Venezuela, Oslo e l’Europa allo sbando: un continente ostaggio dei suoi nazionalismi. «Non c’è libertà dove il potere si difende con la paura.» — Spinoza
La storia di María Corina Machado non è soltanto quella di una dissidente che scappa da un regime autoritario. È lo specchio di un mondo in cui la libertà viene celebrata nei palazzi, ma tradita nella politica. Soprattutto in Europa, il continente che ama definirsi “casa dei diritti” ma che, quando quei diritti vanno difesi sul serio, preferisce guardarsi allo specchio invece che fuori dalla finestra.
La fuga clandestina di Machado, la figlia che ritira il Nobel al posto della madre inseguita, le torture e le sparizioni documentate dall’ONU: tutto questo dovrebbe scuotere un continente che si vanta di essere il riferimento morale del pianeta. E invece no. Perché l’Europa non è un gigante morale: è un gigante sentimentale. Piange, commenta, spera. Ma non agisce.
Il Nobel e il dramma di una libertà inseguita
Quando sul palco di Oslo Ana Corina Sosa ha preso la parola, l’immagine è stata più eloquente di mille rapporti ufficiali. La giovane figlia di Machado ha ritirato il Nobel per la Pace per conto della madre, impossibilitata a partecipare. Nel frattempo, María Corina Machado, leader dell’opposizione venezuelana, tentava di oltrepassare clandestinamente confini sorvegliati come una zona di guerra, sfidando la sorveglianza del regime e dei suoi alleati.
Il suo messaggio registrato, concitato e diretto, «Sono in cammino, devo letteralmente prendere l’aereo», racconta una vicenda dai toni da spy story, dove la libertà si paga con il rischio della vita. Secondo fonti indipendenti, la sua fuga è stata possibile grazie a settori dell’apparato militare che hanno scelto di disobbedire agli ordini di Caracas. Non è eroismo individuale: è l’ultima crepa in un sistema che mostra segni di cedimento interno. La libertà, come insegna Spinoza, non è concessa dal potere, ma conquistata contro di esso.
Terrorismo di Stato: la realtà che l’Europa finge di ignorare
A Oslo, la figlia di Machado ha pronunciato parole dure quanto necessarie: nel Venezuela di Maduro migliaia di persone sono rapite, scomparse, torturate. È il concetto di terrorismo di Stato, documentato dai rapporti delle Nazioni Unite. Non è opinione, è realtà certificata: sparizioni forzate, crimini contro l’umanità, repressione sistematica del dissenso.
Tra le vittime ricordate al Nobel ci sono Samantha Sofía Hernández, sedicenne rapita dalle forze armate, e Alfredo Díaz, ex governatore morto nel carcere dell’Helicoide. Jørgen Watne Frydnes, presidente del Comitato, ha sottolineato: «Non erano estremisti. Erano venezuelani normali, che sognavano libertà, diritti, futuro».
Eppure, la risposta dell’Europa è stata tiepida, rituale, incapace di incidere. Comunicati diplomatici, prese di posizione generiche, condanne “forti ma inefficaci”. Questo silenzio è la prova che la libertà, come insegna Spinoza, non fiorisce dove domina la paura — e dove la volontà politica dei potenti non ha coraggio.
L’Europa che parla e non decide: il peso dei nazionalismi
Il problema dell’Europa non è solo l’indifferenza. È la contraddizione interna: governi nazionalisti che non credono nell’Unione Europea, che la criticano quotidianamente, ma che vivono dei fondi, della protezione NATO, dei vantaggi del mercato unico.
Questi governi parlano di “sovranità nazionale” mentre sabotano la politica estera comune. Parlano di valori e diritti umani, ma tollerano autoritarismi amici, fingono preoccupazione per i desaparecidos, mentre condannano chi denuncia. In pratica, si ergono a paladini morali senza alcuna credibilità.
E così, di fronte alla crisi venezuelana, l’Europa è divisa, paralizzata, incapace di una posizione coerente. È un continente che si crede gigante morale, ma non lo è: la politica estera resta ostaggio dei singoli Stati che antepongono interessi nazionali e consenso interno ai principi fondanti dell’Unione.
