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ARTICOLI DEL DIRETTORE

ROMA LAVORA PER LA “COMUNITÀ MEDITERRANEA” E I FILO FRANCESI REMANO CONTRO

ROMA LAVORA PER LA “COMUNITÀ MEDITERRANEA” E I FILO FRANCESI REMANO CONTRO

L’Italia lavora per costruire una comunità mediterranea, quella che Carlo Pelanda, politologo ed economista, chiama l’Ekumene e che altri definiscono il Mediterraneo allargato.  Allargato al Medio Oriente e agli Accordi di Abramo, da estendere al continente africano.

Siamo in presenza del fulcro del Sud economico e geostrategico dell’Europa, essendo l’altro fulcro, quello del Nord, l’Artico, affare in gran parte degli Stati Uniti e della Russia, con buona pace degli Stati baltici che contano, nella partita, solo come vassalli di vecchie famiglie monarchiche in quota inglese, ma ormai fuori gioco. L’Ucraina e il fronte dell’Est sono residuali.

L’attivismo italiano nel Mediterraneo allargato non piace ai colonialisti inglesi e francesi e ai loro vassalli italiani, sempre pronti a difendere gli interessi altrui e non quelli del Bel Paese.

In particolare, gli italioti filo francesi, che in Italia hanno un loro vero e proprio partito e  che sono sempre in fila per la  Legion d’Onore, con manovre sghembe, ma identificabili, mettono i bastoni tra le ruote di una strategia (Piano Mattei, Mediterraneo Allargato) che è in linea con gli interessi Usa e che non è gradita ai colonialisti anglo francesi, peraltro cacciati in malo modo dall’Africa e poco amati nel Medio Oriente.

Dopo gli incontri di fine luglio con Algeria e Tunisia, il primo di agosto, Giorgia Meloni ha avuto un incontro trilaterale con il Presidente della Repubblica di Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, e con il Primo Ministro del Governo di Unità Nazionale libico, Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh.

Gli incontri sono il segno di una strategia del Governo italiano che segue le linee del Piano Mattei, ma che si allarga alla questione aperta del nuovo Accordo di Abramo e, più in generale, degli equilibri del Mediterraneo, che implicano enormi questioni energetiche, delle vie commerciali e dei nuovi assetti dell’Africa del Nord e del Medio Oriente.

Giorgia Meloni ha avuto un incontro a porte chiuse con il presidente turco, che ha successivamente ricevuto il leader libico, per un incontro a tre. Presenti al summit anche rappresentanti del governo di Ankara: il ministro degli Esteri, il numero uno dei servizi segreti e il consigliere per la politica estera e sicurezza.

In una nota, Ankara ha evidenziato "l'importanza della collaborazione tra Turchia, Italia e Libia" per tutto il Mediterraneo. Una collaborazione per Erdogan "essenziale" al fine di "prosciugare le fonti che alimentano l'immigrazione clandestina". 

Il rafforzamento della cooperazione è un punto essenziale per Meloni, centrale “per rispondere alle sfide comuni, a partire da quella della gestione dei flussi migratori". Ricordando "gli eccellenti risultati raggiunti in questo ambito con la Turchia”, la premier “ha sottolineato l'opportunità di valorizzare le lezioni apprese, applicandole anche per il sostegno all'azione del Governo di Unità Nazionale libico in ambito migratorio”.

Meloni ha ribadito l'impegno dell'Italia per la stabilità, l'unità e l'indipendenza della Libia e il sostegno a un processo politico a guida libica e con la facilitazione delle Nazioni Unite, che conduca a elezioni.

Erdogan "ha sottolineato che la comunità internazionale ha una grande responsabilità nello stabilire un cessate il fuoco immediato e nel fornire aiuti umanitari il prima possibile".

L'Italia è il quinto partner commerciale della Turchia, il secondo in Europa dopo la Germania e il primo nel bacino del Mediterraneo. Il commercio tra i due Paesi ha superato i 32 miliardi di dollari nel 2024. Numeri che segnano una crescita del 15% rispetto al 2023.

