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GEOPOLITICA

IL DIAVOLO SI NASCONDE NEI DETTAGLI DEL NEGOZIATO

IL DIAVOLO SI NASCONDE NEI DETTAGLI DEL NEGOZIATO

di Cosimo Risi

            La cronaca è frenetica. Lunedì, alla Casa Bianca, Donald Trump annuncia il piano di pace per Gaza che dovrebbe abbracciare l’intera questione palestinese. Svolta storica a chiudere un’epoca, circa ottanta anni, di conflitti fra Israeliani e Palestinesi ed annesso mondo arabo e musulmano.

            Benjamin Netanyahu, al suo fianco, riecheggia la retorica trumpiana e la condisce di complimenti sperticati: mai Israele ha avuto un amico così caro. Mostra qualche esitazione sulla viabilità del piano in 20 punti, alcuni gli sembrano di difficile attuazione, altri del tutto inaccettabili. La speranza non detta è che la controparte palestinese lo respinga in tutto o in parte e che le IDF possano proseguire la campagna militare fino alla vittoria. Che l’esito sia improbabile, a meno di non completare la carneficina in atto, poco rileva ai fini della sopravvivenza del Governo di Gerusalemme. Questo è condizionato dalla destra che anela ad un conflitto senza quartiere contro tutti i nemici, per ricreare il Grande Israele. E con il controllo dei vicini: Libano e Siria vanno tenuti sotto tutela affinché le rispettive autorità evitino attacchi allo Stato ebraico. Una cintura di sicurezza che, a termine, riguarderà anche l’Iran. Numerosi sono i tentativi di avviare il cambio di regime a Teheran, semmai restaurando la dinastia del deposto Scià.

            Trump assegna 3-4 giorni a Hamas perché accetti il piano. Venerdì, tramite il Qatar, Hamas annuncia l’accettazione di due punti basilari: il rilascio degli ostaggi, anche i deceduti; la cessazione delle ostilità. Chiede un supplemento di negoziato sugli altri: sulla smilitarizzazione della Striscia, e cioè la smilitarizzazione dello stesso Hamas; sull’amministrazione della Striscia da affidare a elementi palestinesi e non al Governatorato Blair. Nonché sulle garanzie a favore dei propri dirigenti, essendo consapevoli che la loro sopravvivenza è affidata alla blindatura americana.

            A soccorrerli, sia pure provvisoriamente, è il patto di sicurezza che gli Stati Uniti hanno concluso con il Qatar. Su questa base, Israele è impedito dal riproporre l’attacco all’Emirato e dunque agli eventuali esuli palestinesi a Doha. Basterà? Quelli di Hamas hanno ben presente la memoria lunga di Israele riguardo a chi attenta alla vita dei cittadini: la cosiddetta Dottrina Golda Meir, la Premier che nel 1972, dopo l’attacco alle Olimpiadi di Monaco,  teorizzò l’eliminazione degli attentatori ovunque e comunque.

            L’apertura di Hamas basta al Presidente Trump perché ordini a Israele di ridurre le attività nella Striscia ai soli scopi difensivi. Il Governo ordina di conseguenza alle IDF di restare nelle postazioni già occupate. In attesa di sviluppi. Quali?

            Alcuni commentatori ritengono che i dirigenti di Hamas e Netanyahu convergano su un punto: la tregua non converrebbe ad entrambi. I primi perderebbero lo strumento di pressione e metterebbero probabilmente a rischio la loro stessa esistenza. Il secondo dovrebbe affrontare le riserve dei soci di Governo, i puri e duri della battaglia finale, oppure rassegnarsi alle loro dimissioni ed accettare alla Knesset il voto meramente funzionale dell’opposizione. Di fatto la fine del suo Gabinetto.  Ed infine cedere su un punto fondamentale: la prospettiva che uno Stato di Palestina prima o poi veda la luce, sia pure nelle dimensioni minuscole che si stanno configurando sul territorio. L’annessione della Cisgiordania, con la progressione omeopatica   degli insediamenti, sarebbe compromessa.

            Al Presidente americano, il più caro amico di Israele, non si risponde no, la sua imprevedibilità è tale che potrebbe volgersi contro l’amico che traligna.  Ad un anno circa dall’elezione, dopo lo stallo negoziale in Ucraina malgrado le aperture di Anchorage a Vladimir Putin, la politica estera americana necessita una sferzata. Nella tradizione dei Presidenti americani, il vento volge a favore se si risolve la questione mediorientale. La pace in Terra Santa è la soglia: al di qua è il fallimento, al di là è il trionfo. Il Premio Nobel per la pace: perché no.

            Bisogna capire se Hamas stia sulla stessa lunghezza d’onda, e cioè se ritenga controproducente respingere la mano di Trump. Il negarsi al compromesso esporrebbe Gaza “all’inferno”, la minaccia presidenziale è credibile dati i precedenti. Accettare il piano in toto significherebbe il fallimento della strategia del 7 ottobre. La causa palestinese è stata riportata alla ribalta internazionale, ma a costo dell’immane sacrificio di persone e cose. L’apocalisse per ottenere una vittoria di principio.

            Il vero successo è nell’onda lunga dell’isolamento morale di Israele. Il sentimento conquista molti giovani in Europa, muove la flottiglia appena respinta e ne incoraggia due altre da Turchia e Italia. Una vittoria dal

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