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I BAMBINI HANNO IL DIRITTO DI SOGNARE

I BAMBINI HANNO IL DIRITTO DI SOGNARE

Finalmente la Camera, approvando il disegno di legge Valditara, ha messo un punto fermo su una delle derive più pericolose del progressismo woke riguardante la cosiddetta educazione sessuo-affettiva, ponendo limiti di età (si comincia dalle medie) e chiedendo il consenso dei genitori o degli studenti se maggiorenni.

I bambini hanno il diritto di sognare e non di essere indottrinati su teorie varie che appartengono alla logica dello stato etico tipico delle dittature e alle ideologie di una borghesia radical chic che odia il prolatariato e la classe media e si copre con l’alibi della protezione al lumpenproletariato.

Il lumpenproletariato (in tedesco: "proletariato straccione") è un termine coniato da Karl Marx e Friedrich Engels per indicare lo strato più basso e marginalizzato del proletariato: persone completamente staccate dal processo produttivo e che vivono ai margini della società.

L’attacco alla famiglia è ormai evidente da parte di chi vuole omologare i giovani al pensiero unico politicamente corretto, che corretto è solo in quanto propaga teorie woke, gender, green.

I casi delle cosiddette “famiglie nel bosco” sono emblematici di un esproprio della famiglia da parte di logiche da Stato etico (Hegel) e di impostazioni che derivano dalla Repubblica di Platone o dal modello spartano.

Nella Repubblica di Platone i guardiani e i filosofi-re (le due classi dirigenti) non possono possedere proprietà privata, oro, argento né case proprie, vivono in comunità, mangiano insieme nei sissizi (banchetti), ricevono dallo Stato solo lo stretto necessario per vivere (Rep. III, 416d-417b; V, 464b-e).  Tra i guardiani non esistono matrimoni stabili, le donne sono in comune a tutti gli uomini della stessa classe, e i figli vengono allevati in comune dallo Stato senza che nessuno sappia chi siano i propri genitori biologici (Rep. V, 457c-461e). Non esiste il nucleo familiare privato: «donne comuni, figli comuni» (γυναῖκες κοιναί, τέκνα κοινά). L’unità sociale fondamentale diventa la polis nel suo insieme. Gli accoppiamenti sono decisi dai governanti con criteri eugenetici (i migliori con i migliori) mascherati da sorteggi truccati. I bambini vengono tolti alle madri subito dopo lo svezzamento e educati collettivamente dallo Stato.

Marx ed Engels, nel Manifesto, citano Platone come esempio di «comunismo feudale» o «comunismo aristocratico», distinguendolo nettamente dal loro comunismo proletario.

Un riferimento collettivista è anche quello relativo all’organizzazione della società a Sparta.

Dall’età di 7 anni tutti i maschi spartiati venivano tolti alle famiglie e cresciuti dallo Stato in caserme. Vivevano, mangiavano, dormivano e si addestravano insieme per tutta la vita (fino ai 30 anni rimanevano nelle syssitia, mense comuni obbligatorie).

Sparta era un regime oligarchico-militare, gerarchico, autoritario, con fortissimi elementi collettivistici e comunitari tra la casta dominante e basato sullo sfruttamento brutale di una maggioranza servile.

Sparta ha alcune somiglianze con certi esperimenti collettivistici del Novecento (caserme, pasti comuni, educazione statale, controllo sociale totale)

Le idee del mondo woke radica chic, come si vede, hanno radici lontane. Le logiche orwelliane e malthusiane hanno avuto precedenti antichi ben riconoscibili e aspramente criticati da Karl Popper, il quale nel suo libro “La società aperta e i suoi nemici (1945)”, dedica il primo volume a una critica feroce a Platone, che considera uno dei principali responsabili intellettuali del pensiero totalitario nella storia occidentale.

Popper legge la Repubblica non come un’utopia filosofica innocua, ma come il primo progetto organico di società chiusa, gerarchica e totalitaria della storia del pensiero politico.

La Repubblica di Platone non è solo un’asettica elaborazione filosofica, ma si è posta come un manifesto politico, conseguente ad esperimenti reali e propedeutico alla loro continuazione.

