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OPINIONI

LA SINISTRA PSICANALITICA

LA SINISTRA PSICANALITICA

di Roberto PECCHIOLI

Fermate il mondo, voglio scendere. Sarà la vecchiaia, sarà l’alterità assoluta rispetto alle idee dominanti, ma non sopporto più i Buoni, i Pacifisti, le Anime Belle.

Forse devo essere curato, poiché ogni scostamento dal pensiero magico progressista dell’occidente comatoso è considerato malattia. Psichica, naturalmente. Fobie inventate ogni mattina: xenofobia, omofobia, transfobia, tecnofobia, islamofobia. Chi più ne pensa, più ne metta.  C’è sempre posto nell’ideario sinistrato.  Se non sei come me, se pensi diversamente, ragiona il bravo progressista che trasuda bontà da ogni poro, sei divorato dall’ odio. Quindi occorre punire per legge un sentimento con il criterio dell’indigeribile melassa progressista. Nel meccano mentale correzionale, rieducativo, a odiare sono sempre gli altri. Pedagogia della normofobia, l’avversione a tutto ciò che è normale.

L’’autoproclamata sinistra moderna – normofoba- è psicanalitica in quanto idealista. Nel senso filosofico del termine: scambia l’idea con la realtà. Storia antica, inaugurata dal vecchio Hegel, che tuttavia non avrebbe amato la fregola per il cambiamento tematizzata da Marx. Psicanalitica perché proietta le proprie fantasie sulla realtà, deformandola sino a negarla. La proiezione, per Freud, è il meccanismo inconscio di difesa con cui si attribuiscono agli altri pensieri, sentimenti o qualità propri, inaccettabili o spiacevoli, al fine di evitare il conflitto e l'angoscia di riconoscerli.  Scorciatoia perfetta per negare la realtà: per esempio, credono nell’uguaglianza nonostante l’evidenza che non esiste in natura. O che il matrimonio non è l’unione tra uomo e donna e che dunque il cosiddetto matrimonio omosessuale (un evidente ossimoro) è un benefico atto di uguaglianza.

Nessuno ci aveva mai pensato: meraviglie del progresso, l’uovo di Colombo che sta ritto perché è stato schiacciato. Ossessione per l’uguaglianza declinata in termini di equivalenza, omologazione, divieto di prendere atto delle differenze e dei fatti. Contra factum non valet argumentum, sostenevano i latini. Vecchiume: l’idealismo (ideismo) malato, onirico, è la negazione della stessa biologia: maschio e femmina sono costruzioni sociali delle classi dominanti. Non siamo ciò che siamo, conta l’autopercezione; oggi mi sento un gatto, dunque lo sono, domani mi considererò una donna. Nessuno mi può giudicare e non può chiedermi di guardarmi allo specchio. Al diavolo la realtà.

I sinistrati ci credono sempre, abboccano all’amo di mentitori e mestatori a cui i loro padri e nonni mai avrebbero prestato ascolto, loro che la falce del contadino e il martello dell’operaio li impugnavano con fatica per mandare avanti la famiglia, detta tradizionale per screditarla. Tradizione vuol dire trasmissione: superfluo ricordare che chi non trasmette distrugge. Ben scavato, vecchia talpa, commentò Marx a proposito della rivoluzione che agisce da sotto come i roditori, che certo non pensano a costruire. Anime belle disabituate all’ordine mentale, pensano contemporaneamente che il potere nasca dalla canna del fucile, “ma anche” (copyright Walter Veltroni) che per fermare le guerre basti esporre una bandiera arcobaleno proclamando la necessità del “dialogo”, medicina universale.

Strano che Eraclito, il filosofo del cambiamento (panta rèi, tutto scorre) abbia scritto che “pòlemos (il conflitto) è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi”. Il concetto di pòlemos indica il principio fondamentale del divenire del mondo e dell'armonia della realtà. Troppo complicato: a scanso di mal di capo, l’unica guerra che indigna lorsignori e lorcompagni – in corso ce ne sono decine- è quella palestinese, a cui possono applicare immediatamente il criterio unico di giudizio con timbro di conformità, oppresso contro oppressore. La logica dualistica del più facile, nel caso specifico coincidente con la verità.   

Il progressista collettivo è sinceramente persuaso che la manifestazione, la mobilitazione e lo sciopero risolvano ogni cosa. Peraltro, il mito dello sciopero generale, fomite di ribellione e rivoluzione sociale, teorizzato da Georges Sorel, è piuttosto antiquato e lo stesso Sorel seguì poi altri sentieri ideali. E’ paradigmatico l’attuale baccano progressista su Gaza, che vive la giustissima causa palestinese come psicodramma a cui porre rimedio sventolando bandiere o bloccando- qui, non laggiù- stazioni, autostrade, trasporti. Scioperi mai proclamati per difendere dalle bollette energetiche, dall’aumento delle spese militari, per condannare la fuga dall’Italia della Fiat, per le malversazioni delle banche, per sostenere chi fu licenziato perché renitente al siero.

Il vuoto descritto da Eugenio Montale: “non chiederci la parola che squadri da ogni lato l'animo nostro informe”, per concludere “codesto solo oggi possiamo dirti/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo“. Un secolo dopo, eccoci al punto di partenza. Sanno ciò che non vogliono, ma ignorano qual è la società a cui tendere. Urlatori senza idee. Un tempo erano comunisti e lottavano per qualcosa. Gli scioperi di ieri portavano in piazza folle dignitose che esigevano giustizia sociale, difendevano il lavoro e una più equa distribuzione della ricchezza. Forse aspiravano a diventare piccolo borghesi, come pensavano i francofortesi negando la natura rivoluzionaria del proletariato industriale, ma erano generazioni concrete con obiettivi precisi.

