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TRUMP E LA PACE IN UCRAINA, QUALI PROSPETTIVE?

TRUMP E LA PACE IN UCRAINA, QUALI PROSPETTIVE?

L’attuale fase diplomatica rappresenta un momento cruciale per la guerra in Ucraina. Il prossimo incontro che si dovrebbe tenere nella Casa Bianca, tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump, potrebbe definire il nuovo corso della politica occidentale verso la Russia.

Putin è un osso molto più duro di Hamas e per Trump non sarà facile convincerlo a fermarsi, tuttavia, se Zelensky riuscisse a ottenere l’impegno americano a fornire missili da crociera Tomahawk, anche solo come deterrente condizionato alla mancata apertura di negoziati da parte di Mosca, sarebbe “una vittoria politica e strategica” per Kyiv.

Questo, infatti, rafforzerebbe la capacità difensiva e di resistenza dell’Ucraina, e invierebbe un messaggio chiaro: l’Occidente non abbandona Kyiv, nonostante la stanchezza dell’opinione pubblica e la complessità del conflitto.

Se si collega la strategia di Trump al modello già usato in Medio Oriente, creando pressione militare e diplomatica per forzare un accordo, si sarebe di fronte a una logica volta al “negoziare da una posizione di forza”. Analoga a quella che Trump ha seguito nel conflitto israelo-palestinese, ove ha sostenuto azioni dure contro Hamas, seguite da mediazioni che hanno coinvolto attori regionali come Egitto e Qatar, portando — almeno temporaneamente — a un cessate il fuoco.

Nei fatti Trump potrebbe usare sulla crisi russo-ucraina lo stesso paradigma: far pagare un costo alla Russia per spingerla a negoziare”. Ma si deve osservare, tuttavia, che la Russia non è Hamas. Putin dispone di risorse economiche, un sostegno interno e un’alleanza strategica con Xi Jinping, che rendono il parallelo imperfetto.

La diplomazia a cui Putin è sensibile è diversa. È una diplomazia di potenza, non di transazione. La definizione chiave del pensiero di Trump, secondo Stefanini, è quella di “diplomazia transattiva”: portare una crisi al punto di massima tensione per poi chiuderla, trasformando il confronto in un affare da negoziare.

Ma su un punto Trump sarebbe ancora cauto: le sanzioni secondarie. Sono l’arma nucleare economica contro la Russia: punire chi continua a comprare il petrolio russo, come India o Turchia. Ma Trump non sembra volerle usare.

Per quanto gli Stati Uniti possano usare la leva militare (Tomahawk) o diplomatica (pressione su Erdogan), senza un vero sforzo economico multilaterale, sarà difficile piegare Mosca.

Nel possibile schema trumpiano, la Turchia emerge come mediatore chiave. Trump considera Recep Tayyip Erdogan un interlocutore rispettato da Putin, capace di agire da “ponte” tra Russia e Occidente. Trump potrebbe farsi aiutare da Erdogan con Putin, così come Qatar ed Egitto lo hanno aiutato con Hamas, dice Stefanini.

Tuttavia, la situazione è ben diversa: Hamas ha ceduto perché sconfitto militarmente, mentre la Russia non è sul punto di collasso. Putin con Xi Jinping dietro le spalle, è tutta un’altra storia.

In ogni caso ora è il momento giusto, visto che il tempismo potrebbe essere favorevole per esercitare pressioni su Mosca, fermo restando che il successo dipenderà da quanto gli Stati Uniti e l’Europa sapranno coordinare deterrenza e diplomazia.

Se Trump offrirà armi come i Tomahawk, invierà un segnale di forza.  Se userà la leva economica e il ruolo di Erdogan, potrà tentare una mediazione.  Ma se sceglierà una via solo simbolica, rischia di ottenere l’effetto opposto: un Putin ancora più determinato e un’Ucraina costretta a combattere più a lungo.

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