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IL VENTO DELL’OVEST SPIRA SUL CIRCO BARNUM EUROPEO

IL VENTO DELL’OVEST SPIRA SUL CIRCO BARNUM EUROPEO

Pace a Gaza dopo 735 giorni di guerra: con la ratifica nella notte dell'accordo da parte del governo israeliano è entrato in vigore ieri "alle 12 ora locale" il cessate il fuoco nella Striscia.

La tregua sarà monitorata da una task force congiunta con 200 soldati Usa e militari da Egitto, Qatar, Turchia e forse Emirati.

L’Europa che non ha fatto altro che ciarlare e mettersi di traverso ed è ora esclusa dai giochi.

Non è un caso che non sia prevista la presenza di truppe britanniche o europee a Gaza dopo l'accordo di cessate il fuoco.

A prenderne atto è il ministro degli Esteri britannico Yvette Cooper, come riportano i media inglesi. "Non è nei nostri piani, non abbiamo intenzione di farlo - ha dichiarato Yvette Cooper a BBC Breakfast - Ma c'è una proposta immediata affinché gli Usa guidino quello che è effettivamente un processo di monitoraggio per assicurarsi che ciò avvenga sul campo. Hanno anche chiarito che si aspettano che le truppe sul campo siano fornite dagli stati vicini, e questo è qualcosa che ci aspettiamo che accada". 

Macron, che nessuno ha voluto tra i piedi, tanto per infilarsi, come al solito, ha convocato i ministri degli esteri di vari Paesi. Intorno al tavolo gli europei (Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia (E4) più Spagna) e gli arabi (Arabia Saudita, Giordania, Emirates, Qatar, Egitto) più la Turchia, l’Indonesia, il Canada e l’alta rappresentante per la politica estera europea, Kaja Kallas.

Gli Usa erano rappresentati, ma il segretario di stato Marco Rubio ha declinato. Israele era stato informato, ma non invitato, cosa che ha causato reazioni irritate: un vertice «superfluo e dannoso» per di più «in un momento così sensibile».  La riunione era stata programmata prima delle rivelazioni di mercoledì notte sull’accordo Israele-Hamas.

Ad infilarsi nei possibili vantaggi derivanti dall’accordo è arrivato anche il cancelliere tedesco Merz, il quale ha lanciato una conferenza internazionale di ricostruzione per Gaza. Merz ha fatto sapere che vuole organizzare una conferenza internazionale per la ricostruzione di Gaza insieme all'Egitto. In una nota ufficiale diffusa dalla cancelleria si legge: "Insieme all'Egitto inviteremo ad una conferenza internazionale per la ricostruzione di Gaza. Metteremo a fuoco i bisogni di Gaza più urgenti, come la ripristinazione dei rifornimenti idrici ed energetici e quelli in ambito medico".

Di questo passo l’accordo sarà il frutto di Merz, Macron, Kaja Kallas, Ursula von der Leyen, ossia del circo Barnum delle chiacchiere pronto a dare l’assalto alla diligenza.

Diligenza

Pieno consenso dall’accordo è arrivato nel frattempo da Mosca. Vladimir Putin ha infatti commentato con grande favore l'accordo tra Hamas e Israele sulla base del piano presentato da Trump. "Se attuato, il piano sarà un evento storico", ha detto Putin nel corso di una conferenza stampa a Dushambè.

Pieno appoggio al piano di Trump arriva anche dal patriarca latino di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa, il quale esprime fiducia verso l’intesa raggiunta tra Hamas e Israele, affermando che "ci saranno tanti ostacoli e che non sarà semplice”. Il Patriarcato lavorerà per “facilitare tutto quello che può portare una maggiore serenità alla popolazione di Gaza, ai palestinesi e agli israeliani, per aiutare a ricostruire le infrastrutture e la devastazione umana che questa guerra ha creato”.

Il piano si sta svolgendo secondo il programma. Al termine del ritiro parziale fino alla Linea Gialla, Hamas dovrà rilasciare tutti gli ostaggi vivi entro 72 ore.

Piano di pace

La prima fase dell'intesa prevede infatti "lunedì o martedì" la liberazione dei 20 ostaggi vivi in cambio di 1.950 prigionieri palestinesi, tra cui però non ci sarà Barghouti. Per restituire i corpi degli altri, Hamas ha chiesto 10 giorni.