Gli Stati Uniti muovono, l’America Latina osserva, i Caraibi tremano
Il Venezuela non è più una questione interna. È un nodo geopolitico strategico, dove si intrecciano interessi globali. Gli Stati Uniti hanno fatto volare caccia vicino a Caracas, inviando messaggi chiari al regime. Il Brasile, per evitare escalation, ha invitato la Venezuela a moderazione. Nel frattempo, Donald Trump annuncia che “Maduro ha i giorni contati” e suggerisce scenari drastici per il dopo-Maduro.
Machado ha già un piano di cento giorni per una possibile transizione, a testimonianza di quanto la crisi sia considerata seria da attori globali reali. L’Europa, invece, resta spettatrice, limitandosi a dichiarazioni di principio e richiami generici. Il contrasto non potrebbe essere più evidente: chi ha il potere di agire lo fa, chi parla di valori resta paralizzato dalla propria incoerenza interna.
Il paradosso del Nobel: celebrare la pace in un continente che non sa esercitarla
Il premio Nobel per la Pace consegnato a Machado è ironico: Oslo celebra la libertà, mentre l’Europa non difende chi la rischia ogni giorno. Questa contraddizione è il cuore della polemica: mentre governi nazionalisti gridano contro Bruxelles e ostacolano l’unità europea, la pace rimane un concetto astratto.
Le organizzazioni pacifiste che contestano il premio sottolineano le contraddizioni di Machado, ma ignorano il contesto reale: un regime autoritario, sparizioni di civili, torture sistematiche. L’Europa è in grado di giudicare, ma non di proteggere. È il gigante morale che parla troppo e agisce troppo poco, soffocato dai suoi stessi membri sovranisti.
Le nazioni sovraniste: opportunismo e ipocrisia
Alcuni governi europei — noti per il loro nazionalismo interno — mostrano la doppia faccia: prendono fondi, protezione e mercato dall’Europa, ma ne minano l’unità e la credibilità. Parlano di valori umani ma ignorano repressione e violazioni nei paesi lontani. Utilizzano l’Europa come piattaforma diplomatica solo quando conviene, e bloccano ogni iniziativa che possa danneggiare i propri interessi interni o l’immagine dei leader nazionalisti.
Questa è la vera ragione per cui l’Europa è incapace di fare politica estera significativa: i governi nazionalisti la tengono ostaggio. E nel frattempo, il mondo reale procede senza aspettarla: Stati Uniti, America Latina, Cina e Russia agiscono concretamente, mentre l’Unione resta spettatrice impotente.
Il Venezuela come cartina di tornasole
La vicenda Machado non riguarda solo il Venezuela. È un test per il ruolo dell’Europa nel mondo. Un continente che si crede centrale e determinante, ma che in realtà è fragile, diviso e paralizzato dall’interno.
Il Venezuela mostra che la democrazia è fragile, che la libertà si conquista con il coraggio e che la geopolitica globale è tornata dura e implacabile. L’Europa, con i suoi nazionalismi interni e il suo gigantismo morale solo apparente, non è in grado di fare nulla per modificare il corso degli eventi.
Conclusione: libertà, coraggio e responsabilità europea
La fuga di María Corina Machado, le migliaia di desaparecidos, le tensioni nei Caraibi, le pressioni statunitensi e latinoamericane e la paralisi europea raccontano una verità chiara: la libertà non è un premio, ma un percorso arduo che si conquista contro il potere e la paura.
L’Europa è chiamata a scegliere: continuare a farsi scudo dei nazionalismi interni, parlando senza agire, o recuperare il suo ruolo storico, quello di difendere i valori fondanti anche quando è scomodo e rischioso. Finché resterà ostaggio dei suoi governi sovranisti, il continente continuerà a guardare, applaudire a distanza, e subire eventi che potrebbe influenzare.
Il Nobel per la Pace assegnato a Machado diventa così un simbolo ironico, quasi una provocazione: celebra la libertà in un continente che non ha più il coraggio di difenderla dove serve. E questo, più di ogni discorso o documento ufficiale, rivela la profonda crisi morale e politica dell’Europa moderna.








