Il paradosso del nostro tempo è che il potere più concreto, quello tecnologico, si fonda su ciò che non si vede. Il silicio, la materia neutra che Federico Faggin, il padre del microprocessore e della “Silicon Valley” americana ha trasformato nel cuore pulsante della tecnologia. Il simbolo di una modernità che crede di leggere il mondo attraverso l’algoritmo , ma che in realtà si muove in un territorio che sfugge alle categorie tradizionali della materia.
Faggin, fisico, inventore e pensatore tra i più fini del nostro tempo, ha sempre avuto il coraggio di mettere in relazione scienza e interiorità. Nel suo libro Silicio smonta la presunzione che l’intelligenza artificiale possa replicare l’esperienza umana: le macchine elaborano informazioni, ma non vivono significati. In “Oltre l’invisibile” questa intuizione si approfondisce: la realtà che percepiamo è solo una soglia, una superficie funzionale che nasconde piani più sottili. La scienza, osserva Faggin, non è in conflitto con la spiritualità; anzi, quando indaga la coscienza, sfiora territori che la tradizione filosofica ha custodito per secoli.
In un mondo in cui la tecnologia è divenuta il nuovo asse del potere geopolitico, capace di determinare economie, conflitti, equilibri e perfino identità questa prospettiva diventa cruciale. I grandi attori globali cercano di controllare i dati, le reti, l’intelligenza artificiale, l’illusione di possedere l’infrastruttura per dominare la realtà. Ma la realtà, ci ricorda Faggin, non si esaurisce nella materia visibile: è un campo complesso di relazioni, coscienze, significati e libertà interiori.
La tecnologia amplifica ciò che siamo; non può sostituirlo. Ecco il punto che il pensiero di Faggin offre alla riflessione geopolitica: il potere che non integri, la dimensione invisibile, finisce per essere miope, instabile, incapace di leggere ciò che realmente orienta l’agire umano. Le architetture digitali, senza una coscienza che le guidi, diventano strutture sospese, incapaci di generare vero equilibrio.
Oltre l’invisibile diventa una chiave interpretativa per il XXI secolo. Non solo un saggio, ma un invito a riconoscere che il dominio non coincide con la comprensione, e che nessun algoritmo potrà mai sostituire la qualità dell’esperienza umana. Se la tecnologia è il nuovo potere, allora il futuro appartiene a chi saprà vedere oltre la superficie delle cose in quel punto dove il visibile incontra l’invisibile, e dove la scienza torna ad essere, come alle origini, una forma di conoscenza che unisce e non divide, come ci ricorda Rumi nel suo scritto del 1250: “Ben oltre le idee di giusto e sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù”








