"L'accordo sull'inizio del processo di pace ha regalato una scintilla di speranza in Terra Santa. Incoraggio le parti coinvolte a proseguire con coraggio il percorso tracciato verso una pace giusta, duratura e rispettosa delle legittime aspirazioni del popolo israeliano e del popolo palestinese".
Così Leone XIV all’Angelus di ieri.
Leone XIV traccia, così le coordinate, entro le quali muoversi per avere, nel contempo, la reale percezione della fragilità dell’accordo e la responsabilità di agire per consolidarlo.
Per consolidarlo è necessario uscire dalla cialtroneria politica alla quale ci ha abituato la sedicente sinistra di casa nostra è guardare, con molta attenzione ai fatti, come fa, in questo stesso numero del giornale Giulio Galetti, con una fotografia molto interessante dei clan presenti nella Striscia.
Quanto affermato da Leone XIV ha assieme alla speranza anche la lucidità della constatazione della fragilità dell’accordo. Fragilità che ben mette in luce anche Antonelli Tomanelli su questo numero del giornale.
Lo sforzo da fare è capire, distinguere, approfondire e aiutare, per quanto ci è possibile, anche da semplici cittadini o cronisti di quanto avviene, il processo di pace.
Nonostante la sedicente sinistra non riesca nemmeno a dire che l’accordo è frutto di Donald Trump, oggi ci sarà un incontro fra il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e quello statunitense e si proseguirà con una sessione plenaria a cui parteciperanno capi di Stato e di governo.
Giornata intensa, che prevede anche incontri bilaterali.
L’Italia è presente con Giorgia Meloni, la quale offrirà la disponibilità italiana sul fronte della governance della Striscia e la per la stabilizzazione e la ricostruzione.
Uno degli impegni, complesso e non privo di rischi, potrebbe essere che siano gli italiani a rimuovere mine terrestri e gli ordigni bellici a Gaza. L’operazione sarebbe affidata al Genio dell’esercito. Potrebbero essere impegnati anche 200 carabinieri per addestramento e affiancamento delle truppe arabe che garantiranno la pace.
Il tutto dovrebbe essere nell’ambito di una Forza internazionale sotto l’egida dell’Onu.
Nella mattinata di oggi saranno liberati gli ostaggi, che Trump incontrerà in mattinata prima di tenere un discorso al Parlamento israeliano e di proseguire per Sharm el-Sheikh, dove dovrebbe arrivare verso le 12,45.
Nel frattempo arrivano notizie assolutamente fondamentali, come quella che l'Anp è pronta a collaborare con il presidente Usa Donald Trump e l'ex primo ministro britannico Tony Blair nel loro sforzo "di consolidare il cessate il fuoco a Gaza, l'invio di aiuti e l'avvio della ricostruzione".
Ad affermarlo è su X Hussein al-Sheikh, vice capo dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina, dopo aver incontrato l'ex premier inglese in Giordania. Il piano di Trump prevede la possibilità che l'Anp assuma il controllo di Gaza solo dopo aver completato le riforme. Prima Gaza dovrebbe essere amministrata da un comitato tecnico palestinese supervisionato da un organismo internazionale presieduto da Trump e Blair.
Altra notizia fondamentale, che viene da una fonte vicina al team negoziale di Hamas è che l’organizzazione terroristica non parteciperà al governo di Gaza del dopoguerra. "Per Hamas, il governo della Striscia di Gaza è una questione chiusa – ha affermato la fonte - Hamas non parteciperà affatto alla fase di transizione, il che significa che ha rinunciato al controllo della Striscia, ma rimane una parte fondamentale del tessuto palestinese".
Non mancano, ora che la pace è avviata, le rivelazioni sull’atteggiamento dei Paesi arabi, i quali, nonostante condannassero la guerra nella Striscia di Gaza, hanno silenziosamente ampliato la cooperazione in materia di sicurezza con l'esercito israeliano.
A rivelarlo sono documenti statunitensi riservati ottenuti dal Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi (Icij) e pubblicati oggi dal Washington Post.
I legami militari erano entrati in crisi dopo l'attacco aereo israeliano di settembre in Qatar, ma ora, secondo il giornale, potrebbero svolgere un ruolo chiave nella supervisione del nascente cessate il fuoco a Gaza. Il giornale ricorda che negli ultimi tre anni, con il supporto degli Stati Uniti, alti funzionari militari di Israele e di sei paesi arabi si sono incontrati per una serie di riunioni di pianificazione in Bahrein, Egitto, Giordania e Qatar. I paesi arabi coinvolti in questa collaborazione in materia di sicurezza avevano tutti espresso il loro sostegno al piano in 20 punti di Trump per porre fine alla guerra di Gaza. Il piano prevede che gli stati arabi partecipino al dispiegamento di una forza internazionale a Gaza per addestrare una nuova forza di polizia palestinese nella regione.
In una dichiarazione congiunta, cinque dei sei paesi arabi hanno affermato di sostenere l'istituzione di un meccanismo che "garantisca la sicurezza di tutte le parti", ma non si sono ancora impegnati pubblicamente a schierare forze militari.