Sull'ipotesi due Stati Trump, atteso per lunedì in Israele, poi in Egitto per la firma ufficiale dell'accordo, ha affermato: “Mi atterrò a ciò che concordano”.

Secondo quanto ha dischiarato il ministro degli Esteri Antonio Tajani parlando a Restart su Rai Tre, alla cerimonia della firma ufficiale dell’accordo invitata anche Giorgia Meloni.

Novità positive arrivano anche da altri quadranti del Medio Oriente. Come hanno riferito i media ufficiali libanesi, il ministro degli Esteri siriano Asaad al-Shaibani è arrivato in Libano.

Al-Shaibani è il primo alto funzionario di Damasco a visitare il Paese dopo il rovesciamento del regime di Bashar al-Assad avvenuto a dicembre. Secondo i media, Shaibani è accompagnato da una delegazione che include il ministro della Giustizia Mazhar al-Wais. Il ministro discuterà, fra le altre questioni, della "riattivazione delle relazioni diplomatiche tra Libano e Siria", dopo decenni di predominio siriano in Libano sotto Assad.

La pace si muove ed è diretta dal vento dell’Ovest.

Ogni Ovest ha il suo Est e ogni Est ha il suo Ovest. Il nostro Ovest è l’America. L’Est dell’America è l’Europa.

Questa banalissima considerazione ci porta però a considerare che quello che avviene a Ovest ricade, necessariamente, a Est e viceversa, in considerazione dei molteplici legami esistenti. Lo hanno dimostrato i dazi. Lo dimostra la guerra in Ucraina. Lo dimostra ancora di più il fatto che l’Europa, nonostante lo scomposto agitarsi di Macron, Starmer e compagnia cantante, non ha avuto alcuna parte nella costruzione della pace a Gaza.

Dagli anni Novanta in poi, gli Usa e l’Europa sono stati governati da coalizioni che avevano dietro di sé i neocon Usa, le logiche neo colonialiste mai sopite degli europei e gli interessi della finanza globalista. Si sono affermate, assieme a linee politiche funzionali a chi dirigeva l’orchestra, anche ideologie, come il green, il gender, il climate change, il woke nelle sue varie declinazioni.

Bill Clinton ha aperto il Wto alla Cina, consentendo l’invasione cinese dei mercati a seguito della delocalizzazione delle industrie manifatturiere. Si è cercato, con l’allargamento della Nato, di comprimere la Russia in una dimensione regionale, con l’intento, non tanto nascosto, di farla scoppiare in tanti stati.

Tutto questo è finito negli Stati Uniti d’America. I dazi sono la risposta, ancora debole, al Wto allargato alla Cina. L’ideologia woke è sotto il fuoco di fila de repubblicani di Maga. Il green è stato, di fatto, abolito dalle politiche di Trump, con la conseguenza che è in via di estinzione necessitata anche in Europa.

Negli Stati Uniti è in atto una rivoluzione culturale che ben presto avrà le sue conseguenze anche nel Vecchio Continente.

La crisi della Francia, dell’Inghilterra, della Germania è sistemica. (Vedi anche l’articolo sul Carlo III in questo numero del giornale).

La speranza di truccare le elezioni negli Usa è tramontata con l’acquisizione da parte di un’azienda guidata da un repubblicano delle macchinette per votare della Dominion (vedi articolo in questo stesso numero del giornale).

Sempre negli Usa è in corso la battaglia detta del Gerrymandering, per ridisegnare i collegi elettorali costruiti su misura dai democratici.

I democratici sono allo sbando e la pace a Gaza, sicuramente, darà a Trump una mano a consolidare il suo elettorato.

Gli europei si devono rassegnare ad avere un Trump forte, a cui seguirà, probabilmente un Vance forte con un vicepresidente Rubio forte. Per i prossimi dieci anni la partita per i democratici dovrebbe essere persa.

Il vento dell’Ovest, presto, disastrerà quello che resta del brontosauro guidato da Ursula von der Leyen.

Disastro al quale ha contribuito direttamente Angela Merkel, che ha messo un cuneo nei rapporti interni al Ppe con le sue esternazioni fate, non a caso in Ungheria.

L’Unione Europea è un disastro in disarmo, nonostante il Re-arm e l’inseguimento dei droni nei cieli europei.

Siamo vicini al redde rationem.

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