 In particolare, la cooperazione Italo-Turca ha un importante capitolo nel settore della difesa. Lo scorso 5 marzo, Leonardo e la turca Baykar (guidata dal genero di Erdogan, Selcuk Bayraktar, che ha acquisito Piaggio-Aerospace), hanno firmato un'intesa per una collaborazione nello sviluppo dei “velivoli senza pilota”. Una mossa che arriva in un momento in cui il dibattito sulla sicurezza è al centro della politica europea.

La presenza del leader libico Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh Dbeibah conferma i comuni interessi di Turchia e Italia nel Mediterraneo Orientale. Il comunicato libico conferma che l'importanza assunta da Ankara in Libia può essere una chiave sia nel contenimento dei flussi migratori che nelle future politiche energetiche.

Quando ci si approccia alla Turchia, non si può non considerare il suo ruolo centrale in alcune aree sensibili, come il Mar Nero, il Mar Caspio, la Siria e non si può ignorare il fatto che, pur essendo Ankara nella Nato, intrattiene rapporti importanti con la Russia.

Le relazioni tra Turchia e Russia non sono lineari e sono caratterizzate da una combinazione di cooperazione e competizione, spesso definita come un rapporto di "frenemies" (amici-nemici).

Negli ultimi anni, i due paesi hanno sviluppato una partnership strategica in alcuni settori, ma rimangono divisi su questioni geopolitiche cruciali.

La Turchia dipende fortemente dalla Russia per il gas naturale, che rappresenta circa il 33% del suo fabbisogno energetico, trasportato attraverso gasdotti come Blue Stream (2003) e TurkStream (2020). Inoltre, la Russia sta costruendo la prima centrale nucleare turca ad Akkuyu, gestita da Rosatom, con la prima unità prevista per il 2025 e il completamento entro il 2028.

Riguardo al commercio la Russia è il terzo partner commerciale della Turchia, con un interscambio di circa 35 miliardi di dollari nel 2021. La Turchia è una meta turistica di primaria importanza per i russi (20% dei turisti stranieri nel 2021) e funge da snodo per la raffinazione del petrolio russo, eludendo parzialmente le sanzioni occidentali.

Nel settore della difesa l'acquisto del sistema missilistico S-400 russo nel 2019 ha segnato un punto di svolta, rafforzando la cooperazione militare, ma causando tensioni con la Nato, che ha espulso la Turchia dal programma F-35 e imposto sanzioni.

In contesti come il Nagorno-Karabakh, Russia e Turchia hanno collaborato, ad esempio con un'infrastruttura militare congiunta in Azerbaigian per monitorare la tregua con l'Armenia (2021).

Infine, la Turchia ha cercato di avvicinarsi al blocco BRICS, ottenendo lo status di "paese partner" nonostante il rifiuto di un'adesione completa, in parte a causa delle riserve di Cina e India.

Tra Russia e Turchia non mancano gli elementi di conflitto. In Siria la caduta di Assad ne ha riacceso la rivalità, con Ankara che cerca di espandere la sua influenza nel nord della Siria, mentre Mosca mantiene il sostegno ai curdi e cerca concessioni nel processo di riconciliazione con Damasco.

In Libia la Russia supporta Haftar, mentre la Turchia sostiene il governo di Tripoli.

Nel Nagorno-Karabakh la Turchia ha armato l'Azerbaigian, mentre la Russia ha sostenuto l'Armenia, pur mantenendo un ruolo di mediatore.

La competizione per la supremazia nel Mar Nero è storica. La Turchia controlla gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, regolati dalla Convenzione di Montreux (1936), e ha chiuso l'accesso alle navi da guerra russe e ucraine nel 2022 per limitare l'escalation.

Riguardo all’Ucraina, la Turchia ha assunto un ruolo di mediatrice nel conflitto russo-ucraino, ospitando negoziati a Istanbul (2022 e 2025) e ottenendo successi come l'accordo sul grano (2022-2023). Il sostegno militare a Kiev, inclusa la fornitura di droni Bayraktar TB2, ha irritato Mosca, mentre Ankara ha evitato di imporre sanzioni alla Russia, causando preoccupazioni tra gli alleati Nato.

Quando si ragiona della Turchia è anche necessario fare i conti con la dottrina geopolitica della "Patria Blu" (in turco Mavi Vatan): una dottrina geopolitica e strategica della Turchia che sottolinea l'importanza delle sue acque territoriali, della piattaforma continentale e della zona economica esclusiva (ZEE) nel Mediterraneo orientale, nel Mar Egeo e nel Mar Nero.

