L’equilibrio mobile: cosa rivela l’asse Macron–Xi sul futuro della relazione tra Cina ed Europa
La visita di Stato di Emmanuel Macron a Pechino non è stata soltanto un esercizio di diplomazia bilaterale, né l’ennesima tappa nel complesso dialogo tra l’Unione Europea e la Repubblica Popolare Cinese. È stata, soprattutto, un tentativo di ridisegnare il perimetro strategico entro cui l’Europa dovrà muoversi nei prossimi anni, in un sistema internazionale che va rapidamente liberandosi dei suoi vecchi schemi.
L’incontro di Macron con Xi Jinping è impreziosito dalla firma di dodici accordi in campi chiave come l’energia nucleare, l’aerospazio e l’intelligenza artificiale. Un crocevia tra due tendenze globali in apparente contraddizione: da un lato, la spinta a una nuova cooperazione strutturata con la Cina; dall’altro, l’emergere di tensioni commerciali e normative che rischiano di porre l’Europa su un sentiero di competizione strategica sempre più esplicita.
A Pechino, Macron ha cercato di proporre un’agenda capace di parlare a un sistema internazionale entrato in una fase di incertezza sistemica: la ricerca di stabilità globale, l’urgenza di attenuare le fratture geopolitiche e la necessità di individuare una via d’uscita negoziale per la guerra in Ucraina.
Il Presidente francese ha letto la situazione con la lente della “interdipendenza critica”: l’Europa non può fare a meno della Cina, né economicamente né diplomaticamente, ma non può neppure accettare una relazione asimmetrica che la vincoli a un quadro strategico deciso altrove.
La richiesta di un ruolo più attivo di Pechino nella gestione delle crisi internazionali, dal Mar Cinese Meridionale all’Ucraina, non è dunque un semplice appello, bensì il riconoscimento che senza la Cina nessun equilibrio planetario può ritenersi stabile. Ciò non implica un allineamento, ma la consapevolezza che la stabilità del sistema passa oggi attraverso una molteplicità di centri decisionali e, non più attraverso un unico polo egemonico.
Nel suo monito contro la possibile “disintegrazione dell’ordine internazionale”, Macron ha fotografato con precisione la condizione in cui versa la governance globale. Il riferimento non è solamente alle tensioni tra Europa e Cina, ma alla possibile rottura di un equilibrio che per decenni ha retto grazie alla combinazione tra globalizzazione economica e prudenza geostrategica. Oggi, quella combinazione sembra non esistere più.
L’accelerazione tecnologica cinese, le strategie europee di de-risking, le restrizioni americane nel campo dei semiconduttori, la competizione sui materiali critici e l’emergere di nuove catene del valore stanno tutti contribuendo alla trasformazione dell’economia-mondo in uno spazio regolato da logiche di sicurezza più che da criteri di efficienza.
Il vero nodo del rapporto Cina Europa non è né ideologico né diplomatico: è strutturale.
La Cina punta alla piena autosufficienza tecnologica e alla proiezione globale delle proprie infrastrutture strategiche; l’Europa cerca di difendere la sua capacità industriale e la sua autonomia normativa, senza scivolare in un confronto frontale.
Dentro questo quadro, gli accordi firmati da Macron rappresentano una convergenza funzionale, non un riallineamento politico.
L’esito dell’incontro Macron–Xi non definisce una nuova era di cooperazione, ma neppure sancisce un’inevitabile deriva conflittuale.
È il segnale di una transizione: un equilibrio mobile in cui cooperazione e competizione coesisteranno in modo sempre più esplicito.
L’Europa dovrà decidere se interpretare questa transizione come una minaccia da contenere con barriere e controlli o come un’occasione per ridefinire se stessa come polo strategico autonomo, capace di dialogare con la Cina senza rinunciare alla propria architettura politica e normativa.
Se la visita di Macron ha un merito, è quello di aver riportato la relazione con Pechino dentro un orizzonte strategico più vasto, in cui la geopolitica non è il terreno dello scontro, ma lo spazio della complessità:
un sistema in cui nessuna potenza può più permettersi l’illusione della solitudine strategica e dove la cooperazione selettiva diventa una condizione necessaria alla sopravvivenza dell’ordine mondiale.








