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ARTICOLI DEL DIRETTORE

GEOPOLITICA DELLE CHIESE CRISTIANE TRA SINODI E SCISMI

GEOPOLITICA DELLE CHIESE CRISTIANE TRA SINODI E SCISMI

Nei giorni scorsi due avvenimenti hanno posto l’attenzione su quanto sta accadendo nel mondo variegato e tormentato delle chiese cristiane. Ne nasce un interrogativo “geopolitico”, termine che sembrerebbe non attagliarsi a soggetti religiosi, ma che può rendere l’idea di quanto stia maturando nei rapporti tra le varie componenti dell’universo cristiano.

Il primo avvenimento è la visita di re Carlo III a Papa Leone XIV, che ha visto nella cappella Sistina il sovrano inglese, con al suo fianco la regina Camilla, partecipare a una preghiera, condotta da Leone XIV e dall'arcivescovo di York, Stephen Cottrell.

Il secondo avvenimento è il voto della Conferenza Episcopale Italiana che, a conclusione della Terza Assemblea sinodale, ha approvato con 781 “placet” su 809 votanti, il Documento di sintesi del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, intitolato “Lievito di pace e di speranza”.

A unire i due avvenimenti è la profonda lacerazione che divide al loro interno le due chiese tra tradizionalisti e progressisti in un contesto dove si sta determinando sempre più in modo evidente un confronto senza esclusione di colpi tra un progressismo, figlio del globalismo neocon e neocolonialista e un ritorno a logiche identitarie, tradizionali e relative ad un mondo multipolare.

Lo scontro più aspro, anche se tenuto sotto traccia dalla propaganda, è tra le monarchie europee colonialiste, con i loro vassalli della finanza, in gran parte ebraica (i Soros, i Rothschild, e via discorrendo) e una reazione, in questo momento guidata dagli Stati Uniti repubblicani, che vogliono chiudere definitivamente questa storia globalista e coloniale per instaurare un nuovo assetto concordato del mondo sulla base di aree di influenza che, a questo punto, non sono solo economiche e politiche, ma anche religiose.

Se guardiamo alla “geopolitica” religiosa del mondo, possiamo ben vedere grandi aree che coincidono anche con grandi aree geopolitiche in senso proprio. L’India, soggetto geopolitico di grande rilievo, è induista, la Cina è confuciana e taoista e buddista, gran parte dei Paesi asiatici sono buddisti, il mondo arabo è islamico.

Quando arriviamo all’universo cristiano, abbiamo la galassia delle chiese ortodosse, tra le quali quella russa, la galassia protestante, la Chiesa anglicana e la Chiesa cattolica.

Al fine di questa riflessione, che non intende occuparsi di tutto il panorama religioso, non contenibile in un articolo, è interessante puntare l’attenzione sul fenomeno evangelico americano.

Gli evangelici costituiscono una porzione significativa della popolazione USA, ma le stime variano a seconda della definizione (autoidentificazione, denominazione o credenze teologiche). Secondo il Pew Research Center del 2015, circa il 25% degli adulti USA (circa 60-70 milioni) si identifica con denominazioni evangeliche. Altre fonti, come l'Institute for the Study of American Evangelicals, stimano il 30-35% (90-100 milioni) nel 2016. Nel 2014, gli evangelici rappresentavano il 55% di tutti i protestanti USA.

Gli evangelici hanno modellato la società USA attraverso riforme sociali (abolizionismo, diritti civili) e movimenti come il proibizionismo. Politicamente, dal 1980 esercitano un'influenza preponderante nel Partito Repubblicano: i bianchi evangelici votano in massa per i conservatori, influenzando temi come aborto, matrimonio e immigrazione.

L'evangelicalismo rappresenta un pilastro del cristianesimo USA, con oltre 370.000 congregazioni religiose totali nel paese.

Le chiese evangeliche hanno avuto una crescita significativa nel secolo scorso in America latina, mettendo in grave difficoltà il cattolicesimo.

