Non so se ci riesco, ma io tento di dare continuità ai miei ragionamenti. Quelli sulle critiche che io chiedo di muovere alla manovra finanziaria, ma anche alle controproposte sul tappeto, sono la naturale conseguenza di ragionamenti già fatti. Da tempo.
Il punto di base è quello della scelta fatta dal Governo di privilegiare la stabilità di bilancio su ogni altra iniziativa. Per dire se questa scelta è giusta ci sarebbe da discutere non poco, partendo da due cose che sono però inaccettate dall’opposizione: che vi sono stati importanti successi sul piano della credibilità finanziaria e che quella praticata dal Governo è tutt’altro che approssimazione e mancanza di visione strategica perché è invece l’applicazione di un programma preciso, strettamente logico, chiaramente indirizzato e finalizzato. Questo deve essere contestato. Le accuse “sbagliate” mosse al Governo su questo versante nascondono in realtà il fatto che l’opposizione non ha nessuna voglia di essere coinvolta in una scelta tra maggiore welfare a prezzo di minore stabilità. Sarebbe lontana mille miglia da possibili, e spesso praticati, populismi.
Ma anche a voler accettare - glissando - la “contemperanza” di spese rispetto alla saldezza del bilancio, lo spazio per interventi critici e proposte correttive è pressoché infinito. A cominciare dalla richiesta di riforme “senza sconti”, da realizzare prima di richiedere altri contributi (che finiscono per finanziare in gran parte solo le anomalie e le distorsioni) sulle principale criticità: il fisco, la burocrazia, la sanità, l’istruzione.
Mi soffermo su quest’ultima, commentando una notizia letta sulla Cina. Che è «25 anni più avanti di noi». Dopo una serie di visite negli stabilimenti cinesi, molti manager, soprattutto di grandi case automobilistiche europee e americane, hanno confessato di essere rimasti letteralmente terrorizzati dalla velocità e dalla qualità della produzione asiatica. «Cammini lungo un nastro trasportatore lungo 800 metri e esce un camion senza che ci siano persone, tutto è robotico». «Ho visto una “fabbrica buia” di smartphone quasi completamente priva di personale umano, dove l’innovazione e l’efficienza sono spaventose». «È la cosa più umiliante che abbia mai visto». E noi parliamo di dazi? Quelli americani?
Ho richiamato qualche giorno fa il Marx ignorato, quello che tratta questi argomenti sui quali si è scelto di assegnare l’ultimo Nobel sull’economia. Per dire della loro attualità. Nella situazione della "distruzione creativa" ci siamo: solo i nostalgici della “confort zone” delle favole non lo accettano. Essa comporta innovazione tecnologica che distruggerà le attività che non si adeguano, spazzerà via posti di lavoro e falcidierà l’occupazione che resterà legata alla attuali conoscenze, competenze, al sapere di oggi. Se restiamo fermi, tutto questo non sarà evitabile.
Ma questo adeguamento, di dimensioni ciclopiche, deve essere figlio di un adeguamento anzitutto culturale. Se in Cina si è deciso che sin dalle scuole elementari la conoscenza dell’AI è materia obbligatoria e da noi invece le linee guida sull’uso – non la conoscenza – dell’AI hanno un approccio principalmente burocratico e orientato alla gestione dei rischi, concentrandosi su conformità normativa e procedure amministrative piuttosto che sulla formazione di competenze digitali essenziali, ed il dibattito si ferma al contributo da dare sulle spesa per libri di testo e cancelleria; se in India i contributi dello Stato sono rivolti alla creazione di aule tecnologicamente attrezzate per “imparare” e da noi si discute di risanamento delle palestre; se nei Paesi asiatici la formazione non è un “plus” per chi ne ha voglie e mezzi, ma una regola di vita considerando che il diploma, la laurea ti danno un’istruzione che un mese dopo è superata e da noi invece – per terminologia ma anche nella convinzione di tanti – il diploma universitario è diventato “laurea” e ogni corso di formazione è diventato “master”; se manteniamo questa mentalità, non andremo lontano.
C’è da discutere? Ma certo che c’è da discutere. Un’operazione di profonda modifica del sistema di istruzione non costa poi tanto se non dal punto di vista delle idee. In ogni caso non sarebbe una spesa ma un investimento: un “debito buono” se occorre farlo in debito.
Però mette in discussione tante cose, ad iniziare dal corpo insegnante ed al metodo di insegnamento. Tutto tabù, per questo Governo. Ancora più per l’opposizione. Va bene così.