di Umberto Minopoli
C’è’ una cosa che trovo imperdonabile nei “professionisti dell’antimafia”: aver fatto entrare la diffidenza, la sfiducia, lo scetticismo in tutte le cose che riguardano la lotta tra lo Stato e la mafia.
A fianco alla generale soddisfazione di tanti, specie a Palermo, per la vittoria dello Stato, circolano sui social le versioni complottiste di chi - in nome della credenza che la cupola della mafia sia nella politica - vede, in ogni colpo dato ai mafiosi, invece, lo scambio, la trattativa, la collusione: e’ il mafioso che si e’ fatto arrestare, in nome di qualche oscuro maneggio.
Curzio Malaparte avrebbe visto in questa perenne credenza nello Stato colluso e nella mafia onnipotente qualcosa che entrato a far parte di quel carattere “arcitaliano” (essere tutto e il contrario di tutto) come tratto di specificità nel mondo.
Alcuni magistrati, giornalisti, opinionisti - nella perenne ricerca della prova del complotto, della politica che fa patti con le cupole mafiose - hanno costruito un’ideologia sulla collusione. Per loro l’Italia e’ una versione del Brasile o della Colombia, dove lo Stato e’ fatto da un’amministrazione e forze di polizia colluse.
E invece e’ vero quello che diceva ieri Il magistrato Ayala: abbiamo forze di polizia e inquirenti che sono un’eccellenza del mondo occidentale, di cui andar fieri e orgogliosi. E da applaudire, come hanno fatto ieri i cittadini, i giovani e le donne di Palermo. Che, come in una guerra, hanno visto i loro soldati liberare il territorio della patria da un oscuro e pericoloso occupante.
I professionisti dell’antimafia, per overdose di disfattismo e complottismo, stanno determinando, ormai, la reazione opposta: quella di chi si sente parte di un Stato dotato di forze dell’ordine e di apparati e funzionari di cui si può essere fieri.








