di Antonio Foccillo
Voglio ritornare su due fatti che non possono essere confinati solo al momento in cui sono accaduti. Questi hanno evidenziato la gravità della preoccupante escalation della violenza nel nostro Paese senza che nessuno sia intervenuto per debellare questa piaga. Sono: l’attacco al giornale La Stampa e le dichiarazioni dell’Albanese che, ha si stigmatizzato l’accadimento, ma ha anche dichiarato che è un avvertimento per i giornalisti.
Mentre per il primo è un attacco che ricorda avvenimenti luttuosi e terroristici che sembravano passati e sui quali bisogna sempre mantenere una vigilanza e un’attenzione e non vanno per niente sottovalutati. Sul secondo è una dichiarazione assurda e preoccupante da condannare senza se e senza ma, soprattutto perché potrebbe essere presa in considerazione da qualcuno per fomentare un atto violento. Cosa significa avvertimento e per quale motivo lo si fa? Forse perché si vuole inibire la libertà di parola o si vuole assoggettare il giornalista al proprio volere? In tutti i casi è inaccettabile.
In un Paese democratico il sistema dell’informazione deve essere libero di “informare” tenendosi al di sopra delle parti. Al di là delle solite note sugli attuali assetti proprietari che tutti conoscono, il problema è, come si formano obiettivamente le opinioni delle persone? Vi è un tentativo, ormai sempre più evidente di delegittimare tutte le diverse opinioni e le organizzazioni rappresentative, perché rischiano di far pensare diversamente i cittadini dal volere di chi comanda.
Tutto deve essere nuovo, tutto può essere deciso sempre in ambiti più ristretti e limitati. Chi si oppone è considerato un eretico da condannare. Basta guardare qualche trasmissione politica o d’informazione e valutare le opinioni che si diffondono, per verificare come si orienta il consenso o il dissenso. Da ciò poi, nascono sondaggi, che senza nessuna obiettività scientifica, diventano di opinione comune.
Lo stato della democrazia nel nostro Paese è certamente da valutare dove sta andando, perché un sistema si dice democratico, quando vi è un equilibrio fra i diversi poteri costituzionali, con opportuni pesi e contrappesi; quando vi è in controllo dell’operato della maggioranza da parte della minoranza; quando c’è una dialettica ampia e articolata, dando spazio al pluralismo delle idee; quando il cittadino può partecipare alle decisioni o attraverso coloro che elegge o attraverso le forme di rappresentanza (partiti e sindacati); quando vi è un’informazione che è in grado di contestare al potere, qualunque esso sia, le sue magagne.
Ebbene oggi tutto questo è in forse o non c’è più: non vi è nessuna legittimazione delle forme di rappresentanza, sempre meno ci sono sedi di partecipazione democratica dove poter affermare la propria soggettività; non vi è nessun rapporto fra il rappresentante e il rappresentato.
Se non si ripristina una correttezza istituzionale, dove le regole valgono effettivamente e dove appunto ognuno può svolgere il ruolo per cui è preposto o è delegato, difficilmente il cittadino potrà trovare spazi nelle decisioni politiche.
In questa situazione in ruolo dei giornalisti resta molto importante, infatti, c’è bisogno di un reale sistema d’informazione autonomo e in grado di rifiutare di trasmettere solo le veline che gli passa il potere.
Oggi i media non passano un momento felice: sempre meno le quantità delle copie dei giornali; una continua riduzione di personale; sempre più giornalisti con contratti a tempo o pagati a pezzo e spesso anche impossibilitati a fare inchieste, per evitare che non sia rinnovato il loro accordo per continuare il lavoro nella redazione.
In più le persone abusano di informazioni e notizie su Internet, con i suoi social, che dipingono spesso una realtà fantasiosa, attraverso un’informazione distorta e falsa. Naturalmente, chi la pensa diversamente e dissente dai loro dogmi, viene messo al bando.
Inoltre, bisogna fare i conti con quella realtà che Jean-Jacques Wurenburger[1] ha decritto nel suo saggio “L’uomo nell’era della Television”, dove evidenzia i pericoli della seduzione retorica, di cui sono spesso portatori i mondi artificiali mediati dalle tecnologie, che oggi hanno trovato una diffusione sempre più ampia, condizionando anche il mezzo televisivo, il più straordinario e insuperabile strumento di destabilizzazione della realtà sociale.
Così avviene una distorsione sistematica dei fatti e dei loro significati ad opera della demagogia e della propaganda. La verità spesso è celata dalla ragione di Stato o dal perseguimento di soli interessi economici e ciò induce una violenza psicologica nei cittadini, con l’effetto di limitarne la libera determinazione dei comportamenti nell’esercizio dei diritti individuali e collettivi. Il processo di autodeterminazione è posto in discussione e così si generano ingiustizie e violazioni delle libertà.
Sono sempre più che convinto, anche oggi, che nel rispetto delle opinioni di tutti, il pluralismo è il sale della democrazia, e solo l’esistenza di relazioni anche contrapposte, dove ogni soggetto svolga la sua funzione, alimenta e da forza alla democrazia.
Per questo non è accettabile che si possa attaccare un giornale e si possono dare avvertimenti ai giornalisti. Sono una parte importante del pluralismo democratico e della possibilità di avere un confronto a più voci per dare vita a un’opinione pubblica che abbia di nuovo voglia di riprendersi gli spazi partecipativi e ridare fiato a regole di una società diversa nella quale, con il contributo dei pensieri critici, liberi e professionali, si possa realizzare sempre più democrazia.
La democrazia e la partecipazione si salvaguardano anche con la libertà di stampa.
[1] J.J Wurenburgerm 2005, L’uomo nell’era della televisione, Ipermedium, Napoli