In particolare, il riferimento è, come ben spiega Luciano Canfora, professore emerito all’Università di Bari, al governo utopico-sanguinario dei Trenta (404-403 a.C.), i cosiddetti «trenta tiranni», i quali, “pur dopo la sconfitta e il naufragio tragico del loro tentativo «palingenetico» hanno continuato a ritenere che si fosse trattato unicamente di un incidente di percorso, cioè di un esperimento da migliorare e riproporre”. [i]

Canfora propone le critiche del tempo all’opera di Platone, prima fra tutte quella di Aristofane.

Sotto tiro è il ruolo dei «guardiani», pronti a combattere non solo il nemico esterno, ma chi all’interno agisce male. Un ruolo ben interpretato da tutti i totalitarismi e da tutti i dittatori succedutisi nei secoli.

Canfora ricorda la “polarizzazione negativa che Platone ha suscitato contro di sé e contro il suo spregiudicato interventismo politico” e come un “poco letto Aristofonte compose un Platone nel cui unico frammento superstite dovuto, al solito, ad Ateneo (XII,552 E = fr.8K-A) qualcuno dice, forse rivolto a Platone medesimo: «così in pochi giorni ci farai tutti morti»!”. [ii]

Significativo l’attacco sferrato alla Kallipolis di Platone da Erodico di Seleucia, grammatico del II sec. a.C. (Contro il filosocrate). “I due punti più rilevanti su cui si concentra l’attacco – scrive Luciano Canfora – sono: la pretesa platonica di formare «l’uomo nuovo» come premessa fondante della Kallipolis e la deriva «tirannica» che immediatamente hanno preso coloro che, in varie città greche, dopo aver frequentato lui si sono impegnati in politica”. [iii] “In altri termini – sostiene ancora Canfora – l’Accademia non fu semplicemente un «pensatoio» (come non lo fu del resto la meno strutturata ma non meno efficace cerchia socratica). È evidente che volle essere anche una fucina di potenziali «governanti» (…). Perciò, soprattutto perciò, dall’esterno è stata vista con sospetto: anche come un pericoloso luogo di formazione di aspiranti a governare in nome di allarmanti progetti”. [iv]

L’esproprio dei figli da parte delle istituzioni statali per le famiglie che non si omologano agli schemi dello Stato inteso come etico, dove la morale statale (Hegel) conculca quella individuale (Kant) è perfettamente coerente con il tentativo di indottrinare i bambini con l’educazione-sessuo affettiva fin dalla più tenera infanzia.

Lo Stato etico, vale la pena di sottolinearlo, è uno dei concetti centrali della filosofia hegeliana.

La moralità kantiana, soggettiva, basata sul dovere formale e sulla coscienza individuale, per Hegel è necessaria, ma insufficiente, perché rimane astratta e può portare al fanatismo o all’ipocrisia, mentre l’eticità (Sittlichkeit) è la moralità concreta, vissuta nelle istituzioni storiche e oggettive della vita associata (famiglia, società civile, Stato). Qui la libertà non è più solo interna alla coscienza, ma si realizza effettivamente nel mondo. Lo Stato etico è quindi il culmine della Sittlichkeit: è l’istituzione in cui la libertà individuale si concilia perfettamente con la libertà universale, ovvero con il bene comune.

Lo Stato non deriva da un contratto sociale, ma è la manifestazione concreta dello Spirito oggettivo: è Dio che cammina sulla terra e nello Stato l’individuo realizza pienamente la propria libertà proprio obbedendo alle sue leggi, perché queste leggi sono l’espressione della razionalità universale che è anche in lui.

Questa idea di Stato ha prodotto i mostri del Novecento: nazismo e stalinismo.

La follia attuale, derivante da idee che affondano le loro radici nell’idea che lo Stato debba sovrastare l’individuo, è che una famiglia che abita nel bosco non è abile a educare i propri figli e a farli crescere nell’armonia e nell’amore, mentre armonica e culla d’amore è la famiglia arcobaleno, possibilmente con figli nati grazie all’utero in affitto.

Il tema è l’omologazione a un’ideologia.

Si cancellano leggi e disposizioni costituzionali, come l'istruzione parentale (o homeschooling), che è una scelta educativa legittima e regolamentata in Italia, prevista dall'articolo 30 della Costituzione, la quale assegna ai genitori il "dovere e il diritto" di educare i figli. L'obbligo scolastico (dai 6 ai 16 anni) si riferisce all'istruzione, non necessariamente alla frequenza scolastica tradizionale. I genitori devono presentare una dichiarazione annuale al dirigente scolastico della scuola più vicina, attestando la capacità tecnica o economica di provvedere all'educazione, e i figli devono sostenere un esame di idoneità annuale per verificare il raggiungimento degli obiettivi ministeriali.

