Scrive Aristotele che "i nostri progenitori delle più remote età pensavano che le prime sostanze fossero dèi" e che "la si dovrebbe ritenere un’enunciazione ispirata e riflettere che, mentre probabilmente ciascun’arte e ciascuna scienza sono state più volte sviluppate fin dove era possibile per poi perire di nuovo, quest'opinione, assieme ad altre, sono state preservate fino a oggi come reliquie dell’antico tesoro".
Ma, nell'"oblio dell'essere" - che fa seguito a questo "inizio" e che, riguardo all'allora univoca Tradizione, Martin Heidegger riconduce alla traduzione viceversa erronea del termine greco "energheia" con il termine romano "actualitas" - dice altresì Parmenide che "gli uomini posero duplice forma - tenebra e luce - a dar nome alle loro impressioni".
Ma: quale bisogno avrebbe spinto "ciò che è" (che chiamiamo "essere") a dare forma (ciò che chiamiamo "divenire") a se stesso?!
In sintesi: dall'inizio, "invisibile" (tenebra) e "visibile" (luce) sono ritenuti un tutt'uno (Logos), anche se il linguaggio (Verbum), rappresentandoli e separandoli, vicendevolmente li esclude.
Allora: dato che tutte le cose si chiamano tenebra e luce, lungo la via o - come dice lo stesso Heidegger - lungo il corso del man-tenimento dell'essere, Parmenide conclude: "tutto è pieno ugualmente di luce e notte invisibile, secondo efficacia di queste (e cioè tenebra e luce) sull’una o sull’altra" (e cioè luce e tenebra).
Così che, aggiunge: "d’una forma non c’era bisogno; in questo gli uomini si sono ingannati".
E altresì: il fuoco - che simboleggia tutte le umane impressioni e quindi tutto ciò che gli uomini possono provare o sperimentare - è altro rispetto a ciò che gli stessi uomini dicono; infatti le stesse impressioni non rappresentano che un'unica forma, sensibile, dell'essere intellegibile, e cioè dell'essere - il Medesimo, l'Uno-unente - che, per intero, manifesta se stesso.
Così che, Parmenide aggiunge: "il fuoco, etereo e vampante" si dis-vela, alla maniera heideggeriana, "in se stesso notte priva di luce"; e l'uomo, anch'esso "fenomeno" tra i fenomeni, in se stesso un "dio"; e infine l'intera natura dei fenomeni, in se stessa, "divina".
Ha scritto Chiara Valerio: "La forza è causa, ma noi viviamo immersi negli effetti. Siamo tutti abituati all'esperienza di premere un tasto e vedere qualcosa accadere. Il verbo della scienza è provare, quello di tecnologia e religione è credere".
Mutare o perire? L'istinto tenebroso della morte prevale ancora sulla luminescente capacità tecnica e culturale.