GIANCARLO ELIA VALORI
Honorable de l’Académie des Sciences de l’Institut de France Honorary Professor at the Peking University
“Ritrovare i sentieri dell’Europa. Sulla via tracciata da Mario Bergamo”
Dopo aver letto la presentazione di Augusto Vasselli e la prefazione di Antonio Bettelli, che precedono alcuni interventi del nonno dell’Autrice, Mario, – antifascista e segretario del Partito Repubblicano Italiano dal 1925 al 1928 – la mia curiosità è stata stuzzicata. La scrittura dell’Autrice è scorrevole, logicamente chiara e utilizza un linguaggio conciso e di facile comprensione.
Non avrei mai immaginato che ci fossero così tanti temi da considerare nel comparto Italia-Europa, quando si scrive un testo che è una preziosa raccolta di articoli di vario genere.
Scrivere è come fare esercizio fisico: lo sforzo e il tempo che si impiegano di conseguenza, ricompensano il lettore, sia a livello di esercizio mentale che di conoscenza. Al mondo non mancano i professionisti, ma sono poche le persone che condividono il loro sapere e permettono ai lettori di riflettere su esso: dalla clava dell’uomo delle caverne alla vittoria per 2-1 dei calciatori transnistriani sul campo del Real Madrid nella Champions’ League 2021-22 (esattamente il 28 settembre di quattro anni fa).
Scrivere è in realtà la capacità di porre in evidenza i dettagli e collegare cose apparentemente lontane fra loro. L’Autrice scrive con empatia e io ritengo che i lettori entrino in sintonia con le emozioni espresse nei vari interventi.
Dopo aver letto questo libro, mi preme soffermarmi innanziutto su un punto: non potendolo fare con tutti gli argomenti evidenziati, sia perché verrebbe fuori un intervento lunghissimo, e anche in quanto rischierei di annoiare i convenuti.
Il punto è l’Europa di oggi e non quella che pensavano i padri fondatori.
L’Europa attualmente è una figura indifesa e direi patetica – specie in relazione alle recenti proposte di pace degli Stati Uniti d’America per l’Ucraina – perché priva di un piano alternativo unificato. Essa annaspa per far sentire almeno la sua voce ininfluente mentre Washington e Mosca negoziano un accordo che potrebbe mettere da parte non solo gli interessi europei, ma pure quel minimo di credibilità diplomatica che l’è rimasta.
La dipendenza dell’Europa dagli aiuti militari degli Stati Uniti d’America (comprati a caro prezzo) l’ha resa strategicamente vulnerabile e politicamente debole, mentre i leader europei stanno spingendo nei loro tentativi di pace per un maggiore coinvolgimento personalistico e niente di più. Quando manca una forza militare unitaria, i soggetti che si appellano ad altri o a vacui aspetti kantiani di pace universale sono destinati a fallire. Machiavelli afferma: «Dico, adunque, che l’arme con le quali uno principe defende il suo stato, o le sono proprie o le sono mercenarie, o ausiliarie, o miste. Le mercenarie e ausiliarie sono inutile e periculose: e se uno tiene lo stato suo fondato in sulle arme mercenarie, non starà mai fermo né sicuro; perché le sono disunite, ambiziose, sanza disciplina, infedele; gagliarde fra gli amici; fra e’ nimici, vile; non timore di Dio, non fede con gli uomini» (Il Principe, XII, 5). E l’Europa, per iniziare, non ha un esercito suo.
A seguire mi viene in mente un’altra concezione dell’Europa, quella di Charles de Gaulle. In senso letterale, de Gaulle era l’esatto opposto di un euroscettico. Per lui, servire il proprio Paese era, a suo avviso, il modo migliore per servire l’Europa, persino abbracciare l’unica causa degna di nota, quella dell’umanità. Per lui, ciò che ogni popolo deve al mondo è prima di tutto se stesso.
De Gaulle aveva colto istintivamente il principio di sussidiarietà, una delle cui applicazioni era che l’Europa non poteva essere costruita contro gli Stati nazionali. Certo, nessun livello di governo doveva oscurare gli altri, ma per lui lo Stato nazionale rimaneva il livello primario. È in questo quadro che dobbiamo comprendere l’Europa degli Stati (raramente parlava di un’Europa delle nazioni): due livelli che non sono in competizione ma, al contrario, si rafforzano a vicenda.
L’indipendenza, un valore cardinale, era per de Gaulle importante tanto per le nazioni europee quanto per l’Europa nel suo complesso: non poteva esserci un’Europa indipendente se le sue componenti nazionali non erano indipendenti.