Le chiese evangeliche in America Latina rappresentano uno dei fenomeni religiosi e sociali più dinamici del continente, con una crescita esplosiva che ha ridisegnato il panorama confessionale tradizionale, dominato per secoli dal cattolicesimo.

Inizialmente considerate "importazioni" dagli Stati Uniti, queste comunità – prevalentemente protestanti, pentecostali e neopentecostali – hanno sviluppato tratti autoctoni, radicandosi nelle periferie urbane e tra le classi emarginate.

La vera espansione inizia negli anni '70 del XX secolo, favorita da diversi fattori.

In primo luogo il declino del cattolicesimo: la Chiesa cattolica, storicamente egemone, ha perso attrattività a causa di scandali (come abusi sessuali), scarsità di clero e una minore presenza nelle periferie povere. Questo ha creato un "vuoto religioso" riempito dalle chiese evangeliche, più accessibili e focalizzate sull'evangelizzazione attiva.

In secondo luogo l’influenza esterna: missionari statunitensi, supportati da reti come il Christian Broadcasting Network, hanno promosso la conversione. Il Rapporto Rockefeller del 1969, commissionato dal presidente Nixon, è citato come un turning point: identificava il cattolicesimo come potenziale alleato di idee "rivoluzionarie" (es. teologia della liberazione) e suggeriva di contrastarlo con movimenti evangelici per rafforzare l'influenza USA.

Secondo il Pew Research Center (dati al 2014, aggiornati in studi successivi), i cattolici sono scesi al 69% della popolazione latinoamericana (da oltre 90% negli anni '70), mentre gli evangelici sono saliti al 19%. Proiezioni più recenti indicano un ulteriore aumento, con oltre 100 milioni di fedeli nel 2020.

In totale, l'America Latina conta circa 425 milioni di cattolici, ma decine di milioni sono passati agli evangelici, soprattutto tra donne, giovani e classi basse esposte a globalizzazione e migrazioni.

Le chiese evangeliche predicano un'etica conversionista, con enfasi su Bibbia letterale, anti-LGBTQ+ e anti-aborto ed hanno un’influenza politica conservatrice.

Dal 2000, influenzano elezioni. In Brasile, hanno eletto centinaia di parlamentari e sostenuto Bolsonaro (2018), promuovendo conservatorismo e militarizzazione. In Guatemala, Efraín Ríos Montt (dittatore 1982-83, pastore evangelico) usò la fede per repressione. Oggi, partiti tradizionali corteggiano il voto evangelico (16% in Brasile, ma blocchi compatti). Secondo analisti, rafforzano l'influenza USA come "soft power".

Esiste inoltre il fenomeno evangelico africano. Oggi, il cristianesimo è maggioritario in gran parte dell'Africa centrale, meridionale e orientale (escluse aree islamiche come Sudan e Somalia). In questo contesto le chiese evangeliche prosperano in paesi anglofoni come Nigeria, Ghana, Kenya e Sudafrica, ma si espandono anche in zone francofone. In Nigeria, ad esempio, le megachiese come la Redeemed Christian Church of God contano milioni di membri e sedi in oltre 190 paesi. In Ghana, il cristianesimo cresce più velocemente che altrove, con pastori che fondano imperi religiosi includendo scuole, ospedali e TV.

È in questo contesto che dobbiamo collocare, con tutta probabilità, l’incontro tra Re Carlo III e Papa Leone XIV.

La Chiesa anglicana è attraversata da fratture interne che sono difficilmente ricomponibili e che potrebbero portare una parte della stessa a convergere con Roma, oppure a convergere con le chiese evangeliche presenti in Africa e in America latina. Il punto di maggiore interesse è l’Africa, dove i cattolici sono molto presenti e con una chiesa che ha forti tratti tradizionalisti.

La presenza della Chiesa cattolica in Africa è, infatti, una delle realtà più dinamiche e in rapida crescita del cristianesimo mondiale.

