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GEOPOLITICA

LA TRATTATIVA SULL’UCRAINA E L’EUROPA

LA TRATTATIVA SULL’UCRAINA E L’EUROPA

di Cosimo Risi

La trattativa sull’Ucraina sta ad un punto di svolta. Ha note paradossali. Non è il faccia a faccia fra i due contendenti: Russia e Ucraina, l’aggressore e probabile vincitore e l’aggredito e probabile sconfitto. Si gioca una partita a tre: da un lato gli ormai ex alleati USA ed Europa – Ucraina, dall’altro la Russia. Con il vantaggio per la Russia di assistere alla contesa in seno alla controparte e lucrare sulle differenze. L’America vuole la pace, l’Europa persegue la guerra.

La prima marcia verso la soluzione negoziata, la seconda propende per il conflitto fino all’ultimo soldato ucraino. Il sottofondo è che gli Europei, i pretesi custodi del diritto internazionale anche nella variante umanitaria, sono pronti a sacrificare le vite altrui per una questione di principio. Una impuntatura: la Russia è il nemico strutturale da battere ora ad evitare gli attacchi futuri.

Lo scenario è carico di maliziosa propaganda, va preso con cautela. Certo è che gli Americani, con la nuova dottrina strategica, mostrano scarso interesse per le sorti dell’Europa nel suo insieme. La loro priorità è la pace: un bersaglio da cogliere al più presto, sono già in ritardo di un anno rispetto alla tabella di marcia della campagna elettorale di Trump. Anche se la pace dovesse costare sacrifici territoriali importanti e la vaghezza circa la futura sicurezza dell’Ucraina.

La partita di Volodymyr Zelenskyy è vitale. In senso letterale. Il Presidente ucraino ha investito il capitale politico prima sulla vittoria e poi sulla pace giusta. Solo che l’aggettivo “giusto” male si attaglia alla pace. La pace reca sempre il segno del vincitore ed è fatalmente ingiusta per il vinto. La pace che si approssima vede la cessione di una parte dell’Ucraina. Quanto grande essa sia e se comprenda tutto il Donetsk comprese le zone non conquistate, è da vedere.

La pace comporta il sacrificio di una generazione di giovani, anche russi, in un conflitto lungo e inane, che finisce per dare ragione, forse la sola importante ragione da riconoscere a Trump, che mai avrebbe dovuto scoppiare. Manca ovviamente la controprova che, se nel 2022 al posto di Biden ci fosse stato Trump, la tensione si sarebbe risolta senza spargimenti di sangue. Il confronto è fratricida fra popolazioni che parlano la stessa lingua ed hanno una lunga tradizione comune.

 Il conflitto ha visto nascere e consolidarsi il senso nazionale dell’Ucraina. Un parto con dolore come da tradizione biblica, il frutto è perciò irrinunciabile ora e per sempre. L’ipotesi che l’Ucraina torni a fare parte della Grande Madre Russia è irrealizzabile allo stato dei fatti, a meno di una guerriglia permanente nel cuore d’Europa fino alla possibile escalation nucleare.

            Dove siamo allora? Al battibecco neanche più dissimulato fra Americani ed Europei, questi ultimi guidati dalla pattuglia dei Volenterosi (in testa Francia, Germania, Regno Unito). Gli Europei hanno la duplice esigenza di tenere fede alle promesse di aiuto dispensate a piene mani agli Ucraini e di ottenere garanzie di sicurezza per l’intero continente. Il debito verso l’Ucraina può essere escusso con l’adesione all’Unione europea. Già nel 2027 o nel 2030? Si tratterà di superare la riserva dell’Ungheria, le adesioni si decidono all’unanimità degli stati membri attuali. Trump può convincere l’amico Orbàn a cedere.

Il disimpegno americano è lo spettro da scongiurare. L’Europa non è pronta a sostenere un confronto diretto con la Russia né con altri avversari strategici. Ha bisogno di tempo e di volontà politica per costruire un assetto di sicurezza che la riscatti dall’ombrello americano. Per non parlare della deterrenza nucleare. Basterebbero gli arsenali britannico e francese a garantirla? Cosa accadrà delle testate nucleari americane sul suolo europeo? Domande non di poco conto, meritano una riflessione opportunamente al riparo dagli occhi del pubblico.

Resta singolare l’approccio americano. I toni del Presidente sono minacciosi nei confronti di Zelenskyy e sprezzanti nei confronti degli Europei. Singolare è la scelta di valersi non della diplomazia professionale ma del socio in affari Steve Witkoff e del genero Jared Kushner. I due sono impegnati nella crisi mediorientale, ora sono convertiti alla crisi europea. Agiscono ad ampio raggio e con un mandato opaco.

Sono gli emissari di fiducia del Presidente, a chiarire che le trattative richiamano la sua attenzione diretta o tramite gli inviati personali. Il metodo disorienta i negoziatori europei. Gli ambasciatori, i diplomatici di carriera: che fastidio. Tutto l’apparato istituzionale di politica estera è messo in discussione. Cosa ne pensi il Deep State americano, quello dei Servizi e del Dipartimento di Stato, è intuibile dai fuori onda che trapelano dalle conversazioni “private” di Witkoff con l’interlocutore russo.

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