di Roberto PECCHIOLI
Dipendenza significa il contrario di indipendenza, la condizione di chi è libero da vincoli. Indipendente è chi non è sottomesso al potere di un altro, libero di agire secondo il proprio giudizio e la propria volontà. Dipendente è chi vive, agisce, si comporta in base a ordini, prescrizioni, sollecitazioni esterne. In questo senso, la postmodernità può essere definita una società delle dipendenze. Un’efficace definizione di dipendenza in ambito psico sociale è la seguente: alterazione del comportamento caratterizzata dalla ricerca anomala ed eccessiva di sostanze o attività, nonostante l'evidenza che siano dannose. Le dipendenze sono malattie individuali e sociali che ci espropriano dell’autonomia e poi della libertà, consegnata al desiderio compulsivo entro un pensiero concentrato al soddisfacimento del bisogno indotto trasformato in schiavitù.
Sono talmente numerose le dipendenze della contemporaneità che un elenco esaustivo riempirebbe intere pagine. Occorre riconoscere l’attacco potentissimo alla nostra libertà, smascherare autori e beneficiari, ribadire gli effetti negativi individuali e collettivi, nonché prendere atto che quasi nessuno è esente da qualcuna delle innumerevoli dipendenze che ci circondano, ci assediano e si impadroniscono delle nostre vite. Alcune sono immediatamente riconoscibili, come l’abuso di sostanze stupefacenti. Mai come in questo caso bisogna partire dai significati. La definizione della bibbia politicamente corretta, Wikipedia, è chiarissima: stupefacente è una sostanza psicoattiva capace di modificare lo stato psico-fisico e indurre uno stato di stupor, un ridotto stato di coscienza e capacità di reazione (responsività), sino a provocare dipendenza.
Gli stupefacenti sono in grado di causare assuefazione - il degradare dell'effetto della dose, con conseguente tendenza ad aumentarla – e successivamente dipendenza vera e propria, la necessità di assumerle per evitare crisi di astinenza. La definizione, con le variabili relative ai vari ambiti psichici e fisici in cui agiscono, vale per tutte o quasi le dipendenze proposte o imposte dal sistema. La nostra tesi è che gran parte dei fenomeni che chiamiamo dipendenze siano prodotte, volute, sfruttate dai livelli più elevati del potere. Una prova sconcertante sono le dichiarazioni della presidente messicana Claudia Sheinbaum a margine delle durissime contestazioni popolari al suo governo in materia di lotta al narcotraffico. In Messico le attività legate alla droga producono migliaia di omicidi all’anno; i cartelli criminali contano su veri e propri eserciti armati padroni di intere porzioni di territorio, terrorizzano la popolazione, controllano l’economia, la politica, la società. La Sheinbaum- tipico esempio di progressismo liberal occidentale, moglie di un banchiere- ha dichiarato che la guerra contro i narcos non è una priorità nazionale. Ha asserito addirittura che è “fuori dalle legge perché è il permesso di uccidere senza alcun processo”. Chi la propone, secondo la signora dei quartieri alti, “porta verso il fascismo”. Tutti i salmi finiscono in gloria. Con un’inversione linguistica orwelliana, ciò che fanno impunemente i trafficanti è attribuito a chi vorrebbe combatterli.
L’evidenza è che le tossicodipendenze sono combattute per finta e che il livello più alto di quel mondo orribile non sono i cartelli assassini, ma settori apicali della finanza e del potere, destinatari finali degli immensi proventi dei traffici, facilmente immessi nel circuito legale. Non per caso il calcolo del Prodotto Interno Lordo (PIL) comprende anche le attività criminali, di cui evidentemente qualcuno è in grado di valutare con estrema precisione l’ammontare. Chi se non il vertice della piramide di potere? Le dipendenze – quella dalle sostanze stupefacenti e psicotrope è la più immediatamente devastante - servono soprattutto a controllare i cittadini-sudditi, neutralizzarli, renderli incapaci di pensare, agire, diventare soggetti liberi. Di questo gigantesco sistema criminale la politica non è che l’ancella e i suoi esponenti personale privilegiato di servizio. Anche in Europa diversi Stati, specie tra quelli creati (o inventati) dopo la fine del comunismo novecentesco, sono governati da cricche legate all’economia criminale. E’ urgente smontare la credenza ingenua secondo la quale i governi abbiano l’ obiettivo del bene dei cittadini.