Secondo l’Annuario Pontificio 2025, i cattolici in Africa sono circa 272 milioni, pari al 19-20% della popolazione africana (1,45 miliardi di abitanti). La crescita del 3,3% annuo (dal 2019 al 2023) è stata la più alta al mondo. In 50 anni (1970-2020) i cattolici sono passati da 46 a 236 milioni.

Ci sono 540 diocesi, in crescita costante. I vescovi sono oltre 800, in gran parte africani. I sacerdoti sono 50 mila, al 70% africani. Seminari pieni in Nigeria, Kenya, RD Congo. Ai sacerdoti si aggiungono 80 mila suore e 12 mila frati.

La Chiesa cattolica in Africa non è più "periferia" ma cuore pulsante del cattolicesimo mondiale ed è profondamente conservatrice su molti temi dottrinali e morali.

Ecco alcuni temi prevalenti nella Chiesa africana. Temi che oggi, sono al centro della lacerazione interna alla Chiesa cattolica: matrimonio (solo tra uomo e donna); contraccezione (vietata, come da Humanae Vitae); aborto (assolutamente condannato); omosessualità (insegnamento tradizionale: atti omosessuali considerati "intrinsecamente disordinati"); sacerdozio (solo maschile)

I vescovi africani sono stati tra i più fermi oppositori alle aperture su questi temi durante i Sinodi sulla famiglia (2014-2015) e sul documento Fiducia Supplicans (2023) sulle benedizioni alle coppie omosessuali.

La Conferenza Episcopale Africana (SECAM) difende l’insegnamento tradizionale e chiede maggiore inculturazione e autonomia da Roma.

La Chiesa cattolica africana è conservatrice nella dottrina, ma non tradizionalista nella forma; è una Chiesa viva, popolare, inculturata, che rifiuta il progressismo europeo, ma anche il formalismo rituale del tradizionalismo latino.

E qui arriviamo al punto centrale della questione, che riguarda la possibile adesione di una parte consistente della Chiesa anglicana al cattolicesimo o, in alternativa, all’evangelismo.

Da notare che in Africa subsahariana (soprattutto Nigeria, Uganda, Kenya) gli anglicani sono circa 50 milioni.

Gran parte della partita, pertanto, si gioca in Africa.

La cronaca ci dice che dopo 482 anni, da quando Enrico VIII d'Inghilterra si separò della Chiesa di Roma nel 1534, Re Carlo III è stato il primo monarca regnante inglese a pregare pubblicamente con il Papa.

Carlo III è governatore supremo della Chiesa anglicana, la quale, è composta dalle due province ecclesiastiche di Canterbury e York, a cui fanno capo tutte le diocesi inglesi. Più nel dettaglio, la sede di Canterbury detiene un primato d'onore su tutta la comunione anglicana, ossia 42 Chiese indipendenti, presenti in 165 Paesi, legate dall'anglicanesimo.

L’arcivescovo di Canterbury è ora una donna: Sarah Mullally, che rappresenta la Chiesa anglicana “progressista”. In Vaticano Carlo III è arrivato con l'arcivescovo di York Stephen Cottrell, più in sintonia con le chiese anglicane tradizionaliste. 

La Chiesa anglicana – intesa come la Comunione Anglicana globale, che comprende circa 85 milioni di fedeli in oltre 165 paesi – sta affrontando un momento di profonda divisione interna che ha portato a un vero e proprio scisma formale, annunciato il 16 ottobre 2025.

La Comunione Anglicana, nata dalla Chiesa d'Inghilterra nel XVI secolo, è una federazione di province autonome (non una struttura gerarchica rigida come quella cattolica), unite simbolicamente dall'Arcivescovo di Canterbury come "primus inter pares" (primo tra pari). Da decenni, però, tensioni teologiche dividono i conservatori (soprattutto dal "Sud globale": Africa, Asia e America Latina) dai progressisti (prevalenti in Europa e Nord America).

