DF-27 (raggio >8.000 km), YJ-21 (missile ipersonico antinave); USA: CPS (Conventional Prompt Strike), LRHW “Dark Eagle” (primo battaglione operativo 2025), ARRW (test finali); India: BrahMos-II (Mach 7+, versione ipersonica in fase avanzata). La vera gara oggi è sui sistemi di difesa anti-ipersonici (ancora nessuno affidabile al 100 %).
4. Intelligenza artificiale e decisione autonoma. In prima linea abbiamo: USA con Project Maven, JADC2, ABMS; Cina, con “sistema di comando intelligente” integrato nelle PLA (dimostrazioni 2024 con AI che gestisce operazioni multi-dominio); Israele con Gospel e Lavender (sistemi AI per targeting usati a Gaza 2023-2025).
5. Guerra spaziale e controspaziale. La fanno da protagonisti: Cina (già dimostrato capacità di rendez-vous e braccio robotico (200+ km di quota); USA (X-37B, programmi GSSAP e counter-space - jamming satelliti Starlink in test); Russia con Peresvet (laser anti-satellitare), Burevestnik e sistemi co-orbitali.
6. Cyber + Information Warfare su scala industriale. Qui la classifica è la seguente: Russia (Fancy Bear, Sandworm); Cina (APT41, Volt Typhoon); Corea del Nord (Lazarus); Israele (Unit 8200 + campagne di influenza).
Il vero “game changer” dei prossimi 5 anni riguarda l’integrazione uomo-macchina tramite interfacce neurali (Neuralink-like per piloti/droni), robot quadrupedi armati (tipo Vision 60 di Ghost Robotics già in test USA e Cina) e soprattutto munizioni vaganti (loitering munitions) con autonomia maggiore di 24 ore e intelligenza di sciame.
In sintesi: chi vincerà le prossime guerre non sarà chi ha l’aereo o il carro più avanzato, ma chi riuscirà a saturare il campo di battaglia con migliaia di sistemi autonomi, economici e sacrificabili.
Buttare a mare la zavorra dell’invasione Russa significa anche fare i conti con le esigenze di una deterrenza reale, che non può essere quella di produrre carri armati destinati ad arrugginire nei magazzini.
L’Arca Europa ha la necessità assoluta, se non vuol naufragare, di gettare a mare la zavorra e il tempo stringe.








