Di Lucio Leante
I maggiori paesi dell’Unione Europea, ieri a Ginevra, dopo un incontro con una delegazione ucraina, si sono contrapposti (con parziali dissensi tra cui quello dell’Italia) al piano del presidente americano Donald Trump, formulando un loro piano alternativo. Ma il segretario di stato americano, Marc Rubio, dopo un suo incontro separato, sempre a Ginevra, con un’altra delegazione ucraina di alto livello, ha ignorato alla grande il dissenso europeo ed ha dichiarato che il suo incontro con gli ucraini “è stato il più produttivo finora mai avuto”, riscuotendo a caldo e sul posto la conferma del braccio destro di Zelensky, Andrij Yermak. È stata una doccia fredda per gli europei.
Il presidente ucraino Volodomyr Zelensky, non presente a Ginevra, ha fatto il proverbiale “pesce in barile” esprimendo solo un’accorata “gratitudine personale” per il presidente Trump. Si aspettano particolari.
È stato per l’Ue un nuovo smacco che conferma il suo velleitarismo e la sua inconsistenza diplomatica e politica.
La presidente del consiglio italiano, Giorgia Meloni da Johannesburg (dove di trova per il G20), pur augurandosi un cessate il fuoco (si presume immediato) si è espressa contro la presentazione di un piano europeo contrapposto a quello di Trump ed ha invitato gli europei a lavorare su quella base. Ma non è stata ascoltata.
I maggiori paesi europei hanno infatti contrapposto un loro piano, in cui, a differenza di quello di Trump, si pronunciano tra l’altro, per un cessate il fuoco (apparentemente immediato), per la possibilità di un’adesione dell’Ucraìna alla Nato, per una divisione territoriale sulla base della linea di contatto attuale, e per una riduzione dell’esercito ucraino a 800 mila soldati (contro i 600 mila previsti da Trump).
Già l’altro giorno dopo che a Johannesburg i soliti volenterosi europei avevano aspramente criticato il Piano Trump, il vicepresidente americano J. D. Vance aveva dichiarato su X: “Ogni critica al quadro di pace su cui sta lavorando l’amministrazione Usa fraintende il quadro stesso o travisa una realtà critica sul campo”. E aveva aggiunto inesorabilmente: “la pace non sarà fatta da diplomatici o politici falliti che vivono in un mondo di fantasia… ma da persone intelligenti che vivono nel mondo reale”. Come a dire: a Washington e Mosca ci sono i realisti, a Bruxelles ci sono i sognatori. Insomma molto è il disordine sotto il cielo atlantico, e la situazione delle relazioni euro-americane non è affatto eccellente.
Ma ci permettiamo di azzardare una previsione: l’armistizio tra Russia ed Ucraina si farà alle condizioni poste dal presidente americano Donald Trump e da quello russo, Vladimir Putin. I volenterosi europei, i polacchi, i baltici e (“si parva licet”) i giornalisti del giornalone unico nazionale, che oggi strillano scandalizzati “si tratta di un ignobile diktat, un ukaze dei due bulli autocrati” sugli ucraini invasi ed aggrediti (e che magari avrebbero preferito una continuazione della guerra in nome di sacri principi e valori,) dovranno abbozzare ed adeguarsi.
Azzardiamo questa previsione non solo perché “ubi maior minor cessat”. C’è anche questo ma la ragione principale è che sicuramente Trump (ma forse anche Putin) tiene il presidente ucraìno per i proverbiali attributi virili. In chiaro: Trump può minacciarlo e lo sta già facendo. La minaccia non è solo quella della privazione di ogni sostegno militare e finanziario.
L’arma vera della minaccia si basa sulla estesa corruzione che circonda Zelensky ed i suoi ministri. Egli - secondo vari indizi- può temere di essere investito da una specie di tangentopoli ucraìna, una serie di rivelazioni a catena che lo travolgerebbe.
La corruzione diffusa è il suo vero punto debole.
Lo scandalo dell’operazione Midas, esploso, guarda caso a pochi giorni dalla ufficializzazione del piano di pace di Trump, ad opera degli inquirenti dei due organismi indipendenti il Nabu (Ufficio nazionale anti-corruzione e la Sapo (Procura specializzata anti-corruzione). In seguito a quello scandalo due ministri di Zelensky si sono dovuti dimettere. Non solo, ma uno dei più stretti collaboratori ed amici di Zelensky, Timur Mindich è scappato in Israele poco prima di essere arrestato lasciando a casa il suo bagno in oro massiccio e pacchi di banconote da 200 euri.
Ci si potrebbe chiedere: ma cosa c’entra Trump? C’entra eccome perché - come pochi sanno- entrambi questi organismi sono finanziati (e probabilmente controllati) dagli Usa, che li crearono nel 2015 (ma anche dall’Ue). I loro dipendenti sono formati ed istruiti dall’Ocse, (Organizzazione internazionale per lo sviluppo economico che ha sede a Parigi, ma di cui fanno parte preponderante gli Usa. Insomma Nabu e Sapo sono due organismi che molto probabilmente sono controllati in varie maniere (probabilmente anche “coperte”) da Washington. È questo che oggi terrorizza Zelensky il quale ha probabilmente interpretato lo scandalo Midas come un nero avvertimento di Trump: o si adegua o per lui saranno guai seri.
Si ricorderà che, nonostante Zelensky in luglio abbia tentato di mettere i dirigenti del Nabu sotto la dipendenza gerarchica del Procuratore generale (nominato e controllato da lui) quei due organismi, dopo proteste di piazza e rimostranze occidentali, sono rimasti formalmente “indipendenti” e non rispondono al governo di Kiev. Quest’ultimo è praticamente in guerra con quei due organismi e ha scatenato persino il servizio segreto ucraino (Sbu) agitando sospetti di intelligenza con il nemico russo. Ma finora ha ottenuto poco. I suoi timori sono da allora molto cresciuti, specie in vista di inevitabili nuove elezioni che, con il pretesto della guerra in corso è riuscito finora ad evitare, dopo avere messo fuori legge ben 11 partiti di opposizione.
Questo timore può contribuire a spiegare come mai Zelensky, dopo la successiva ufficializzazione del “piano Trump”, abbia smesso i suoi propositi pià bellicosi e abbia messo un freno alle prime rimostranze dei suoi collaboratori e ministri che definivano quel piano come “un diktat inaccettabile”. Egli si è anzi nei giorni scorsi presentato in TV e, rivolgendosi al popolo ucraino, da attore consumato, ha declamato, con accenti churchilliani, che il paese sarebbe davanti ad un bivio: “o perdere la dignità o perdere il suo alleato decisivo”. Il significato reale di quella frase è “o perdere la faccia o finire molto peggio”. Ma a molti sembra che la faccia la abbia già perduta, come la hanno perduta i volenterosi europei che si ostinano a non prenbdere atto che sono i primi ad avere perduto la guerra, dopo averla continuata anche dopo la sconfitta della controffensiva ucraina dellestate del 2023.
Zelensky sembra persino avere raffreddato i bollenti e bellicosi spiriti dei “volenterosi” europei che, anziché tirare un sospiro di sollievo, si sono sentiti spiazzati e scavalcati dalla svolta realista del loro protetto. E oggi a Ginevra hanno voluto “battere un colpo” ad uso di giornali e pubblico. Ma non avranno successo. Lo stesso Zelensky, che oggi tace e si barcamena, probabilmente seguirà il piano Trump e non, per fortuna, quello europeo che può avere solo l’effetto concreto di fare continuare a morire inutilmente gli ucraini.








