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POLITICA

LE SIRENE DI CARLO III E PAPA LEONE XIV

LE SIRENE DI CARLO III E PAPA LEONE XIV

di Vito Sibilio

Il 22 e 23 ottobre prossimi Re Carlo III e sua moglie saranno in visita di Stato dal Papa Leone XIV, realizzando un progetto che era stato rimandato per la malferma salute e la morte di Papa Francesco.

Non deve meravigliare che il sovrano inglese renda al Pontefice Romano una visita tanto solenne, in quanto i legami storici tra Santa Sede e Inghilterra sono stati per secoli molto forti e, dopo l’interruzione causata dallo Scisma anglicano, si sono rinsaldati. Tutti infatti sanno che la Francia è la figlia primogenita della Chiesa, ma pochi rammentano che la secondogenitura spetta, in parità, alla Britannia anglosassone e alla Spagna visigotica, mentre alla prima toccò il primato di avere i più stretti rapporti con Roma, ai fini della determinazione dell’identità nazionale e religiosa, in tutto l’Occidente. Gregorio Magno (590-605) inviò i suoi missionari ad evangelizzare ed educare gli Anglosassoni, e ci riuscì così bene che in una generazione la cultura latina, che nell’alto medioevo barbarico d’Occidente aveva come ultima dimora solo l’Italia, trovò oltremanica un ulteriore rifugio. Fu ai suoi dotti che Carlo Magno si rivolse per costruire la cultura del suo impero continentale. E i successori di Gregorio seguirono puntigliosamente la vita religiosa inglese ininterrottamente sino tutto il IX sec. Quando poi Guglielmo il Conquistatore impose la dominazione normanna alla Britannia anglosassone, lo fece con l’appoggio determinante di Alessandro II (1071-1085), che si servì del nuovo Re per esportare nell’isola la Riforma ecclesiastica che propugnava con tanta determinazione. Fu Adriano IV (1154-1158), l’unico Papa inglese della storia, ad autorizzare Enrico II alla conquista dell’Irlanda, per imporvi la Riforma gregoriana.  Fu Innocenzo III (1198-1216) a fare dell’Inghilterra un feudo della Chiesa imponendosi su Giovanni Senza Terra e, quando suo figlio Enrico III rischiò di perdere il trono a vantaggio di Luigi, figlio di Filippo II Augusto, fu Onorio III (1216-1227) a difendere il suo vassallo minorenne, facendo sgominare l’esercito invasore da Guglielmo il Maresciallo e affidando la reggenza a lui e al Cardinale Legato Guala Bicchieri e, dopo di lui, al Legato  Pandolfo Verraccio, tramite cui sottomise a Londra anche il Galles. In questo modo l’Inghilterra non divenne un’appendice della Francia. Fu sempre Onorio III ad approvare, in una forma modificata, la Magna Charta che Innocenzo III aveva rigettato, creando l’embrione della monarchia costituzionale inglese. Giulio II (1503-1513) imbarcò Enrico VIII nella sua guerra contro la Francia con la Lega Santa. Persino alla vigilia dello Scisma, Clemente VII (1523-1534) ripose, inutilmente, tutta la sua fiducia in Enrico VIII per la guerra della Santa Lega di Cognac contro Carlo V. La cosa non impedì né il Sacco di Roma né lo Scisma anglicano per le note vicende matrimoniali del turbolento sovrano Tudor. Dopo la lunga interruzione dei rapporti tra Roma e Londra, la Rivoluzione Francese e l’Impero napoleonico videro Papato e corona britannica alleati e Pio VII (1814-1823) perse lo Stato Pontificio perché non volle aderire al Blocco continentale. Leone XII (1823-1829) ottenne l’emancipazione dei cattolici nel Regno, Pio IX (1846-1878) vi riorganizzò la Gerarchia e Leone XIII (1878-1903) coltivò buone relazioni diplomatiche con l’Impero britannico, nelle cui colonie la Chiesa Cattolica si espanse liberamente e abbondantemente. Nella Prima Guerra Mondiale Benedetto XV (1914-1922) con la sua imparzialità si guadagnò la stima del Governo inglese e nella Seconda Londra e il Vaticano di Pio XII (1939-1958) furono solidali nel combattere, sia pure in forme diverse, il Nazismo. La guerra fredda vide il Vaticano vicino a Londra nell’anticomunismo, nonostante l’ostpolitik di Giovanni XXIII (1958-1963) e Paolo VI (1963-1978), mentre il tridente che trafisse a morte il drago sovietico ebbe tre punte, Reagan Tatcher e Giovanni Paolo II (1978- 2005), delle quali la più avanzata fu quella papale. Papa Wojtyła fu il primo Papa a visitare l’Inghilterra e Benedetto XVI (2005-2013) venne solennemente ricevuto con una visita ufficiale da Elisabetta II in Gran Bretagna. I rapporti tra il Vaticano di Francesco (2013-2025) e la Corte dei Windsor furono tanto egregi che re Carlo III, che era venuto in Italia per incontrarlo, fu ricevuto privatamente durante l’ultima convalescenza del Pontefice. La visita a Leone XIV è perciò nel segno della continuità e, dal punto di vista religioso, una significativa novità, perché il Papa e il Supremo Rettore della Chiesa Anglicana pregheranno insieme. L’incontro farà risaltare la centralità geopolitica della Chiesa e l’importanza del dialogo ecumenico tra le due maggiori Chiese cristiane occidentali. E tuttavia esso presenta alcune criticità, che vale la pena di evidenziare, perché possono diventare una trappola per Papa Leone. Esse derivano dal fatto che il Re, oltre ad essere nel crepuscolo della vita, è anche il Capo di una potenza in declino e la Guida di una Chiesa in crisi.