Le cause principali riguardano le ordinazioni femminili e LGBTQ+. Nel 2003 si è avuta la consacrazione del vescovo gay Gene Robinson negli USA e, recentemente, la Chiesa anglicana ha adottato le benedizioni per coppie omosessuali approvate dalla Chiesa d'Inghilterra già nel 2023.

Pietre della scissione sono poi l l'elezione di Sarah Mullally come prima donna Arcivescovo di Canterbury (annunciata a marzo 2025, installazione prevista nel 2026) e di Cherry Vann, che vive in una relazione omosessuale, come Arcivescovo del Galles (luglio 2025).

Queste scelte sono state viste dai conservatori come un "abbandono dell'autorità biblica".

Queste divisioni hanno già prodotto "scismi parziali" negli anni passati, come la nascita dell'Anglican Church in North America (ACNA) nel 2009, affiliata ai conservatori.

Il 16 ottobre scorso, i primati (leader) del Global Fellowship of Confessing Anglicans (GAFCON) – un movimento conservatore fondato nel 2008 che rappresenta circa l'85% degli anglicani praticanti (circa 40-50 milioni di fedeli, soprattutto in Africa: Nigeria, Uganda, Kenya, Rwanda) – hanno emesso un comunicato ufficiale intitolato "The Future Has Arrived". Ecco i punti chiave.

Rottura con Canterbury: GAFCON ha tagliato tutti i legami con l'Arcivescovo di Canterbury e la Chiesa d'Inghilterra, definendola una "provincia revisionista" che ha "abbandonato la Parola di Dio inerrante come autorità finale".

Riordino della Comunione: GAFCON si autoproclama ora la vera "Global Anglican Communion" (Comunione Anglicana Globale), con la Bibbia come unico fondamento ("tradotta, letta, predicata, insegnata e obbedita nel suo senso piano e canonico"). Non riconosceranno più incontri convocati da Canterbury, come la Lambeth Conference.

Nel 2026, GAFCON eleggerà un proprio "primus inter pares" (un presidente rotante tra i primati), sostituendo simbolicamente l'Arcivescovo di Canterbury. Il presidente attuale di GAFCON, l'Arcivescovo Laurent Mbanda del Rwanda, ha firmato il documento.

La Chiesa d'Inghilterra (e province progressiste come USA, Canada, Galles) perde il legame con la maggioranza globale. Le province africane (es. Chiesa di Nigeria, con 20 milioni di fedeli) hanno già istruito le loro diocesi a rimuovere riferimenti alla "comunione con Canterbury".

Il comunicato è stato rilasciato in occasione della commemorazione dei martiri anglicani Hugh Latimer e Nicholas Ridley, simboleggiando un ritorno alle "radici bibliche" contro il "falso vangelo" progressista.

La conseguenza di tutte queste defezioni è che la Chiesa d'Inghilterra rimane autonoma (circa 1,5 milioni di fedeli attivi), ma perde autorità simbolica globale e il Regno di Carlo III influenza geopolitica.

Le innovazioni della Chiesa d’Inghilterra potrebbero complicare i dialoghi con cattolici e ortodossi, ma anche indurre alcune realtà a confluire nella Chiesa cattolica.

E qui si gioca, con tutta probabilità, la partita che riguarda ben 50 milioni di anglicani africani che, su posizioni conservatrici, andrebbero a rinforzare la schiera dei conservatori cattolici in un’area del mondo dove il cristianesimo è in crescita, a differenza dell’Europa dove perde terreno con decrescite esponenziali.

La perdita di influenza sulle chiese anglicane nel mondo corrisponde, inevitabilmente, anche ad una perdita di influenza geopolitica di enormi proporzioni, la qual cosa non può che essere anche alla base del tentativo di Carlo III di trovare una sponda nella Chiesa cattolica. Una sponda che potrebbe fare molto comodo anche alla parte tradizionalista della Chiesa cattolica, che deve riprendere in mano il governo di Roma dopo le sbandate di Papa Francesco, dei suoi sinodi, delle sue aperture progressiste e globaliste.