Promossa principalmente dal governo turco e dall'ammiraglio Cem Gürdeniz, questa visione mira a rafforzare il controllo e l'influenza della Turchia sui mari circostanti, considerati vitali per la sicurezza nazionale, le risorse energetiche (come i giacimenti di gas naturale) e il commercio marittimo.

La Turchia rivendica diritti su vaste aree marine, in particolare nel Mediterraneo orientale, dove si sovrappongono alle zone economiche esclusive di altri paesi, come Grecia e Cipro, causando tensioni geopolitiche. La scoperta di giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale ha intensificato l'interesse turco per il controllo di queste aree, con operazioni di esplorazione condotte da navi come la Oruç Reis.

La Patria Blu riflette l'ambizione della Turchia di diventare una potenza marittima regionale, supportata da una marina militare sempre più moderna e da accordi come quello con la Libia (2019) per delimitare le ZEE.

Egitto, Israele e Francia hanno interessi concorrenti nella regione, complicando ulteriormente la situazione.

Ed eccoci giunti ad un elemento cruciale di analisi: il ruolo della Francia. Un problema tutto italiano, in quanto nel Bel Paese è presente un “Partito dell’Eliseo” che guarda più agli interessi francesi che a quelli italiani e che rema contro al rapporto tra Washington e Roma.

Il ruolo della Francia nel Mediterraneo è storicamente e strategicamente significativo, grazie alla sua posizione geografica, alla sua eredità coloniale e ai suoi interessi politici, economici e militari.

La Francia, in epoca coloniale (XIX-XX secolo), controllava territori come Algeria, Tunisia e Marocco.

Potenza militare nel Mediterraneo, la Francia, con la sua marina militare, con base a Tolone partecipa attivamente a missioni di sicurezza, come la lotta al terrorismo, il controllo della pirateria e la gestione dei flussi migratori. È anche coinvolta in operazioni Nato e in missioni internazionali, come quelle in Libia (2011) e contro l'ISIS in Siria e Iraq.

L’operazione in Libia del 2011 è stata condotta dalla Francia in associazione con l’Inghilterra, contro gli interessi italiani, anche se l’Italia, grazie al presidente Giorgio Napolitano ha collaborato a farci del male. L’operazione anti Gheddafi non solo ha disastrato la Libia, ma ha rappresentato il tentativo anglo francese di metter in difficoltà la presenza dell’Eni in Libia. L’operazione libica è da considerarsi a tutti gli effetti un’operazione anglo francese anti italiana.

La Francia ha promosso iniziative di cooperazione regionale, come l’Unione per il Mediterraneo (UpM), lanciata nel 2008 per rafforzare i legami tra Europa e paesi del Mediterraneo meridionale.

In rapporto alla via del Cotone, la Francia si propone come futura alternativa, con il suo porto di Marsiglia, ai porti italiani di Trieste e di Genova, come hub strategico per il commercio europeo.

Conflitti come quello in Libia o le dispute sulle risorse energetiche nel Mediterraneo orientale (es. tra Turchia e Grecia) vedono la Francia coinvolta, spesso in competizione con altri attori come Turchia o Russia.

Il ruolo della Francia nel Mediterraneo, in particolare in relazione all'Italia, è stato storicamente caratterizzato da una dinamica di cooperazione e competizione, plasmata dalla vicinanza geografica, dalle ambizioni coloniali e dagli interessi strategici.

Francia e Italia si sono a lungo contese l'influenza nel Mediterraneo, in particolare nel Nord Africa. Un momento cruciale fu l'occupazione francese della Tunisia nel 1881, che l'Italia percepì come un tradimento, noto come "Schiaffo di Tunisi". L'Italia aveva significativi interessi economici e una numerosa comunità italiana in Tunisia, ma la mossa della Francia, sostenuta da Gran Bretagna e Germania, assicurò il suo predominio nella regione, frustrando le aspirazioni italiane di controllare il Mediterraneo centrale. Questo evento tese le relazioni e spinse l'Italia verso la Triplice Alleanza con Germania e Austria-Ungheria.

