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OPINIONI

LIBERISMO O STATALISMO?

LIBERISMO O STATALISMO?

Per anni ci hanno raccontato che c'è una correlazione stretta tra crescita economica e libertà. Ci hanno detto che il libero mercato è il miglior ambiente di sviluppo possibile. Ci hanno convinto che le ingerenze dello Stato nelle iniziative imprenditoriali provocano stagnazione ed involuzione.
Per sostenere queste tesi si è portato l'esempio degli USA, sicuramente l'economia più liberale del mondo, che è anche nettamente la più forte, sviluppata, ed innovativa.
Ora però abbiamo la Cina che col suo modello dittatoriale, centralista, e statalista, sta bruciando le tappe e in pochi anni è diventata la seconda economia del mondo, assai vicina agli USA.
Sarebbe perfino naturale essere indotti a chiedersi: come è possibile che tutto ciò in cui abbiamo creduto sia sbagliato?
In realtà la Cina di Xi non è un modello totalmente illiberale. Detto così suona come una bestemmia, ma a ben vedere il sistema cinese non è così diverso da ciò che oggi è diventato quello europeo. A far la differenza è la dinamicità.
La grande espansione cinese è iniziata proprio con Xi che anni fa, in una ventata di neoliberismo ha tolto lacci e lacciouli alle imprese permettendo ai cinesi di avviare qualsiasi attività imprenditoriale e agevolando il finanziamento bancario per quei progetti che ad una analisi più approfondita si presentavano promettenti.
L'operazione era orientata all'export, e quasi sempre prendeva l'avvio dalla partnership con imprese occidentali che fornivano il necessario know-how, ma era anche finalizzata a creare sacche di benessere che sviluppassero un mercato interno potenzialmente sterminato.
In questa fase la chiave dello sviluppo economico cinese è stata la stessa utilizzata dagli americani: permettere ai cittadini di sognare, e dargli la pissibilità di realizzare i propri sogni, magari partendo dal copiare le tecnologie occidentali, salvo poi svilupparle ed evolverle.
Il liberismo quindi si conferma come il vero motore della crescita, sia ad ovest che ad est, anche se qui fu un liberismo controllato.
Per effetto di questa svolta semi liberale, in Cina ci fu una enorme migrazione dalle campagne alle fabbriche di città, con lavoro molto meglio retribuito, e crescita esponenziale del benessere comune.
D'improvviso il cittadino cinese era libero di avere un proprio conto in banca, libero di guadagnare denaro col proprio lavoro, libero di muoversi ovunque, di avere un passaporto, di andare all'estero se vuole, libero di divertirsi nel tempo libero, di fare le ferie al mare o in montagna come noi in Europa, di andare a mangiare al ristorante con gli amici, tutte cose che fino a l'altro ieri non poteva neppure sognare.
Certo, non era libero di protestare, ed era sempre più soggetto ad un capillare controllo sociale, insomma doveva rispettare le regole, ma alla stragragrande maggioranza della popolazione non fregava nulla.
Ecco perché ai cinesi, ancora oggi, non importa di essere sottoposti a una dittatura ed essere controllati a vista: il loro tenore di vita è enormemente migliorato rispetto al passato e in un ragionamento pragmatico, non hanno alcun motivo di cambiare il loro sistema sociale.
Lo si percepisce chiaramente proprio girando per la Cina.
Contemporaneamente a questa proliferazione industriale però nacquero come funghi dal nulla migliaia di nuovi miliardari, una realtà che nella società cinese era sconosciuta e che rischiava di essere incontrollabile dalla politica, anzi, poteva addirittura condizionarla esattamente come avviene in occidente.
A quel punto, accadde una decina di anni fa, Xi cambiò radicalmente politica riportando le manifatture sotto lo stretto controllo dello Stato. I miliardari più ingombranti sparirono nel nulla, e restarono solo quelli più fedeli alla leadership cinese.
L'economia risentì non poco di questa nuova svolta autoritaria e la crescita da allora fu molto più debole, ma aiutata da due fattori determinanti: un mercato interno ormai maturo e in grado di sostenere, almeno in parte, l'enorme apparato manifatturiero, e un debito pubblico ancora relativamente basso che permette di continuare a sviluppare le infrastrutture, e soprattutto finanziare i piani di sovvenzioni pubbliche alle imprese che, sia pur oggi indirizzati a specifici settori, sono la vera chiave della competitività cinese sui mercati internazionali.
In buona sostanza chi oggi confronta il modello statalista cinese con quello liberista americano commette un errore alla radice, perché quella cinese è a tutti gli effetti un'azione di concorrenza sleale che si avvale di robuste sovvenzioni pubbliche che arrivano perfino a coprire le perdite delle imprese, nel chiaro disegno di una colonizzazione economica e manifatturiera dell'occidente.
In realtà, anche in Cina, la vera crescita si è avuta nel breve periodo semi liberista, e la nuova svolta statalista, è solo in apparenza ininfluente, perché conserva la dipendenza dai mercati occidentali, e ha portato la maggior parte delle imprese cinesi (2 su 3) a non produrre utili o ad avere bilanci negativi e a dipendere dallo Stato. Inoltre, sta mettendo la Cina di fronte ad un problema fino ad oggi sconosciuto: la disoccupazione, che con l'automazione dei cicli produttivi non potrà che crescere.
E allora è interessante trarre le conclusioni da tutto questo bel discorso.
Il modello liberista americano è improntato alla crescita economica e all'innovazione, ma affoga nel debito pubblico.
Il modello statalista cinese ha la maggior parte delle grandi imprese tecnicamente fallite che dipendono mani e piedi dai finanziamenti dello Stato, e sta andando incontro a una grave crisi occupazionale.
In mezzo ai due modelli c'è quello europeo: una forma di statalismo proiettato al controllo totale, ma nel segno di una deindustrializzazione tesa all'immobilismo imprenditoriale e ai magheggi finanziari, in un contesto di aumentata sudditanza tecnologica e manifatturiera. Insomma, un evidente suicidio.
Nessuno di questi modelli può dirsi perfetto, ma il modello liberista, pur con qualche correttivo, si conferma il miglior ambiente per la crescita economica e soprattutto per l'innovazione, che va ricordato, pur agevolata da una corretta programmazione, nasce sempre dall'inventiva e dall'estro individuale, da quel "Sogno" che negli USA ha sempre trovato la possibilità di realizzarsi.

Marco Corrini

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