di Paolo Falconio*
L'articolazione tomista del rapporto tra autorità politica e sudditi: fondamenti teorici e implicazioni dottrinali
Abstract – La modernità dell’Aquinate nel rapporto tra autorità e sudditi
Il pensiero politico di Tommaso d’Aquino, lungi dall’essere un residuo della visione medievale dell’ordine, presenta tratti di sorprendente modernità, soprattutto nella sua articolazione del rapporto tra autorità e sudditi. Fondato sull’idea che la società politica sia naturale all’uomo, e non il risultato del peccato o della mera convenienza, l’ordine politico è per Tommaso radicato nella dignità razionale della persona e orientato al conseguimento del bene comune. È qui che emerge la dimensione più attuale dell’Aquinate: l’autorità politica non è assoluta, ma intrinsecamente limitata da una gerarchia normativa superiore (legge naturale, divina ed eterna) e dalla finalizzazione al bene comune, che funge da criterio di legittimazione e, allo stesso tempo, da limite del potere.
La modernità della dottrina tomista si manifesta soprattutto nel riconoscimento della disobbedienza legittima alle leggi ingiuste, anticipando, pur in un contesto non liberale, l’idea che l’autorità non possa vincolare la coscienza quando contraddice la legge morale. Parallelamente, l’Aquinate riconosce il valore politico della dignità personale, distinguendo il governo politico – tra uomini liberi – dal governo dispotico sullo schiavo: un’intuizione che prefigura la differenza moderna tra potere pubblico e dominio arbitrario. Anche la riflessione sul tiranno, pur cauta, apre prospettive proto-moderne: l’idea che la comunità possa resistere a forme di governo illegittime o abusive prepara lo sviluppo di dottrine successive sulla sovranità popolare e sui limiti costituzionali al potere.
Infine, la valorizzazione della partecipazione dei sudditi al governo – attraverso un modello di regime misto che integra elementi monarchici, aristocratici e popolari – colloca Tommaso in una linea evolutiva che conduce, seppur indirettamente, alle forme moderne di governo rappresentativo. L’intera costruzione dell’Aquinate, fondata su una visione personalista e comunitaria, mostra una sorprendente capacità di conciliare autorità e libertà, obbedienza e responsabilità della coscienza. Per questo la sua teoria politica non solo interpreta il Medioevo, ma anticipa alcune delle questioni centrali della modernità: i limiti del potere, la resistenza all’ingiustizia, il primato del bene comune e la dignità della persona come fondamento dell’ordine politico.
Introduzione
La riflessione di Tommaso d’Aquino sul rapporto tra governanti e sudditi costituisce uno dei nuclei teoretici più significativi della filosofia politica medievale, rappresentando un momento di sintesi tra la tradizione aristotelica recuperata nel XIII secolo e l’eredità patristica cristiana. L’Aquinate elabora una concezione della subordinazione politica che supera tanto il semplicistico modello della pura sottomissione quanto le tendenze teocratiche più radicali del suo tempo, articolando invece una visione complessa in cui l’obbedienza dei sudditi si configura come elemento necessario ma non assoluto dell’ordinamento politico.¹
Il fondamento ontologico e teologico della società politica
Per comprendere adeguatamente la posizione tomista riguardo ai sudditi, occorre preliminarmente considerare il fondamento stesso della società politica nel pensiero dell’Aquinate. Tommaso, recuperando la concezione aristotelica dell’uomo come zoon politikon, sostiene che la dimensione politica non rappresenta una conseguenza del peccato originale o una mera necessità contingente, ma costituisce piuttosto un’esigenza strutturale della natura umana stessa.² Nel De regno ad regem Cypri, Tommaso argomenta che l’uomo, essendo per natura incapace di provvedere da solo a tutte le necessità della vita, richiede la cooperazione con altri esseri umani, e tale cooperazione necessita a sua volta di un principio direttivo che orienti la moltitudine verso il bene comune.³
Questa naturalità della dimensione politica si intreccia tuttavia con una prospettiva teologica: l’ordine politico, pur essendo naturale, si inserisce nell’ordinamento provvidenziale divino. Come Tommaso afferma nella Summa Theologiae, “omnis potestas a Deo” (ogni potere viene da Dio), riprendendo la celebre formulazione paolina.⁴ Tuttavia, l’interpretazione tomista di questo principio si distingue nettamente da letture più semplicistiche: Dio è causa dell’autorità politica in quanto tale, non necessariamente delle modalità concrete con cui essa viene esercitata o delle forme specifiche di governo.⁵ Questa distinzione si rivelerà cruciale per comprendere i limiti dell’obbedienza che Tommaso riconosce ai sudditi.
