di Cosimo Risi
Donald Trump si appresta a “tradire” l’Ucraina. Il Presidente americano sta per mollare l’Ucraina e la detestata Europa. Questa deve reagire con la faccia feroce a Mosca: non per proseguire la guerra, ma per chiuderla da una posizione di vantaggio. La prima dichiarazione è attribuita a Emanuel Macron nel classico fuori onda della sua conversazione con Volodymyr Zelenskyy. La seconda è di Friedrich Merz allo stesso Zelenskyy per metterlo in guardia dalle manovre contro il suo paese. A tramare sarebbe l’insolita coppia Trump-Putin, avversari che si rispettano come i capi clan, non potendo combattersi, si spartiscono i territori d’influenza. Nell’anniversario della saga de Il Padrino, l’immagine ci può stare.
L’Ammiraglio italiano alla guida del Comitato Militare NATO ha l’imprudenza di affermare che alla guerra ibrida di Mosca dobbiamo non solo reagire, quando siamo spesso in ritardo, dobbiamo prevenirla con attacchi parimenti mirati. Il Capo di Stato Maggiore della Difesa di Francia ammonisce la Nazione a sacrificare i suoi giovani per la salvezza della Patria. Il Generale Charles de Gaulle non direbbe meglio, anche se il gollismo vive gli ultimi fuochi a Parigi a favore della destra lepenista più vicina alla Russia che “à la France Insoumise”.
Il turbine delle esternazioni merita quel poco di chiarezza che merita una situazione sul terreno complessa per non dire caotica. La sorte della guerra non volge a favore dell’Ucraina. Questo è un fatto che neppure l’ex Ministro degli Esteri di Kiev riesce a dissimulare. Permettere ai giovani di emigrare all’estero malgrado le restrizioni della legge marziale favorisce la popolazione ed indebolisce la demografia del paese. Oggi mancano i soldati da mandare al fronte, domani mancheranno i giovani per ricostruire il disastro. Ma – sostiene Kuleba – anche con venti milioni di abitanti l’Ucraina può resistere altri due anni di conflitto fino a ribaltarne le sorti. Una posizione doverosamente ed eroicamente di parte, sottace alcuni elementi.
Anzitutto la frenesia del Presidente americano nel chiudere la partita, nella convinzione, criticabile quanto si vuole ma ferma nella sua mente dalla campagna elettorale, che la partita era persa sin dall’inizio. Anzi, per dirla tutta, con lui alla Casa Bianca nel 2022, la campagna militare neppure sarebbe iniziata. All’epoca egli non avrebbe inseguito il miraggio del logoramento strategico della Russia via Ucraina (la dottrina Biden), avrebbe riconosciuto le ragioni di Putin nel volere rispristinare i resti dell’impero sovietico. La novità di Trump è di affidare le trattative non al corpo diplomatico facente capo al Dipartimento di Stato, ma a inviati di fiducia: il socio Steve Witkoff ed il genero Jared Kushner, gli stessi del cessate il fuoco a Gaza. Il negoziato è un affare personale, l’interesse statuale stinge.
E poi la stanchezza delle truppe al fronte. Dopo quasi quattro anni l’armata ucraina è allo stremo di uomini e mezzi, mentre la Russia continua a pescare nel bacino dell’immenso territorio ed a riconvertire l’economia in economia di guerra. Con la creazione di nuovi oligarchi, pari per arrogante ricchezza ai vecchi oligarchi degli idrocarburi.
Ed infine la Russia. La si voleva isolata per l’aggressione, continua a raccogliere la solidarietà di amici che contano. Non basti la Cina, dove Macron in visita di stato cerca di persuadere Xi Jinping ad attenuare il sostegno, si aggiunge l’India. Il Premier Modi accoglie Putin con un abbraccio, un gesto cordiale che poco si addice ad un uomo che si vorrebbe freddo come il russo. India e Russia hanno un’intesa strategica che risale ai Settanta. Allora fu conclusa in chiave anticinese, oggi la si rinverdisce a favore del multipolarismo. Ovvero dell’emergere, con pari dignità, di nuovi attori globali sulla scena internazionale.
L’India non raccoglie l’invito americano a ridurre le importazioni di petrolio dalla Russia: sono a tariffa di favore, danno ossigeno all’economia di New Delhi. Continua a comprare le armi dalla Russia per contenere l’esuberanza cinese e la minaccia del Pakistan. La Russia ha bisogno dell’India sul piano commerciale, la vendita di petrolio appunto, e perché l’India è la finestra verso l’Occidente e verso quella anglosfera che molto ha da dire in Asia. La scelta euro-asiatica di Putin trova il suggello nell’intesa con Cina e India.
I militari europei mettono in guardia dai rischi cui siamo esposti: quelli attuali della guerra ibrida, quelli potenziali della guerra guerreggiata. La loro è franchezza verbale. Della guerra ibrida fa parte la reazione gridata alle loro dichiarazioni. La Russia accusa l’Europa di volerla attaccare e, nell’immediato, di boicottare gli sforzi di pace dell’America. Un ribaltamento della prospettiva: c’è l’Occidente bellicoso che contrasta l’Occidente pacifista, l’aggressore diventa aggredito. Il racconto ha il suo fascino nella voluta ambiguità. La cautela è d’obbligo.