L’esempio perfetto di dissonanza cognitiva progressista sono i flash mob - assembramenti improvvisi, brevi, coreografici - realizzati in molti ospedali italiani per sostenere la Palestina. A parte l’evidente inanità del mezzo utilizzato spicca l’ambiente scelto, tipico di chi non ha rapporti con la realtà. Negli ospedali si soffre; pazienti e famiglie si aspettano cure, non manifestazioni. In questo caso, come nei blocchi stradali e dei trasporti, è probabile che il risultato sia contrario alle aspettative, ma è più facile l’idealismo a buon mercato indifferente ai fatti. Costa poco come la fiera dell’indignazione con ciglia aggrottate e moralismo parolaio. Il progressismo ama la parola diritti, di cui si serve ogni dì, trasferita dall’ambito sociale (lavoro, retribuzione, sanità, educazione, sicurezza) a quello dell’individualismo amorale, libertino e consumista.

L’idealtipo progressista contemporaneo è un eterno fanciullo, un immaturo Peter Pan la cui aspirazione è l’eterna vacanza (ovvero assenza, etimologicamente) a cui tutto è dovuto. Ne ha “diritto” e ogni nuovo diritto è, invariabilmente, una “legge di civiltà”. Dunque, il passato, ogni passato, va interpretato come barbarie, da cui si esce affidandosi alla mistica del progresso: dopo è sempre meglio di prima. Nel mondo in cui il capitalismo è diventato davvero “distruzione creatrice” (J. Schumpeter) vince la strana coppia, padroni universali e progressisti. Non lo vogliono ammettere, ma la coscienza infelice dei più riflessivi sa che è la verità. La soluzione, altrettanto facile, è la preferenza per i gesti simbolici, il pensoso chiacchiericcio in cui ci si lava la coscienza e si dà sfogo all’emotività, ultima ridotta dello spirito, per natura momentanea, turbamento passeggero, lacrimuccia leggera che certifica  la bontà, la granitica appartenenza all’esercito del Bene. 

I sinistrati si dividono in tre categorie principali; quelli di ascendenza cattolica credono in un umanitarismo piagnucoloso, astratta fraternità di una religione senza Dio. Il colore rosa. Il corpaccione centrale, ex, post, neocomunista si è adattato a un simil-marxismo light depurato dall’abolizione della proprietà privata. Il colore rosso. Terzo settore, il colore fucsia della borghesia liberal, globalista, devota al Mercato, alla Tecnica, all’ Innovazione. Tutte convergono nel Progresso e nei Diritti mentre odiano Dio, la patria e la famiglia. Non è più la religione l’oppio dei popoli, piuttosto l’oppio delle dipendenze e delle mode è la religione dei popoli. Il loro idolo è invariabilmente l’Altro, la Vittima. Hanno la mania della sfilata, del numero, che non produce forza ma peso. Da ragazzo mi domandavo perché “facessero sempre il tifo per la squadra avversaria”. Ora lo so, è l’odio per il paragone insostenibile, il livore verso ciò che è più alto e più bello.  

Esagero? Forse, ma qualche volta bisogna lasciar parlare le viscere. Nelle manifestazioni pro-Pal di Roma una buona causa – che per moltissimi era solo l’occasione per sfogarsi contro il governo – è stata sporcata anche da lanci di uova, sassi e ingiurie contro la sede del movimento ProVita. Un segnale illuminante. Altri gentiluomini (o gentildonne) hanno lordato la statua di Papa Wojtyla, tacciato di fascista di m… Mascalzoni e cretini non vengono nobilitati dalle bandiere che impugnano. Esagero ancora? Allora insisto, affermando che l’odio, le facce livide di rabbia, il rancore di gente malvissuta, la sciatteria personale, sono figlie del nichilismo di chi crede solo nella distruzione. Orfani di padre e di madre, figli naturali di ideologie rancide, trovano nell’avversione una ragione di vita.

Il solito dualismo: hanno bisogno del nemico, ai loro occhi sempre assoluto. Un sondaggio ha rilevato che oltre un quarto della fazione più progressista americana approva la violenza e l’assassinio politico, contro il sette per cento del mondo ultraconservatore. Si tratta, è la giustificazione gramsciana, di violenza “progressiva”, volta all’edificazione di una società migliore. Migliore? Mi faccia il piacere, direbbe Totò, che era pur sempre il principe De Curtis. Un ulteriore elemento psicanalitico è la fascinazione – che diventa pratica di vita - verso gli istinti più bassi, spacciati per spontaneità, sincerità, naturalismo. Nella sinistra psicanalitica vince l’Es, le pulsioni e i bisogni primitivi. E vincono, perfino sul rosso antico, il colore viola del livore e il giallo dell’invidia, un altro tema freudiano. Aveva torto Charlie Kirk a sfidare gli avversari: prove me wrong, provami che ho torto. Impossibile. Il vangelo apocrifo progressista è una sequenza di dogmi settari, indiscutibili, marmorei come i Comandamenti. Al Mosè radical progressista, generazione perduta dell’occidente terminale, non gioverà il lettino dello psicanalista. 

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