La struttura dell’obbligazione politica
L’obbedienza dei sudditi all’autorità costituita rappresenta, nel sistema tomista, un dovere che si articola su molteplici livelli. In primo luogo, essa si configura come manifestazione della virtù della giustizia, specificamente di quella che Tommaso denomina “giustizia legale”, ossia la disposizione virtuosa mediante la quale l’individuo si ordina al bene della comunità.⁶ L’obbedienza alle leggi giuste non è quindi mera conformità esteriore a un comando, ma espressione della perfezione morale dell’individuo in quanto membro della civitas.
Tommaso distingue con precisione tra diversi tipi di legge, delineando una gerarchia normativa che avrà conseguenze decisive per determinare l’ambito dell’obbedienza dovuta. Al vertice si colloca la legge eterna, ossia il piano provvidenziale divino; seguono la legge naturale, partecipazione della legge eterna nella creatura razionale; la legge divina positiva, contenuta nelle Scritture; e infine la legge umana positiva, stabilita dall’autorità politica.⁷ Quest’ultima, per essere veramente legge, deve derivare dalla legge naturale attraverso un processo di determinazione o conclusione, e deve essere orientata al bene comune.⁸
I sudditi sono tenuti all’obbedienza in coscienza (in foro conscientiae) quando la legge umana soddisfa tre condizioni fondamentali: deve essere stabilita da un’autorità legittima, deve essere giusta nel suo contenuto, e deve essere promulgata in forma adeguata.⁹ L’autorità del legislatore deriva dalla sua funzione di curatore del bene comune, non da un potere arbitrario sulla comunità. Come Tommaso precisa, il principe è “minister boni communis”, servitore del bene comune, non suo padrone assoluto.¹⁰
I confini della disobbedienza legittima
La riflessione tomista raggiunge forse il suo momento di maggiore originalità e audacia teoretica nella determinazione dei casi in cui l’obbedienza cessa di essere doverosa. Tommaso articola una dottrina della resistenza che, pur mantenendo un’impostazione generalmente favorevole alla stabilità politica, riconosce spazi significativi alla disobbedienza e persino alla opposizione attiva.
Una prima categoria di leggi che non obbligano in coscienza è costituita dalle leggi ingiuste per difetto di conformità al bene comune. Tommaso distingue tre modi in cui una legge può essere ingiusta: per il fine, quando il legislatore persegue il proprio vantaggio personale anziché il bene comune; per l’autore, quando il legislatore eccede i limiti della propria competenza; per la forma, quando i gravami sono distribuiti in modo ineguale tra i cittadini.¹¹ In questi casi, Tommaso afferma che tali norme sono piuttosto “violenze” (violentiae) che leggi, e non obbligano in coscienza, sebbene possa essere prudente obbedire ad esse per evitare scandalo o disordine maggiore.¹²
Un secondo e più grave tipo di ingiustizia si verifica quando le leggi contraddicono apertamente la legge divina o naturale. In questi casi, Tommaso è categorico: “nullo modo licet observare” – non è in alcun modo lecito osservarle.¹³ La disobbedienza non è qui semplicemente permessa, ma diventa un dovere morale. L’esempio paradigmatico è quello dei martiri cristiani che rifiutarono di sacrificare agli idoli nonostante i comandi delle autorità romane. La coscienza del suddito, illuminata dalla legge naturale e divina, conserva un’autonomia irriducibile rispetto ai comandi dell’autorità politica.