L’altro caposaldo che giustifica l’esproprio è il rifiuto della vaccinazione. Per come sono andate le cose con il Covid, siamo in presenza ancora una volta non di norme sanitarie, ma di controllo sociale.

I bimbi hanno il diritto di sognare e, non a caso, la logica woke radical chic, sotto la quale si nasconde il totalitarismo del politicamente corretto, arriva a negare il valore educativo della fiaba, adducendo follie sessiste e razziste.

In Italia, la proposta più nota e controversa di “eliminare” o fortemente limitare le fiabe tradizionali (in particolare quelle dei fratelli Grimm e di Perrault) nei programmi scolastici e nelle letture per l’infanzia è stata avanzata negli anni ’70-’80 da un gruppo di pedagogisti e intellettuali di area marxista/femminista, tra cui spiccano soprattutto Gianni Rodari, Marcello Bernieri, Elena Gianini Belotti, Luzzatto Vogheras.

Gianni Rodari (in realtà Rodari non voleva eliminarle del tutto, ma le criticava duramente per i contenuti classisti, violenti e sessisti, proponendo di riscriverle o sostituirle con fiabe “nuove” e più egalitarie. Il suo libro più discusso in tal senso è “Grammatica della fantasia”.

Marcello Bernieri appartiene al gruppo di pedagogia radicale legato alla rivista “Cooperazione Educativa” e al Movimento di Cooperazione Educativa (MCE). Elena Gianini Belotti, autrice del celebre saggio Dalla parte delle bambine (1973), attaccava duramente le fiabe tradizionali accusandole di trasmettere stereotipi sessisti pesantissimi (la principessa passiva da salvare, la matrigna cattiva, la bellezza come unico valore femminile, ecc.). Luzzatto Voghera e altri intellettuali della sinistra extraparlamentare, negli anni ’70, proposero in alcuni comuni (soprattutto Bologna e Reggio Emilia, durante le giunte rosse) di togliere dai nidi e dalle scuole dell’infanzia i libri di fiabe classiche sostituendoli con testi “depurati” o alternativi.

Il caso più clamoroso e mediaticamente esploso fu però nel 1981-1982, quando l’assessore alla cultura del Comune di Torino (giunta di sinistra, sindaco Diego Novelli), l’intellettuale Giorgio Calcagno, propose ufficialmente di “bandire” dalle biblioteche e dalle scuole torinesi le fiabe dei Grimm e di Perrault perché «crudele, sessiste e classiste».

La proposta fu giustamente accusata di “censura stalinista” e alla fine venne ritirata, ma rimase nell’immaginario collettivo come il simbolo della “crociata contro le fiabe”.

In Francia alcuni pedagogisti, associazioni femministe e antirazziste hanno criticato le versioni originali delle fiabe di Charles Perrault e dei fratelli Grimm per contenuti considerati sessisti, violenti o razzisti.

In alcune scuole materne ed elementari di comuni della banlieue parigina (governi di sinistra o sinistra radicale), insegnanti e direttori hanno scelto di non leggere più certe fiabe classiche sostituendole con racconti moderni più “inclusivi” e meno stereotipati (fiabe in cui la principessa salva il principe, personaggi non-binari, ecc.).

La protesta scomposta e rabbiosa delle opposizioni le qualifica per quello che sono: un’accozzaglia di soggetti che rispondono ad una sinistra radical chic, dalle caratteristiche totalitarie, che ha come riferimento una borghesia malata e debosciata, che odia il proletariato e la classe media e ha come alibi il lumpenproletariato. L’esempio di chi occupa le case e viene proiettata nel Parlamento europeo è paradigmatico.

 

[i] Luciano Canfora, La crisi dell’utopia – Aristofane contro Platone, Laterza

[ii] Luciano Canfora, La crisi dell’utopia – Aristofane contro Platone, Laterza

[iii] Luciano Canfora, La crisi dell’utopia – Aristofane contro Platone, Laterza

[iv] Luciano Canfora, La crisi dell’utopia – Aristofane contro Platone, Laterza

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