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CULTURA

IL MISTERO DI CASTEL DEL MONTE: SOGLIA DEI FEDELI D’AMORE

IL MISTERO DI CASTEL DEL MONTE: SOGLIA DEI FEDELI D’AMORE

Amore non apre a chiunque la via che conduce a lui…”.( Sohravardî )

Castel del Monte non è soltanto un enigma architettonico: è una soglia, un varco della conoscenza, un luogo in cui il simbolo diventa esperienza interiore. Le suggestioni che lo circondano i Templari, i Fedeli d’Amore, l’“oriente” spirituale cui essi aspiravano non sono soltanto frammenti di storia, ma residui di un insegnamento arcano che ha attraversato i secoli.

Federico II, che in una canzone d’amore scriveva “Oi lasso! non pensai si forte mi parisse lo dipartire da donna mia…”, conosceva il linguaggio segreto della cavalleria spirituale, e nulla nel suo castello ottagonale fu lasciato al caso. Né lo fu nella tradizione a cui egli apparteneva: quella linea iniziatica che va da Dante a Cavalcanti, da Petrarca a Boccaccio, fino a Hafez, Rumi e Sohravardî. Un’unica corrente la Fedeltà d’Amore che attraversa Oriente e Occidente come un fiume sotterraneo.

Novalis e Raffaello, molto più tardi, custodirono la stessa scintilla: la rivelazione di un volto: Sofia per il poeta, la Vergine per il pittore, capace di spalancare un cammino di conoscenza. In tutti loro l’Amore non è sentimento, ma la via; non è emozione, ma disciplina dell’Arcano.

Castel del Monte è simbolo di un Oriente interiore, la struttura ottagonale, la ripetizione armonica delle proporzioni, la tensione tra luce e ombra restituiscono l’idea di un edificio concepito non solo come presidio territoriale, ma come macchina simbolica, un punto di intersezione tra il visibile e l’invisibile.

In questa prospettiva, l’interpretazione esoterica che legge Castel del Monte come un “Oriente interiore in pietra” non è un vezzo moderno ma un elemento coerente con l’immaginario medievale. Diverse tradizioni sapienziali europee dall’ermetismo fino alle correnti rosacrociane che affonderanno radici secoli dopo hanno indicato nell’Oriente profondo dell’uomo il luogo della rigenerazione interiore, spesso rappresentato dal “raggio verde”, simbolo del cuore come centro di equilibrio tra conoscenza e coscienza. La sua forma ottagonale ponte tra quadrato e cerchio indica un mondo di mezzo, un campo di trasformazione dove la luce non illumina soltanto lo spazio, ma anche il tempo. Al piano terreno domina l’ombra: è il regno in cui, come dice la tradizione iniziatica, “Amore deve discendere fino alla cella del cuore”. Nel centro del Castello vi era una vasca ottagonale: bafè (immersione) e mètis (sapienza). Il bafomet: il battesimo della conoscenza, travisato nei secoli come demonio per distruggere i Templari.

Nei suoi corridoi, nella sequenza di soglie obbligate, si percepisce un itinerario voluto. Le stanze del piano basso conservano le tracce dei quattro elementi: terra, acqua, aria, fuoco. Sono l’alfabeto della trasmutazione, il modello geometrico dell’Archetipo della Chiesa Universale, a cui aspiravano i Rosa+Croce, i Templari, i Fedeli d’Amore.

Si sale una scala a chiocciola antioraria: un invito a rovesciare la conoscenza, a disimparare per comprendere. Al piano superiore la luce esplode: rifratta, orizzontale, quasi platonica. Qui stava la “sala del trono”, e nel cortile opposto, un bassorilievo perduto raffigurava una dama che riceveva l’omaggio di cavalieri eco dei Fedeli d’Amore, dei Templari, dei cercatori del Graal.

Sul portale e nelle sale appare la rosa, emblema di segreto e conoscenza: la stessa Rosa di Soria cantata dagli stilnovisti, la Rosa dei Sufi Sebil-el-Uard, la Via della Rosa simbolo di trasformazione interiore. La Madonna stessa, nell’immaginario medievale, divenne Rosa Mistica: archetipo della Conoscenza che salva.

Castel del Monte, così, non è un monumento: è un libro di pietra. E come ogni libro iniziatico, svela solo a chi è disposto a vedere.

Nell’esperienza del castello, l’ombra iniziale è necessaria: è l’ignoranza che si abbandona. La luce del piano superiore è rivelazione: l’Iside Eterna che si svela, la Melusina che guida alla conoscenza, la Donna amata dai Fedeli d’Amore non figura storica, ma principio, intelletto d’amore.

Come dice Francesco da Barberino:

“Ella è colei che in terra ha pochi seco,

e in cielo molte.”

La sua presenza indica che la via non è solitaria: si compie nell’unione degli opposti, nella croce che interseca verticale e orizzontale e che, sublimata dalla rosa, diventa centro oltre il tempo e oltre lo spazio.

Nell’ordine segreto della conoscenza un maestro non si giudica dalle parole, ma dai discepoli: dal loro silenzio, dai loro gesti, dalla loro trasformazione. Perché l’opera vera è l’uomo stesso o, come dice un antico adagio dei Fedeli d’Amore, “gli occhi del cuore sono il solo tempio.”

Castel del Monte, con il suo ottagono sospeso tra terra e cielo, non è altro che questo: un invito ad attraversare il proprio Oriente.

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