Il primo punto critico è proprio l’ecumenismo. La Chiesa anglicana è da tempo in crisi e oramai è in dissoluzione. L’elezione ad Arcivescovo di Canterbury di una donna ha spezzato definitivamente la successione apostolica dell’episcopato anglicano, sulla cui interruzione si era già espresso Leone XIII, perché la donna, nella dottrina dell’Antica Chiesa Indivisa, è incapace di ricevere il sacerdozio. Inoltre l’Arcivescovo femmina è abortista e favorevole all’omosessualità, ossia è, senza troppi giri di frase, eretica. In conseguenza di ciò, come ha scritto Silvano Danesi, il grosso delle Chiese della Comunione Anglicana ha rotto i rapporti con la Chiesa madre, che, a causa dell’emorragia di fedeli nella società secolarizzata, si avvia ad essere una illustre reliquia, superata all’anagrafe del Regno persino dalla Chiesa Cattolica. Benedetto XVI aveva offerto una sponda agli anglicani in crisi creando la Chiesa Anglo Cattolica col motu proprio Anglicanorum Coetibus. Ora, Papa Leone dovrà fare una scelta, ossia coltivare un ecumenismo diplomatico privilegiando la Chiesa di Stato oramai senz’anima o perseguire una vera communicatio in sacris avvicinandosi agli anglicani affrancatisi dall’usurpatrice di Canterbury. Le cose ovviamente possono anche andare insieme, ma la Santa Sede non può correre il rischio di perdere l’occasione di una vera unione con gli anglicani dopo cinquecento anni. Tanto più che, a breve, quando sarà Re Guglielmo V, la Corona inglese abdicherà alla Reggenza ecclesiastica.

Il secondo punto è il dialogo interreligioso. Carlo III, nonostante il Grande Magistero della Loggia di Londra spetti al Duca di Kent, è ancora il vero capo della Massoneria mondiale. Essa è una organizzazione religiosa a tutti gli effetti e la Chiesa da tempo ha intrapreso la strada del dialogo con la Libera Muratoria. Ma la Massoneria di Carlo III è anche, troppo spesso, una organizzazione opaca, inquinata da uno spirito iniziatico oscuro e dall’uso come instrumentum Regni. La Chiesa Romana, a fronte di un mondo iniziatico non meno sconvolto di quello essoterico, pur parlando con tutti, dovrà scegliere quale Massoneria privilegiare nello scambio spirituale, e non correre il rischio di fare da sponda a quella istituzionale del Re inglese a scapito di altre obbedienze e tradizioni.