La questione della tirannide e della resistenza al tiranno rappresenta uno dei punti più delicati e discussi della dottrina politica tomista. Nel De regno, Tommaso manifesta una notevole cautela, sottolineando i pericoli che un’insurrezione può comportare: il rischio di cadere in una tirannide peggiore, il pericolo di guerra civile, la difficoltà di coordinare un’azione collettiva senza provocare disordini ancora più gravi.¹⁴ Tuttavia, Tommaso non esclude in linea di principio la possibilità di resistere al tiranno. Egli distingue tra il tiranno ex defectu tituli, che usurpa il potere senza legittimo titolo, e il tiranno ex parte exercitii, che pur essendo giunto legittimamente al potere, lo esercita in modo tirannico.¹⁵
Nel primo caso, la resistenza è generalmente legittima, poiché si tratta di difendersi da un’usurpazione violenta. Nel secondo caso, la situazione è più complessa: Tommaso sembra suggerire che l’iniziativa della deposizione del tiranno spetti all’autorità pubblica superiore (se esiste) o alla comunità nel suo insieme, non ai singoli individui che agiscono privatamente.¹⁶ Alcuni interpreti, come Jean-Pierre Torrell, hanno visto in questa dottrina un’apertura verso forme embrionali di sovranità popolare, sebbene tale lettura rimanga controversa.¹⁷
La dignità ontologica del suddito
Un aspetto spesso trascurato ma fondamentale della riflessione tomista è il riconoscimento della dignità intrinseca di ogni persona umana, indipendentemente dalla sua posizione nella gerarchia politica. Tommaso, elaborando la dottrina agostiniana dell’immagine di Dio nell’uomo, sostiene che ogni essere umano, in quanto dotato di intelletto e volontà, possiede una dignità che lo rende capace di autodeterminarsi verso il bene e quindi di partecipare attivamente, anche se in modi diversi, alla vita della comunità politica.¹⁸
Questa concezione antropologica ha conseguenze immediate per la comprensione del rapporto politico: il suddito non è un mero oggetto passivo del comando, ma un soggetto razionale capace di comprendere il fondamento delle leggi e di aderirvi liberamente. L’obbedienza politica virtuosa non è quindi quella dello schiavo che esegue per timore, ma quella del cittadino che riconosce nella legge giusta l’espressione razionale del bene comune e vi si conforma in quanto essa corrisponde ai dettami della ragione pratica.¹⁹
Tommaso distingue esplicitamente tra il governo dispotico, proprio del padrone sullo schiavo, e il governo politico, proprio del reggitore sulla comunità di uomini liberi. Nel primo caso, il governato è trattato come strumento del governante; nel secondo, il governato mantiene la propria autonomia e dignità, e il governo si esercita per il bene del governato stesso.²⁰ Questa distinzione, che l’Aquinate riprende da Aristotele ma arricchisce teologicamente, rappresenta un elemento di notevole modernità nella riflessione medievale sul potere.
Il bene comune come principio regolativo
Il concetto di bene comune (bonum commune) costituisce la chiave interpretativa fondamentale per comprendere l’intera architettura del pensiero politico tomista e, in particolare, la concezione del rapporto tra autorità e sudditi. Tommaso definisce il bene comune come il bene proprio della comunità in quanto tale, distinto sia dalla mera somma dei beni individuali sia dal bene privato di chi governa.²¹ Esso comprende le condizioni materiali, morali e spirituali necessarie affinché i membri della comunità possano conseguire la propria perfezione umana.