E qui arriviamo all’altro punto focale di questa riflessione: il progressismo cattolico.

Progressismo cattolico che ha trovato nella Cei del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, un accomodamento in linea con il progressismo politico, trasformando la Conferenza Episcopale Italiana nella parrocchia del Partito Democratico e, inoltre, nel suo retroterra di formazione di idee.

Ne è un indice evidentissimo la conclusione della Terza Assemblea sinodale che ha approvato con 781 “placet” su 809 votanti, il Documento di sintesi del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, intitolato “Lievito di pace e di speranza”.

https://camminosinodale.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/2025/10/CamminoSinodale_DocumentodiSintesi.pdf

“Una volta che oggi questa Assemblea ha congedato il testo con il suo voto – ha affermato il card. Matteo Zuppi, presidente della Cei -, è ora compito dei Pastori assumere tutto, individuare priorità, coinvolgere forze vecchie e nuove per dare corpo alle parole. Collegialità e sinodalità”.

La prossima Assemblea generale della Cei, in programma a novembre 2025, sarà interamente dedicata alla discussione del Documento, che ora diventa riferimento centrale per l’elaborazione di orientamenti e delibere.

Tra le parti che si riferiscono in modo più evidente al progressismo che alberga nell’ambito della Chiesa italiana, troviamo quelle relative all’accompagnamento di quanti sono ai margini della vita ecclesiale e sacramentale.

Nel documento si legge che “le Chiese locali e le Conferenze Episcopali Regionali promuovano percorsi di accompagnamento, discernimento e integrazione nella pastorale ordinaria di quanti desiderano fare cammini di maggiore integrazione ecclesiale, ma sono ai margini della vita ecclesiale e sacramentale a causa di situazioni affettive e familiari stabili diverse dal sacramento del matrimonio (seconde unioni, convivenze di fatto, matrimoni e unioni civili, etc.) e che le Chiese locali promuovano percorsi e approcci pastorali di accompagnamento e integrazione nella vita ecclesiale delle coppie conviventi, che hanno in animo una futura unione nel sacramento del matrimonio, tenendo conto di questo loro desiderio.

La parte che maggiormente farà discutere è quella nella quale si afferma che “le Chiese locali, superando l’atteggiamento discriminatorio a volte diffuso negli ambienti ecclesiali e nella società, si impegnino a promuovere il riconoscimento e l’accompagnamento delle persone omoaffettive e transgender, così come dei loro genitori, che già appartengono alla comunità cristiana.

Inoltre il documento afferma che “la CEI sostenga con la preghiera e la riflessione le “giornate” promosse dalla società civile per contrastare ogni forma di violenza e manifestare prossimità verso chi è ferito e discriminato (Giornate contro la violenza e discriminazione di genere, la pedofilia, il bullismo, il femminicidio, l’omofobia e transfobia, etc.).

Il documento chiede poi che le Chiese locali e le Conferenze Episcopali Regionali formino opportunamente gli operatori pastorali e si avvalgano di esperienze formative e prassi già in atto”.

“La questione affettiva e relazionale – si legge nel documento votato - costituisce un ambito in cui vivere con pienezza il Vangelo. In questo senso la Chiesa riconosce «la vita quotidiana e le relazioni affettive come luoghi di scoperta e di esperienza del Vangelo». Pertanto, l’Assemblea sinodale avanza le seguenti proposte:

a.      che le Chiese locali avviino, almeno a livello interdiocesano o di regione ecclesiastica, équipe per formare gli operatori pastorali e coordinare i percorsi pastorali sul tema dell’affettività;

b.      che le Chiese locali, sostenute da una indicazione nazionale, con il contributo della pastorale giovanile e familiare, dei movimenti, associazioni, gruppi e realtà civili, avviino, almeno a livello interdiocesano o di regione ecclesiastica, équipe che valorizzino le buone prassi pastorali già in atto e che coordinino nuovi percorsi di formazione alle relazioni e alla corporeità-affettività-sessualità – anche tenendo conto dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere – soprattutto di preadolescenti, adolescenti e giovani