Il terzo punto deriva dai due precedenti. La Chiesa Cattolica ha una crisi interna che vede contrapporsi neomodernisti e neointegristi. Fare da sponda al Re inglese senza le opportune contropartite rischia di rendere ancor più tracotanti i progressisti e di far deflagrare in mezzo a noi cattolici una crisi analoga a quella anglicana, con la differenza che noi non possiamo farci un Papa su misura, perché il primato di Roma è legato alla successione a Pietro e non a una scelta dal basso. Leone XIV, se sottovalutasse il potere del partito inglese anche nella Chiesa, correrebbe il rischio di essere paralizzato da uno scisma strisciante già inaugurato sotto il papato precedente.

Il quarto punto è legato alla politica internazionale. Londra è oltranzista nella lotta contro Mosca per ragioni geopolitiche, ma oramai sta per essere scaricata da Washington e questo la ridimensionerà enormemente. Il Vaticano di Bergoglio si è smarcato dalla guerra ucraina e, nella crisi sistemica della UE che si intravede, quello di Prevost dovrà fare lo stesso per ritagliarsi margini di manovra. Tenendo presente che, da diversi anni, dietro la UE c’è il mondialismo della City di Londra, che quindi oggi è un potenziale avversario della sovranità del Papato.

Il quinto punto si collega all’ecologia. Vera ossessione di Carlo III, che è un feddayn della transizione green, la lotta al cambiamento climatico può diventare il punto grave della Chiesa contemporanea. A creare la sensibilità ecologica del Papato fu Giovanni Paolo II con il messaggio “Pace con Dio Creatore. Pace con tutta la Creazione” per la Giornata Mondiale della Pace. Su suo impulso il Catechismo della Chiesa Cattolica e il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa recepirono chiare e nette istanze ecologiste. Sotto papa Francesco l’enciclica Laudato Sii e l’esortazione apostolica Laudate Deum ha abbracciato l’elaborazione dei dati ambientali fatta dalle Fondazioni globaliste, come la Ford e la Soros. In tal modo il magistero del defunto si è di fatto spostato verso una ecologia più estremista, senza fare sue, ovviamente, le tendenze panteistiche insite nel pensiero di Carlo III, il quale, com’è noto, reputa che otto miliardi di persone siano troppe e non si mette tra i quattro che devono essere sacrificati, sparendo nelle prossime generazioni. Leone XIV ha riassettato il paradigma sin dai suoi primi discorsi, rammentando la centralità dell’uomo nel Creato, sulla scia della Laborem Exercens di Giovanni Paolo II, ma il rischio di essere mediaticamente fagocitato dal Re verde non va sottovalutato. Bisognerà contemperare l’impegno per l’ambiente con il rifiuto dell’ambientalismo.

Il sesto punto riguarda la sovranità della Santa Sede in Italia, intesa come cintura protettiva del Papato. Da tempo il Vaticano è parte più debole nella partnership con Roma, da quando c’è stato il Governo Monti e una scivolata sempre più veloce sul crinale della secolarizzazione. Ora, la trasformazione della geopolitica in seguito all’avvento di Trump e alla crisi del mondialismo potrebbe costringere gli inglesi a rafforzare la presa del loro partito nella nostra penisola, avviando manovre sotterranee per commissariare il centrosinistra già sorosiano e rottamare il Governo Meloni, alla vigilia delle presidenziali e della riforma di un ordine giudiziario spesso eterodiretto anche da Londra. La cosa, ovviamente, avrebbe ricadute anche sulla Santa Sede. Spetta al Papa far rivivere quel partito cattolico, oggi trasversale, che per ottanta anni ha fatto da bilanciamento ai suoi corrispettivi filoamericano, filoinglese, filofrancese e filosovietico.

Si tratta, come si vede, di una partita complessa. Ma l’agostiniano Leone, flemmatico e prudente, ha tutti i numeri per giocarla e vincerla.

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