Questa cultura europea era qualcosa a cui de Gualle si dedicò molto presto. Avendo familiarità con la letteratura francese, si impegnò anche a conoscere a fondo un autore importante di ogni Paese fin da giovane: Goethe per la Germania (anche se citava anche Hölderlin), Shakespeare per l’Inghilterra, Cervantes per la Spagna, Dante per l’Italia; e per la Russia, Tolstoj.
Al contrario l’ideale europeo di Jean Monnet era estraneo alla civiltà europea in sé; era la sezione continentale dell’internazionale globalista dominata allora dagli Stati Uniti d’America, il banco di prova di uno Stato mondiale, come egli stesso afferma nell’ultima riga delle sue Mémoires (Parigi, 2022, p. 794): «la Comunità europea è solo un passo verso le forme di organizzazione del mondo di domani».
Per cui non fu per un attaccamento feticista alla nazione o allo Stato che de Gaulle rifiutò la concezione sovranazionale, ma per quella che considerava la prima qualità di uno statista, il realismo: «Vedo», affermava, «l’Europa come un insieme di Stati indistruttibili. A quale profondità di illusioni o pregiudizi bisognerebbe sprofondare per credere che le nazioni europee forgiate nel corso dei secoli da innumerevoli sforzi o sofferenze, ciascuna con la propria geografia e storia, la propria lingua, tradizioni e istituzioni, possano cessare di essere se stesse e formare una sola nazione?» (Charles de Gaulle, Mémoires d’espoir, Vol. I, p. 200).
Sapeva, da acuto politico, che bisognava confrontare i progetti e non rimanere unicamente in uno stato d’animo negativo. Credeva in una stretta e continua collaborazione distinta tra le maggiori potenze europee per armonizzare le loro posizioni sulla scena internazionale ed esercitare la loro influenza congiunta.
Però oggi l’Europa non esiste perché ha perso la sua indipendenza dall’alleato statunitense, fino al punto di abbracciare ormai ciecamente, sotto la bandiera di una NATO in gran parte fuori dal suo ruolo originario, tutte le cause in cui gli uomini che comandano a Washington, soprattutto i “neoconservatori”, sono riusciti a trascinarla: la guerra nei Balcani, i cambi di regime in Medio Oriente (le cosiddett illusorie “primavere arabe”), l’Afghanistan, la guerra in Ucraina, le sanzioni contro la Russia o le esercitazioni militari nei Paesi baltici.
Si pensi che nel 1956, undici anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e prima della firma del Trattato di Roma, Guy Mollet e Anthony Eden riuscirono a concordare una spedizione militare congiunta in Medio Oriente contro la volontà degli Stati Uniti d’America; se poi l’esito diplomatico sia stato negativo è un altro discorso: però riuscirono a intraprenderla. Oggi Bruxelles non oserebbe nemmeno inviare un corriere per la spedizione di un pacco natalizio in quella regione senza l’approvazione del Dipartimento di Stato. Il passo straregico in questa involuzione fu il Trattato di Maastricht, che subordina esplicitamente la Politica di Sicurezza Comune Europea (PESC) a quella della NATO (articolo J 4).
In definitiva Charles de Gaulle era profondamente impegnato in una particolare visione dell’Europa. Svolse un ruolo molto positivo nel consentire alla Francia di aderire al Mercato Comune e nel rivendicare la Politica Agricola Comune (PAC). Tuttavia, rifiutò un’Europa sovranazionale e sostenne invece, come abbiamo visto, un’Europa di Stati sovrani. Per raggiungere questo obiettivo, de Gaulle si affidò principalmente alla Repubblica Federale di Germania (allora Germania Ovest) e mantenne inoltre stretti rapporti con il Cancelliere tedesco Konrad Adenauer.
Tuttavia, il suo approccio fu respinto dagli altri partner europei, interessati principalmente a preservare il metodo comunitario. Il rifiuto di de Gaulle era verso qualsiasi organizzazione basata sull’integrazione forzate eterodiretta e sulla sovranazionalità.
L’8 dicembre scorso si leggono le parole di Elon Musk, che a distanza di oltre mezzo secolo dànno ragione a de Gaulle e non al filo-staunitense Jean Monnet: «L’Unione Europea dovrebbe essere abolita e la sovranità restituita ai singoli Paesi, in modo che i governi possano rappresentare meglio i loro popoli». Va bene che l’ha detto per i propri interessi, ma nessuno lo direbbe per uno Stato che esistesse sul serio. Trump non affermerebbe mai: «La Repubblica Popolare della Cina dovrebbe essere abolita».
La Cina esiste, l’Europa non è mai esistita come unità e soggetto di diritto internazionale. E questo è tutto.