e dei loro educatori;

c.      che le Chiese locali vigilino e operino affinché nei vari contesti formativi (gruppi, associazioni, movimenti, nuove comunità, Seminari e percorsi di formazione religiosa) non avvengano forme di abuso psicologico, spirituale e di coscienza, anche nell’ambito dell’orientamento sessuale;

d.      che le Chiese locali, sostenute da una proposta nazionale, con il contributo della pastorale giovanile e familiare, dei movimenti, associazioni, gruppi e realtà civili, offrano percorsi di sostegno alla genitorialità e di accompagnamento pastorale degli sposi e delle famiglie nei primi anni di vita insieme”.

Siamo lontani anni luce dalla Chiesa africana e dalle chiese evangeliche, la qual cosa pone il progressismo cattolico in una deriva protestante che potrebbe andare d’accordo con la Chiesa anglicana inglese, ormai diventata minoritaria e abbandonata da gran parte delle chiese anglicane sparse nel mondo, e con alcune chiese protestanti nord europee.

Come si può ben comprendere, con il documento votato dall’Assemblea sinodale, la Chiesa sinodale italiana si colloca su un terreno progressista bergogliano che stride anche con l’attuale conduzione del Soglio Pontificio.

Le modalità con le quali si è svolto l’incontro tra Carlo III e Papa Leone XIV fanno pensare che il percorso di avvicinamento sia quello che riguarda la parte della Chiesa anglicana tradizionalista.

Carlo III ha partecipato ad una liturgia che guidata da Papa Leone XIV e dall’arcivescovo di York Stephen Cottrell, non da quello di Canterbury. Importante per capire è che nella liturgia è entrato un inno il cui testo è di Sant'Ambrogio di Milano, eseguito in una traduzione inglese di San John Henry Newman, anglicano per metà della sua vita e cattolico per l'altra metà.

Il prossimo primo novembre, come annunciato da Papa Leone, Newman sarà dichiarato Dottore della Chiesa. In Piazza San Pietro arriverà un’importante delegazione della Chiesa anglicana. Lo stesso Re Carlo è stato presente alla canonizzazione del cardinale nel 2019. Ad animare la liturgia ci saranno i cori della Cappella Sistina ed i bambini della Cappella Reale di St James's Palace di Londra insieme al coro della Cappella di St George nel Castello di Windsor.

Tutta fa pensare ad una sorta di preludio di una ricucitura della scissione voluta da Enrico VIII, con l’addio alla parte della Chiesa anglicana progressista, Lgbtq+ e ordinante donne.

Se così stessero davvero le cose, dobbiamo tornare a Matteo Zuppi e a Jorge Mario Bergoglio, la cui elezione fu opera della Mafia di San Gallo, termine con il quale ci si riferisce a un gruppo informale di alti prelati cattolici, prevalentemente europei, che si riunivano annualmente tra il 1996 e il 2005 (con alcune estensioni) nei pressi della cittadina svizzera di San Gallo. Il nome "mafia" fu usato in modo autoironico dal cardinale belga Godfried Danneels, uno dei membri principali, durante un'intervista televisiva nel 2015 per descrivere il gruppo come un circolo ristretto e influente, ma non necessariamente criminale. In realtà, si trattava di un "cenacolo" o "club di amici" (Freundeskreis in tedesco) nato per discutere liberamente di riforme ecclesiali, in un clima di maggiore collegialità tra i vescovi europei, dopo le riforme imposte dal Vaticano al Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee nel 1993.

Il promotore iniziale fu il vescovo svizzero Ivo Fürer, ex segretario del Consiglio, che ospitava gli incontri insieme al cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano e figura carismatica del gruppo. L'obiettivo dichiarato era contrastare il centralismo romano percepito come eccessivo, promuovendo una Chiesa più "sinodale" e adattabile alle realtà locali, ispirandosi alla teologia progressista di Karl Rahner e al Concilio Vaticano II.