Il Qatar, la cui capitale è stata colpita il 9 settembre da missili israeliani contro i leader di Hamas, era uno dei paesi che avevano silenziosamente rafforzato i legami con l'esercito israeliano. Nel maggio 2024, come mostrano i documenti, alti funzionari militari israeliani e arabi si sarebbero riuniti presso la base aerea di al-Udeid, un'importante base militare statunitense in Qatar. Un documento di pianificazione per l'evento, redatto due giorni prima del suo inizio, mostra che la delegazione israeliana avrebbe dovuto raggiungere direttamente la base aerea, aggirando i punti di accesso civili del Qatar che avrebbero potuto esporre il pubblico. I documenti mostrano anche che la minaccia rappresentata dall'Iran è stata la forza trainante dietro i legami più stretti, promossi dal Comando Centrale delle forze armate statunitensi, noto come Centcom. Oltre a Israele e Qatar, il "Regional Security Construct" include Bahrein, Egitto, Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. I documenti si riferiscono a Kuwait e Oman come "potenziali partner" informati su tutti gli incontri.
Questi i fatti che si susseguono e che sono miliardi di anni luce di distanza dalla cialtronaggine di un’opposizione italiana al Governo, sedicente di sinistra, flottillata nel cervello, che alla disperazione unisce l’insopportabile proposizione di menzogne e di acredine immotivata.
A sinistra si finge di festeggiare per i risultati raggiunti da Donald Trump, ma la scorsa settimana alla Camera infatti, nella mozione votata dal centro destra, che impegnava il governo a sostenere il piano di Washington, i principali partiti di opposizione - Pd, M5s e Avs - avevano votato contro.
Elly Schlein commenta l'annuncio dell'accordo tra Israele e Hamas per la prima fase del piano di pace dicendo che i prossimi passi devono essere percorso per “costruire la soluzione politica dei due popoli e due stati, per avviare il riconoscimento dello stato di Palestina e porre fine all'occupazione illegale in Cisgiordania".
Elly ha chiesto a Meloni di riconoscere lo Stato di Palestina, ancora una volta forzando la mano su un percorso che necessita cautela.
Giuseppe Conte, al Tg1 chiede di "pensare a tutti i palestinesi sopravvissuti al genocidio che finalmente possono vedere una Gaza dove tacciano le armi e arrivano gli aiuti umanitari” e si augura che “questo primo passaggio segni una svolta definitiva nel processo di pacificazione e possa garantire un processo di pacificazione che metta al centro l’effettiva autodeterminazione del popolo palestinese, più che calcoli, speculazioni che nulla hanno a che fare con il suo benessere”.
Non riescono a nominare Trump Beatrice Lorenzin, vicepresidente dei senatori del Pd o Laura Boldrini, la quale riesce a dire che l’accordo è “il frutto delle straordinarie mobilitazioni che da molti mesi portano milioni e milioni di persone nelle piazze di tutto il mondo”.
Tino Magni, sempre Avs: "L'Europa è mancata come protagonista politico, così come anche il governo italiano. C'è stata invece la marea umana dei cittadini che ha invaso le piazze del paese contro il genocidio ai danni del popolo palestinese e per fermare la guerra. Ringrazio chi ha rischiato di persona nelle flottiglie umanitarie. Occorre continuare con determinazione su questa strada". Stessa linea per Marco Grimaldi, deputato di Avs, che nella trasmissione ReStart su Rai3, alla domanda se Trump meriti il Nobel per la Pace, risponde: “Lo meritano i popoli scesi in piazza”. E allora su, nominiamo Landini per il Nobel!
Ora Giuseppe Conte scopre, assieme ai soliti tartufi di una sinistra pseudo pacifista, che l’Italia dovrebbe investire per i poveri e non in armi.
Peccato che lui, con i suoi governi, abbia investito in armi come tutti gli altri.
Giuseppe Conte ha guidato due governi in Italia: il primo (dal giugno 2018 al settembre 2019, coalizione M5S-Lega) e il secondo (dal settembre 2019 al febbraio 2021, coalizione M5S-PD-LeU).
In questo periodo, nonostante le posizioni originariamente pacifiste del M5S, la spesa per la difesa è aumentata sia in valore assoluto che in rapporto al PIL, in linea con gli impegni NATO assunti dal 2014 (obiettivo del 2% del PIL entro il 2024, con almeno il 20% destinato a investimenti in equipaggiamenti). Gli aumenti non sono stati drastici come in periodi successivi, ma hanno riguardato principalmente il rafforzamento delle capacità militari, inclusi acquisti di armamenti e sistemi d'arma.
La spesa militare italiana è passata da circa 23,4 miliardi di dollari (valori 2015) nel 2018 a 25,6 miliardi nel 2021, con un incremento medio annuo del 3-4%. In rapporto al PIL, è scesa leggermente nel 2019 (all'1,18%) per via della crescita economica, ma è risalita all'1,41% nel 2021, influenzata anche dalla pandemia. Questo trend è in continuità con gli anni pre-Conte (Renzi-Gentiloni, Pd), ma sotto i governi Conte si è accentuato il focus sugli investimenti in armamenti (da circa il 10% al 29% del budget totale).
Oggi è giornata intensa e anche storica. Tutta da seguire minuto per minuto.