La prima fase del piano – lo scambio dei 20 ostaggi ebrei vivi e circa 2000 detenuti palestinesi – si è compiuta. Dopo aver chiarito alla Knesset che la guerra tra Israele e Hamas è finita – finita, capito? – Trump ha riconosciuto a Netanyahu l’onore delle armi sostenendo che il presidente Herzog dovrebbe concedergli la grazia per i vari processi in corso a suo carico. Traducendo, si tratta del superamento dell’attuale governo “di guerra” per costituire un governo di unità nazionale senza i partiti ebraici estremisti e ultrareligiosi.
Qualche ora dopo si è tenuta la cerimonia di firma a Sharm el Sheik dove Trump ha convocato 27 leaders e 3 rappresentanti di “organizzazioni regionali”. Un G-27 che impone la volontà degli Stati Uniti in Medio Oriente in una coreografia neocoloniale che accetta e sottoscrive la pax americana. Sebbene invitati, i rappresentanti di Iran e Israele hanno declinato l’invito. Scelta speculare, rilevante e significativa. Notevole l’assenza, forse non invitata, dell’India che dovrebbe essere “amica” dell’Occidente e che ha una solida relazione con Israele. Tra i 27 convenuti, il presidente della Turchia, Erdogan, è stato salutato come il principale alleato e sostanziale proconsole militare americano nella Nato in Europa. Inglesi, francesi e britannici nemmeno menzionati, mentre una menzione di contorno – “beautiful” - è stata dedicata all’unica donna del consesso, l’italiana Meloni. L’UE rappresentata dal presidente del Consiglio Costa (la presidente della Commissione von der Leyen non è stata invitata), le Nazioni Unite e la Lega araba, sono presenti nel ruolo che il protocollo ha loro assegnato di “organizzazioni regionali”. Dettagli non secondari.
La parte sostanziale della riunione non si conoscerà, poiché si terrà a porte chiuse. Una breve riunione nella quale Trump assegnerà compiti e responsabilità ai convenuti.
Uno show di sicuro successo per Trump. Una tregua necessaria che ha permesso di iniziare la restituzione di ostaggi e prigionieri. La prima fase del piano.
Cosa avverrà dopo?
Un punto sul quale si concentreranno gli sforzi diplomatici e militari sarà l’Iran. Nelle parole di Trump, ma anche di Netanyahu, è l’Iran l’ultima pedina del Medio Oriente da “convertire” agli accordi di Abramo. Traducendo: se l’Iran non cambia traiettoria sarà necessario che cambi il regime iraniano. Dopo l’attacco di Israele al Qatar per un intervento di precisione teso a eliminare i negoziatori di Hamas, il 9 settembre scorso, gli Stati Uniti hanno firmato un nuovo accordo militare e di sicurezza che prevede che ogni attacco al Qatar è un attacco agli USA, che nel paese hanno la più grande base militare del Medio Oriente. Un simile accordo è in vigore con l’Arabia Saudita dal 1945. L’Iran è avvertito. A questo punto si negozierà con l’Iran e se necessario si userà la forza.
Ma è proprio su questo punto che entrano in gioco le altre due grandi potenze che sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, Russia e Cina. Sembra che né Russia né Cina vogliono morire per l’Iran, ma è anche certo che le due grandi potenze vogliono garantire i propri interessi nel nuovo Medio Oriente disegnato da Trump. Il ministro degli esteri russo Lavrov ha già chiarito che il Peace Summit 2025 necessita un passaggio al Consiglio di Sicurezza che è l’unico organo di sicurezza globale che può decidere su cosa succederà, e sulle modalità, successive a questa prima fase.