Il nucleo del gruppo contava circa 7-10 prelati, tra cardinali e vescovi, con un orientamento riformista. Tra i principali partecipanti, Carlo Maria Martini, Godfried Daneels, Walter Kasper, Karl Lehmann, Cormac Murphy-O'Connor, Basil Hume, Achille Silvestrini, fondatore di Villa Nazareth dove ha insegnato Pietro Parolin, attuale Segretario di Stato del Vaticano.

Il gruppo mirava a una "rivoluzione pastorale" in opposizione al magistero conservatore di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Tra le priorità una maggiore autonomia per le Chiese locali su temi dottrinali e pastorali; revisione della dottrina su contraccezione, omosessualità, divorzio e comunione ai risposati; abolizione del celibato obbligatorio; diaconato femminile.

Tutti argomenti che ritroviamo nel documento votato dall’Assemblea sinodale italiana, che si allinea, pertanto con quanto elaborato dalla Mafia di San Gallo.

Il gruppo si sciolse formalmente nel 2005, dopo l'elezione di Benedetto XVI, ma le sue idee persistono nel processo sinodale attuale.

Il Sinodo italiano ha attuato quanto pensato dalla Mafia di San Gallo, ma c’è da chiedersi quanto conti davvero ormai la Chiesa italiana nel contesto internazionale.

Secondo i dati più recenti disponibili (aggiornati al 2024), la percentuale di italiani adulti che partecipano alla messa almeno una volta alla settimana è scesa a un minimo storico del 19,4%. Questo valore si riferisce specificamente agli adulti (18 anni e oltre) e include non solo la messa domenicale, ma anche altre celebrazioni settimanali in luoghi di culto.

Il dato è parte di un trend di calo progressivo: nel 1993, la percentuale era intorno al 37,3%, scendendo al 23,7% nel 2019 (dati Istat analizzati dal sociologo Luca Diotallevi). Nel 2023, la frequenza settimanale era al 18,8%, con un lieve recupero nel 2024, ma comunque in declino rispetto agli anni pre-pandemia. Tra i giovani (18-24 anni), la percentuale è drasticamente più bassa: solo circa il 5-8% frequenta regolarmente, con un divario di genere (le donne sono più assidue dei maschi).

La popolazione italiana totale è di circa 59 milioni di abitanti (dati Istat 2024). Considerando solo gli adulti (circa l'80% della popolazione, ovvero intorno ai 47 milioni), circa 9,1 milioni di italiani adulti frequentano la messa almeno una volta alla settimana.

Questi numeri riflettono una secolarizzazione in atto, con l'Italia che rimane comunque tra i paesi europei con la più alta pratica religiosa (rispetto al 3-8% nel Nord Europa), ma con un futuro incerto a causa del basso coinvolgimento delle nuove generazioni.

Nel 2023, i cattolici europei erano circa 280 milioni, ma solo il 10-15% partecipava regolarmente.

Se guardiamo il dato dei seminaristi in Italia, vediamo un calo impressionante: dal 1970 il numero è diminuito di oltre il 70%, passando da quasi 6.500 a circa 1.800.

L'Italia, come gran parte dell'Europa, sta vivendo una crisi profonda delle vocazioni religiose, con un calo costante e significativo sia per le suore (religiose femminili) sia per i frati (religiosi maschili non sacerdotali). Le suore, sono passate dalle 153.762 del 1970 alle 66 mila del 2022 con un'età media altissima (oltre il 46% ultrasettantenni nel 2014, trend in peggioramento).

I frati erano circa 3.754 nel 2002 e sono diventati 3.391 nel 2012.

Anche per i sacerdoti dal 1990 al 2020, il numero è diminuito di circa 6.400 unità (-16,5%), con un'accelerazione negli ultimi 10 anni (-11%).