L’autorità politica trova la propria legittimazione e il proprio limite precisamente nel suo rapporto con il bene comune. Il governante è autentico tale solo nella misura in cui orienta la propria azione al conseguimento di questo fine; quando persegue invece il proprio interesse privato, tradisce la natura stessa dell’autorità politica e degenera in tiranno.²² Parallelamente, i sudditi sono obbligati all’obbedienza proprio in quanto e nella misura in cui i comandi dell’autorità sono effettivamente ordinati al bene comune. Si delinea così una relazione circolare e dinamica: l’autorità serve il bene comune attraverso la legislazione e il governo; i sudditi servono il bene comune attraverso l’obbedienza alle leggi giuste; quando questo circolo virtuoso si spezza, si spezza anche il fondamento dell’obbligazione politica.
Jacques Maritain, nel suo importante studio sul pensiero politico tomista, ha sottolineato come questa concezione implichi una visione “personalista e comunitaria” della società politica, in cui la persona non è assorbita nello Stato ma trova piuttosto nella comunità politica le condizioni per il proprio pieno sviluppo.²³ Il bene comune non è quindi un’entità astratta che si contrappone ai beni individuali, ma piuttosto il bene della comunità di persone, un bene che è insieme personale e sociale.
Le forme della partecipazione politica
Sebbene Tommaso non sviluppi una teoria articolata della partecipazione democratica nel senso moderno, la sua riflessione contiene elementi che valorizzano il coinvolgimento dei sudditi nella vita politica. Nella discussione sulla miglior forma di governo contenuta nella Summa Theologiae, l’Aquinate propone un modello misto in cui l’elemento monarchico (l’unità del comando) si combina con elementi aristocratici (il governo dei migliori) e democratici (la possibilità che tutti possano partecipare al governo e che i governanti siano eletti dal popolo).²⁴
Questa apertura, per quanto limitata rispetto alle concezioni moderne di democrazia, indica che Tommaso non concepiva i sudditi come massa passiva, ma riconosceva l’importanza di forme di partecipazione che potessero garantire sia la legittimità del governo sia la sua effettiva ordinazione al bene comune. La partecipazione popolare, nelle forme appropriate alla natura della comunità, costituisce un elemento di stabilità politica e un argine contro la degenerazione tirannica.²⁵
I doveri positivi dei sudditi
Accanto agli obblighi di obbedienza e ai limiti della stessa, Tommaso delinea anche una serie di doveri positivi che incombono sui sudditi in quanto membri della comunità politica. Il primo e più evidente è il contributo materiale al sostentamento della res publica attraverso il pagamento dei tributi. Tommaso giustifica la tassazione non come un’estorsione arbitraria, ma come mezzo necessario per il conseguimento del bene comune, che richiede risorse materiali per essere realizzato.²⁶ Tuttavia, anche in questo ambito, la legittimità del tributo è subordinata alla sua necessità per il bene comune e alla sua equa distribuzione.
Un secondo dovere fondamentale è la partecipazione alla difesa comune. Tommaso riconosce il diritto e il dovere della comunità politica di difendersi dalle aggressioni esterne, e quindi la legittimità della guerra difensiva condotta secondo i criteri della guerra giusta.²⁷ I sudditi, come membri della comunità, sono chiamati a contribuire a questa difesa, sebbene Tommaso non elabori una dottrina sistematica del servizio militare.
Un terzo ambito di doveri riguarda quella che potremmo definire la “virtù civica”: Tommaso valorizza la sollecitudine per il bene comune, l’onestà nelle transazioni, il rispetto delle leggi anche quando la trasgressione potrebbe passare inosservata, la cura degli spazi e dei beni comuni. Questi doveri non sono imposti dall’esterno attraverso la coercizione legale, ma derivano dalla natura stessa della virtù della giustizia e dalla dimensione sociale dell’esistenza umana.²⁸
Implicazioni per la teoria del potere limitato
La dottrina tomista del rapporto tra autorità e sudditi contiene in nuce elementi che saranno sviluppati nelle successive teorie del governo limitato e dei diritti individuali, sebbene Tommaso stesso non articoli queste conseguenze in termini pienamente moderni. Il principio secondo cui l’autorità politica è vincolata dalla legge naturale e dal bene comune, il riconoscimento del diritto-dovere di disobbedienza alle leggi ingiuste, la dignità intrinseca della persona umana: tutti questi elementi costituiscono fondamenti teoretici che saranno ripresi e sviluppati da pensatori successivi, dai teologi-giuristi della Seconda Scolastica fino ai filosofi politici della prima modernità.²⁹
Alcuni studiosi, come Brian Tierney, hanno individuato nelle dottrine medievali sul potere limitato, compresa quella tomista, le radici storiche dell’idea moderna di diritti fondamentali inalienabili.³⁰ Sebbene Tommaso non utilizzi il linguaggio dei “diritti soggettivi” che si affermerà più tardi, la sua insistenza sulla subordinazione del potere politico a principi normativi superiori e sulla dignità della persona umana contiene elementi che anticipano sviluppi successivi.
