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CRONACA

TRUMPISTI O MUSKISTI, COMUNQUE FASCISTI DI DANIELE CAPEZZONE

TRUMPISTI O MUSKISTI, COMUNQUE FASCISTI DI DANIELE CAPEZZONE

di Riccardo Renzi

Daniele Capezzone e il coraggio di dire l’indicibile, "Trumpisti o muskisti, comunque 'fascisti'": un manifesto liberale contro la nuova inquisizione progressista

“Trumpisti o muskisti, comunque ‘fascisti’. Sinistra a caccia di nemici” (Piemme, 2025) non è solo l’ultimo libro di Daniele Capezzone: è un vero e proprio atto politico e culturale, un grido di allarme lanciato in un’epoca di caccia alle streghe digitali, moralismi tossici e tribunali mediatici che trasformano il dissenso in eresia e l’opposizione in “fascismo”. Con la consueta lucidità – e una penna che unisce rigore analitico e ironia affilata – Capezzone firma un libro necessario, urgente, liberale fino al midollo.

In un contesto in cui il termine “fascista” è ormai un’etichetta passepartout, affibbiata a chiunque osi discostarsi dai dogmi del progressismo woke, Capezzone smonta l’intera architettura retorica della nuova sinistra moralista, e lo fa senza sconti né indulgenze, ma con onestà intellettuale rara.

Fin dalle prime pagine, l’autore chiarisce la natura “anti-anti” della sua operazione intellettuale. Il libro non è un’agiografia di Donald Trump, Elon Musk, Javier Milei o Benjamin Netanyahu, ma una critica serrata al meccanismo con cui questi personaggi vengono demonizzati: non per ciò che fanno o dicono, ma per ciò che rappresentano nel grande schema simbolico della sinistra radical-chic.

Capezzone non santifica: analizza. Riconosce i limiti di Trump – la comunicazione spesso bellicosa – così come le ambiguità di Musk, la teatralità di Milei, o la durezza divisiva di Netanyahu. Ma rimette al centro il diritto sacrosanto a non essere demonizzati per il solo fatto di esistere fuori dallo schema liberal-progressista.

Il cuore della tesi di Capezzone è spietatamente semplice: l’antifascismo oggi è diventato un paravento, dietro cui si nasconde la più intollerante delle intolleranze. L’antifascismo vero – quello del Novecento, che ha combattuto dittature vere – è stato svuotato di significato da un uso inflazionato, isterico, spesso offensivo della parola “fascista”.

Se tutto è fascista, nulla lo è davvero. Ed è qui che l’autore colpisce nel segno: non viviamo un’epoca di rinascita del fascismo, ma un’epoca di isteria collettiva, in cui chi non si adegua al catechismo dominante viene scomunicato, messo alla gogna, silenziato.

L’assassinio di Charlie Kirk, giovane leader conservatore americano, avvenuto solo pochi giorni dopo l’uscita del libro, è il tragico sigillo della sua attualità. Capezzone aveva avvertito: demonizzare non è un esercizio retorico innocuo. Disumanizzare l’avversario può avere conseguenze irreparabili. Quando oltre metà dell’elettorato progressista americano dichiara – come rilevano i sondaggi riportati nel libro – che sarebbe “giustificabile” l’omicidio di Trump o Musk, non siamo più nel campo del dibattito politico. Siamo nella soglia del fanatismo.

Capezzone non cade nella trappola della tifoseria. Non sostituisce un fanatismo con un altro. Invita a pensare, non a tifare. In un tempo in cui la polarizzazione fa comodo a tutti – destra e sinistra – questo è un atto di libertà intellettuale raro.

La sua è una difesa del pensiero critico, del pluralismo, della complessità. Non c’è spazio per il populismo becero, né per la nostalgia reazionaria. Anzi: Capezzone chiama la destra a crescere, a costruire una propria epica culturale e narrativa, all’altezza delle sfide globali. Soprattutto: invita a non arretrare mai davanti al ricatto morale del politicamente corretto.

E non finisce qui. Nelle prossime settimane Capezzone porterà in scena uno spettacolo teatrale ispirato al libro. Un passo coraggioso, quasi militante, per uscire dalla bolla dei media e parlare direttamente al pubblico, “a viso aperto”. Un segnale chiaro: “Trumpisti o muskisti” non è solo un saggio, è un progetto culturale di lungo periodo, una contro-narrazione sistemica.

Capezzone scrive come parla: brillante, acuto, ironico, colto senza essere pedante, giornalistico nel ritmo ma filosofico nella sostanza. Ogni capitolo è un piccolo concentrato di provocazione argomentata, di sfida intellettuale. Non è un libro comodo: è un libro che chiede al lettore di uscire dalla propria comfort zone. E proprio per questo, è uno dei testi politici più importanti pubblicati in Italia negli ultimi anni.

Trumpisti o muskisti, comunque “fascisti” non è solo un libro per i liberali, i conservatori o gli anti-woke. È un libro per chiunque abbia a cuore la libertà di parola, il pluralismo delle idee, la dignità del dissenso. Perché se oggi è “fascista” chi vota Milei o cita Musk, domani lo sarà chiunque osi pensare fuori dal coro. Capezzone lo dice senza ambiguità: non serve idolatrare questi leader, serve difendere il diritto a raccontare un mondo diverso da quello imposto dal pensiero unico. In un’epoca in cui il dibattito pubblico è affogato nei meme, nella censura preventiva e nelle black list ideologiche, Trumpisti o muskisti è un antidoto potente e liberale, che non conforta, ma sveglia. Chi ama davvero la democrazia dovrebbe ringraziare Capezzone. E leggerlo.

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