La Conferenza Episcopale Italiana, che è diventata di fatto il think tank del Pd, e che ha sostituito le sezioni di partito con gli oratori, opera, in un mondo dove l’adesione popolare al culto cattolico è in calo vertiginoso. E lo è anche, probabilmente, per il fatto che sentendo alcune esternazioni di preti e di vescovi italiani sembra di essere non in un consesso religioso, ma di politica progressista globalista neocon.

Va inoltre considerato che il cardinale Matteo Zuppi è assai legato, in quanto lì formatosi, alla Comunità di sant’Egidio che, fra le altre cose è una sorta di ministero degli Esteri vaticano non ufficiale ed è uno degli attori principali degli accordi tra Vaticano e Cina.

Della Comunità di sant’Egidio si sono tenuti in questi giorni e si concludono oggi a Roma i lavori della 39.ma edizione dell'Incontro Internazionale tra leader religiosi e uomini di cultura sul tema: "Osare la pace".

Incontro al quale ha partecipato il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella.

Il 7 maggio 2024, Sandro Magister, noto vaticanista, ha dedicato uno studio molto documentato al movimento Sant’Egidio. Per il vaticanista: «Francesco sembra privilegiare la Comunità Sant’Egidio in maniera smisurata. E questo dà i suoi frutti: con l’occupazione di sempre più posti nelle alte sfere della Chiesa».

Magister spiega: «Ciò che lega l’attivismo geopolitico della Sant’Egidio a quello di Papa Francesco è una visione comune, sostenuta da Mario Giro negli articoli da lui redatti nel quotidiano Domani, che vede nel “Global South” di Africa, di Asia e d’America latina l’alternativa alla dominazione degli Stati Uniti e dell’Europa, che l’argentino Jorge Mario Bergoglio ha sempre detestato in cuor suo».

Tuttavia, nota il vaticanista, questa sfiducia nei confronti degli Stati Uniti e dell’Europa «non impedisce alla Comunità di adulare e di elogiare le più alte autorità politiche dell’Occidente: dal Segretario di Stato della presidenza Clinton, Madeleine Albrigt, definite “persone meravigliose”, ad Angela Merkel, passando per Emmanuel Macron.

Sandro Magister segnala che un segno molto visibile della «predilezione che Francesco per la Sant’Egidio» consiste «nel crescente numero di nomine episcopali appartenenti alle sue fila».

Ricordava Magister che «Il cardinale George Pell, con la competenza che gli si riconosce in materia, amava dire: “Attenzione, perché se Zuppi fosse eletto dal Conclave, il vero Papa sarebbe Andrea Riccardi”. Cioè l’onnipotente fondatore della Comunità, celebre specialista di Storia delle Chiesa. «Già Ministro per la Cooperazione Internazionale, insignito nel 2009 del Premio Carlo Magno, e in lizza nel 2002 per la Presidenza della Repubblica Italiana, è il solo ad avere il potere di tirare tutti fili di questa formidabile macchina che è la Sant’Egidio».

Zuppi non è diventato Papa.

Non da sottovalutare il fatto che dal 2013, sotto papa Francesco, la Comunità ha sostenuto attivamente il dialogo tra Vaticano e Cina, in particolare sull'Accordo Provvisorio del 2018 sulle nomine episcopali. Questo patto, rinnovato nel 2020 e 2022, mira a unire la Chiesa "ufficiale" (Patriottica, riconosciuta dal governo) e quella "sotterranea" (fedeli alla Santa Sede). Sant'Egidio è stata tra i principali "sponsor" di questa linea dialogante, come evidenziato da articoli che la descrivono come un attore influente nella diplomazia vaticana.

La Chiesa italiana, pertanto, per tutta una serie di motivi, si è ormai attestata su un terreno che, nel contesto mondiale sembra essere perdente, sia in ambito geopolitico, sia in quello religioso.

Il progressismo è nella sua fase calante e isterica. All’orizzonte si affacciano chiese tradizionaliste che attraggono e crescono. Fare la parrocchia del progressismo, evidentemente, non rende.

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