Tuttavia, occorre evitare anacronismi interpretativi. Tommaso rimane un pensatore medievale, e la sua concezione dell’ordine politico è profondamente radicata nel contesto della Cristianità latina del XIII secolo. La tensione tra l’universalismo teologico e il particolarismo delle comunità politiche concrete, la questione dei rapporti tra potere spirituale e potere temporale, il ruolo della rivelazione cristiana nell’orientare la vita politica: tutti questi elementi caratterizzano irriducibilmente la riflessione tomista e ne fanno qualcosa di diverso dalle moderne teorie politiche liberali, per quanto possano esistere linee di continuità problematica tra l’una e le altre.³¹
Conclusione
La riflessione di Tommaso d’Aquino sul rapporto tra autorità politica e sudditi rappresenta un momento di sintesi teoretica di notevole spessore nella storia del pensiero politico occidentale. Recuperando e cristianizzando la filosofia politica aristotelica, l’Aquinate elabora una concezione dell’obbligazione politica che evita tanto l’assolutismo quanto l’anarchismo, riconoscendo la necessità dell’autorità politica ma subordinandola rigorosamente al bene comune e alla legge naturale. I sudditi emergono in questa prospettiva non come massa passiva sottoposta a un potere arbitrario, ma come soggetti razionali e morali la cui obbedienza è dovuta solo nella misura in cui l’autorità adempie alla propria funzione di servizio al bene comune.
Gli elementi di modernità presenti in questa dottrina – il riconoscimento dei limiti del potere politico, la legittimazione della disobbedienza alle leggi ingiuste, la dignità intrinseca della persona umana – non devono far dimenticare la specificità del contesto medievale in cui Tommaso opera. Tuttavia, proprio la capacità di questa riflessione di generare sviluppi e reinterpretazioni nei secoli successivi testimonia la sua profondità teoretica e la sua rilevanza per la comprensione delle strutture fondamentali del rapporto politico. La sintesi tomista continua a rappresentare un punto di riferimento imprescindibile per chiunque voglia comprendere le radici intellettuali della tradizione politica occidentale e le sue tensioni costitutive tra autorità e libertà, tra ordine e giustizia, tra l’esigenza della coesione sociale e il rispetto della dignità individuale.
*Miembro del Consejo Honorario de Gobierno y profesor en la Sociedad de Estudios Internacionales (SEI
NOTE
- Passerin d’Entrèves, La dottrina dello Stato (Torino: Giappichelli, 1962), 45–78; M. S. Kempshall, The Common Good in Late Medieval Political Thought (Oxford: Oxford University Press, 1999).
- Tommaso d’Aquino, In Politicorum, I, 1; cfr. Summa Theologiae, I–II, q. 72, a. 4.
- Tommaso d’Aquino, De regno ad regem Cypri, I, 1, in ed. Spiazzi, nn. 748–749.
- Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II–II, q. 104, a. 1; cfr. Romani 13, 1.
- John Finnis, Aquinas: Moral, Political, and Legal Theory (Oxford: Oxford University Press, 1998), 231–252.
- Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II–II, q. 58, aa. 5–6.
- Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I–II, q. 91, aa. 1–4.
- , I–II, q. 95, a. 2.