La rivalità si estese ad altre aree, come la Libia e il Corno d'Africa, dove la Francia cercò di mantenere la propria influenza sugli ex territori ottomani e di contrastare le ambizioni coloniali dell'Italia.

Durante la Prima Guerra Mondiale, Francia e Italia erano alleate, ma le tensioni persistevano a causa delle ambizioni territoriali dell'Italia nel Mediterraneo, tra cui le rivendicazioni su Corsica, Nizza e Tunisia.

Nella Seconda Guerra Mondiale, l'intervento dell'Italia contro la Francia nel 1940 (la Battaglia delle Alpi) fu segnato da un successo limitato, con le ambizioni di Mussolini di predominio nel Mediterraneo frenate dai fallimenti militari e dalla dipendenza dalla Germania. L'Italia occupò parti della Francia sudorientale e della Corsica nel 1942, ma queste conquiste furono annullate dopo l'armistizio del 1943.

Dopo la seconda guerra mondiale, Francia e Italia divennero membri fondatori della Comunità Europea, della Nato e del G7, promuovendo la cooperazione. Tuttavia, la visione della Francia come potenza mediterranea si scontrò spesso con il desiderio dell'Italia di affermare il primato nel Mediterraneo centrale, in particolare in aree come la Libia e la Tunisia.

L'intervento libico del 2011 ha evidenziato il ruolo assertivo della Francia nel Mediterraneo. Sotto la presidenza di Sarkozy, la Francia ha guidato gli sforzi militari per estromettere Gheddafi, con l'obiettivo di riaffermare la propria leadership politico-militare nella regione e all'interno dell'UE. Questa mossa ha emarginato l'Italia, che aveva forti legami economici con la Libia attraverso l'ENI e una storia di impegno sotto Berlusconi. Le accuse secondo cui i raid aerei francesi avrebbero preso di mira le strutture dell'ENI e le tensioni sulle motivazioni politiche interne di Sarkozy hanno ulteriormente teso le relazioni.

Venendo ai nostri giorni, la Francia ha criticato la politica italiana dei "porti chiusi" sotto Salvini, mentre l'Italia ha accusato la Francia di destabilizzare la Libia, contribuendo ai flussi migratori. La crisi diplomatica del 2018-2019, culminata con il richiamo del suo ambasciatore da parte della Francia, ha riflesso queste tensioni. Nel 2022, la reazione della Francia al rifiuto dell'Italia di accogliere la nave Ocean Viking (con 234 migranti) è stata ritenuta "incomprensibile" dal Primo Ministro italiano Meloni, dato che l'Italia aveva accolto quasi 90.000 migranti quell'anno. La minaccia della Francia di isolare l'Italia ha evidenziato le tensioni in corso sulle responsabilità condivise nel Mediterraneo.

L'accordo di Caen del 2015 sui confini marittimi ha suscitato polemiche in Italia, con la cessione alla Francia di diritti di pesca e di gestione delle risorse vicino alla Sardegna. Sebbene la Francia abbia ammesso errori nelle mappe pubblicate, l'episodio ha alimentato la percezione di un'eccessiva influenza francese nel Mediterraneo.

L'interesse strategico della Francia nel mantenere la libertà di navigazione e l'influenza in Nord Africa (ad esempio, Tunisia e Algeria) contrasta spesso con l'obiettivo dell'Italia di essere un hub regionale, promuovendo una dinamica competitiva.

La Francia, per concludere, si pone come competitor dell’Italia nella migliore delle ipotesi e nella peggiore come avversario, contrastando non solo il lavoro di Roma per la costruzione di quella che Carlo Pelanda chiama l’Ekumene, ma anche le linee politiche contrarie al neocolonialismo dell’Amministrazione Usa.

Francia e Inghilterra continuano ad essere gli esponenti di una finanza globalista e neocoloniale che contrasta decisamente con l’approccio del Piano Mattei e con le logiche degli Usa in versione Donald Trump.

In questo quadro tutte le esternazioni dissonanti, o addirittura contrarie alla costruzione della logica del Mediterraneo allargato o decisamente filo francesi devono essere stigmatizzate come posizioni anti italiane. Chi vuole fare gli interessi della Francia si trasferisca oltralpe.

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