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OPINIONI

GAZA, COSA RESTA DOPO LE MACERIE

GAZA, COSA RESTA DOPO LE MACERIE

Il grande bias di Gaza - Cosa resta dopo le macerie

Alla fine, Gaza è rimasta nuda.
Non solo sotto le bombe, ma anche sotto le menzogne.
Quando il fumo si è diradato, il mondo ha dovuto guardare in faccia ciò che aveva costruito: un racconto marcio, ripetuto per anni, in cui la verità non serviva più. L’Occidente aveva smesso di osservare Gaza da tempo.L’aveva trasformata in un simbolo, in un’icona da talk show, in una tragedia prefabbricata.
Da vent’anni i titoli, i servizi e le marce per la pace avevano alimentato lo stesso errore: scambiare il vittimismo per verità, e la colpa israeliana per certezza morale.


Il dogma della vittima eterna
Per troppo tempo il palestinese era stato presentato come la vittima assoluta, qualunque fosse la realtà.
Le cronache non raccontavano più la dittatura di Hamas, le torture nelle prigioni interne, le sparizioni, le esecuzioni dei dissidenti.
Il mondo occidentale aveva scelto di non vedere.
Era più comodo pensare che ogni dramma venisse da fuori, mai da dentro.
Così la Striscia era diventata una parabola utile: Israele come oppressore, i palestinesi come martiri.
Una semplificazione morale che teneva in piedi carriere, editoriali, premi giornalistici.
L’equivoco della simmetria
In troppi avevano finto di credere che la guerra fosse tra due parti uguali.
Hamas e Israele, due nomi, due “campi”, come se la differenza tra una democrazia e una milizia teocratica fosse un dettaglio tecnico.
Si è parlato di “conflitto” anche dopo il 7 ottobre, come se non fosse mai esistito un confine etico.
E così l’Europa si è ritrovata a discutere di proporzionalità davanti a un massacro di civili, prigionieri, bambini.
Il linguaggio è diventato un rifugio: se le parole si equivalgono, anche le coscienze possono dormire.
Il filtro umanitario
L’informazione aveva costruito un sistema perfetto: contare solo i morti di una parte.
Ogni fotografia da Gaza era un atto d’accusa, ogni fotografia da Israele un incidente da archiviare.
Le agenzie rilanciavano cifre di Hamas come fossero dati ONU, e nessuno si chiedeva perché.
I volti dei bambini palestinesi riempivano le home page, quelli dei bambini israeliani sparivano dopo un giorno.
Era la nuova etica mediatica: la sofferenza selettiva come moneta morale.
Il trionfo dell’emozione
L’immagine aveva sostituito la cronaca. Bastava un frame, una voce rotta, una parola “genocidio” usata a caso per riscrivere la storia. L’Occidente, fragile e saturo di sensi di colpa, non cercava più la verità: cercava commozione. Più piangeva, più si sentiva buono. Ma ogni lacrima sprecata sulla propaganda era un tradimento verso chi soffriva davvero, da entrambe le parti.
Il travestimento ideologico
Dietro gli slogan “Free Palestine” si era nascosta la vecchia rabbia antioccidentale. Israele non era più un Paese: era l’America, era il capitalismo, era il sistema da odiare. Per molti, schierarsi con Gaza significava sentirsi “ribelli”, “contro il potere”, anche quando si marciava accanto a chi inneggiava al jihad.
Era una rivoluzione senza conoscenza, solo rabbia riciclata.
E come tutte le rivoluzioni senza cervello, è finita nel fango.
L’ignoranza sui fatti
Quasi nessuno, tra giornalisti e attivisti, aveva capito come funzionavano gli aiuti.
Si parlava di assedio, ma non si raccontava che ogni giorno migliaia di tonnellate di beni entravano da Israele.
Si ignorava che Hamas controllava i magazzini, tassava le merci, decideva chi doveva morire di fame e chi no.
La verità era troppo scomoda: se i palestinesi soffrivano anche a causa dei propri governanti, allora il racconto si sbriciolava.
E i predicatori della compassione restavano senza copione.
L’Occidente allo specchio
Alla fine, ciò che è crollato a Gaza non sono solo gli edifici: è crollata la credibilità morale dell’Occidente.
Ha passato anni a parlare di umanità, ma ha difeso i carnefici.
Ha marciato per la pace, ma ha applaudito chi nascondeva razzi sotto le scuole.
Ha detto “restiamo umani”, ma non ha chiesto una volta sola: “E gli ostaggi?”.
Ha parlato di libertà, ma ha chiuso gli occhi davanti alla tirannia religiosa che domina la Striscia.
E adesso?
Dopo le macerie, non arriverà la pace.
Arriverà il silenzio, quello dei complici che non sanno più cosa dire.
Arriveranno le inchieste sugli aiuti rubati, sui tunnel costruiti con il cemento dell’ONU, sulle scuole usate come depositi di munizioni.
E arriverà, inevitabile, la resa dei conti tra i palestinesi stessi, perché ogni dittatura alla fine si mangia i propri figli.
Ma qualcosa, lentamente, cambierà.
Il mito di Gaza come simbolo morale dell’Occidente è morto.
Ora resta solo la verità, cruda e innegabile: Hamas ha distrutto il suo popolo, e l’Occidente l’ha aiutata a farlo -non con le armi, ma con la menzogna.
Chi vorrà ricostruire davvero, dovrà prima avere il coraggio di ammetterlo.
Perché tra le macerie di Gaza non ci sono solo case distrutte.
C’è sepolta anche l’ultima credibilità di chi ha confuso la pietà con la propaganda.

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