- , I–II, q. 96, a. 4.
- Tommaso d’Aquino, De regno, I, 15, in ed. Spiazzi, n. 774
- Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I–II, q. 96, a. 4.
- : “nullo modo licet observare”.
- Tommaso d’Aquino, De regno, I, 6, in ed. Spiazzi, nn. 755–756.
- Tommaso d’Aquino, In II Sententiarum, d. 44, q. 2, a. 2.
- W. Dyson, Aquinas: Political Writings (Cambridge: Cambridge University Press, 2002), xxvi–xxx.
- Jean-Pierre Torrell, Tommaso d’Aquino. L’uomo e il teologo (Casale Monferrato: Piemme, 1994), 289–293.
- Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 93, aa. 4–6.
- Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I–II, q. 90, a. 4; Etienne Gilson, Lo spirito della filosofia medievale (Brescia: Morcelliana, 1983), 389–412.
- Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 96, a. 4; cfr. In Politicorum, I, 1–2.
- Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I–II, q. 90, a. 2; II–II, q. 58, a. 7, ad 2.
- Tommaso d’Aquino, De regno, I, 3–4, in ed. Spiazzi, nn. 751–753
- Jacques Maritain, L’uomo e lo Stato (Milano: Vita e Pensiero, 2003), 18–45.
- Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I–II, q. 105, a. 1.
- J. Nederman, “Nature, Sin and the Origins of Society: The Ciceronian Tradition in Medieval Political Thought”, Journal of the History of Ideas.
- Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I–II, q. 105, a. 1.
- Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II–II, q. 40, aa. 1–2.
- Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II–II, q. 58, a. 5.
- H. Burns (a cura di), The Cambridge History of Medieval Political Thought (Cambridge: Cambridge University Press, 1988).
- Brian Tierney, The Idea of Natural Rights (Grand Rapids: Eerdmans, 1997).
- Ullmann, A History of Political Thought: The Middle Ages (Harmondsworth: Penguin, 1965).
Bibliografia essenziale
Fonti primarie
Tommaso d'Aquino, *Summa Theologiae*, ed. Leonina, Roma 1888-1906; trad. it. *Somma Teologica*, Bologna, ESD, 2014.
Tommaso d'Aquino, *De regno ad regem Cypri*, in *Opuscula philosophica*, ed. R. M. Spiazzi, Torino-Roma, Marietti, 1954; trad. it. *La regalità*, Bologna, ESD, 2010.
Tommaso d'Aquino, *Sententia libri Politicorum*, in *Opera omnia*, ed. Leonina, vol. 48, Roma 1971.
Studi
BIGONGIARI, D., *The Political Ideas of St. Thomas Aquinas*, New York, Hafner, 1953.
FINNIS, J., *Aquinas: Moral, Political, and Legal Theory*, Oxford, Oxford University Press, 1998.
GILBY, T., *The Political Thought of Thomas Aquinas*, Chicago, University of Chicago Press, 1958.
KEMPSHALL, M. S., *The Common Good in Late Medieval Political Thought*, Oxford, Oxford University Press, 1999.
MARITAIN, J., *L'uomo e lo stato*, Milano, Vita e Pensiero, 2003 (ed. or. 1951).
PASSERIN D'ENTRÈVES, A., *La dottrina dello stato*, Torino, Giappichelli, 1962.
ROMMEN, H., *Lo Stato nel pensiero cattolico. Trattato di filosofia dello Stato secondo S. Tommaso d'Aquino*, Milano, Vita e Pensiero, 1964.
TIERNEY, B., *The Idea of Natural Rights: Studite on Natural Rights, Natural Law and Church Law 1150-1625*, Atlanta, Scholars mia mamma, la 1997.
TORRELL, J.-P., *Tommaso d'Aquino. L'uomo e il teologo*, Casale Monferrato, Piemme, 1994.
ULLMANN, W., *A History of Political Thought: The Middle Ages*, Harmondsworth, Penguin, 1965.
© Tutti i Diritti Riservati