Difficile e pericoloso, però. Scriveva Francesco Lamendola, un intellettuale di cui avvertiamo acutamente la mancanza, che viviamo in un mondo di dormienti che diventano feroci se qualcuno tenta di svegliarli. “La verità è che più si osserva il comportamento degli esseri umani, più si finisce per ammettere che la stragrande maggioranza di essi è formata da dormienti, che non desiderano destarsi dal proprio sonno voluttuoso, e nemmeno dai propri incubi; che vogliono continuare a dormire, a dispetto di tutti, anche se la casa in cui vivono sta prendendo fuoco; che non provano alcuna gratitudine nei confronti di coloro i quali cercano di destarli, ma, ben al contrario, nutrono nei confronti di costoro un odio implacabile, come se fossero i loro peggiori nemici, nel tempo stesso che onorano ed applaudono i malvagi pifferai che favoriscono i loro sonni e il loro sognare“.
Diciamola tutta: nell’immediato le dipendenze fanno stare bene. Nessun’altra spiegazione dell’imponenza del fenomeno regge a un esame obiettivo. Parliamo di paradisi artificiali – il predominio dell’artificiale è uno degli elementi della contemporaneità - proprio perché, apparentemente, permettono di sfuggire agli inferni reali di una società disfatta. La recente conferenza governativa sulle dipendenze ha vantato il raddoppio dei fondi: nel 2025 sono stati messi in campo 165 milioni di euro. Una goccia nel mare, risorse modestissime che verranno assorbite dalle burocrazie e da qualche campagna priva di efficacia. Del resto, non emerge nella coscienza collettiva alcuna spinta a lottare contro le dipendenze. Troppo estesa è l’infezione, calano gli anticorpi. Notizie tremende passano senza scuoterci. Il problema delle dipendenze dilaga, investendo l’alcool, il gioco, la pornografia, l’ambito sessuale, psicofarmaci, tecnologia, iperconnessione agli smartphone, alla rete, ai social media, aumentando il carico di devastazione individuale e collettiva.
Con il lessico di Marx, possiamo paragonare le droghe, il gioco, il sesso e la pornografia, l’alcolismo, il sistema di intrattenimento e di educazione al consumo che ha colonizzato l’immaginario, a sovrastrutture al servizio della struttura, cioè l'economia e la finanza, le prove delle cui responsabilità sono nascoste nei paradisi fiscali. Senza questo salto qualitativo del giudizio non si può spiegare l’enorme portata dei fenomeni, l’incapacità ( e l’assenza di volontà) di contrastarli e la facilità con cui milioni di persone di ogni età , cultura e condizione cadono nel buco nero delle dipendenze. Per limitarci agli stupefacenti, il solo Fentanyl, un oppioide cinquanta volte più potente dell’eroina e cento della morfina, utilizzato originariamente nelle anestesie e nelle terapie per i malati terminali, determina oltre centomila morti all’anno negli Stati Uniti. Pare che stia arrivando anche in Italia.
Contemporaneamente aumentano le dipendenze e le vittime da anfetamine e oppioidi, spesso prescritti come antidolorifici. Anche la medicalizzazione della vita diventa dipendenza. Facile concludere che la nostra è una civilizzazione drogata. Da ogni punto di vista e innanzitutto nel significato più concreto del termine. Ogni potere ha interesse a dominare su masse incapaci di ragionare, capire, porsi come antagoniste. Sempre l’uomo ha consumato prodotti che producono dipendenza. Mai, tuttavia, si era arrivati a questi livelli, anticipati dalle guerre dell’oppio del XIX secolo, provocate dagli interessi britannici in Oriente. Nell’Occidente degli ultimi sessant’anni la questione delle dipendenze ha assunto molteplici risvolti. Il tempo libero e l’istruzione di massa sono pericolosi per il potere, poiché favoriscono il pensiero libero; l’ozio è il padre dei vizi e su questo gioca la sua sporca partita chi ha interesse a disumanizzare, abbrutire, distruggere spiritualmente, moralmente e fisicamente le generazioni.
Negli anni Sessanta e Settanta del Novecento la sottocultura delle droghe sintetiche, l’acido lisergico, l’ LSD con il mito del trip, il “viaggio” propiziato dalla dose, si presentò come liberazione, emancipazione dalle regole costrittive. Figure come Herbert Marcuse, Timothy Leary, la beat generation americana e molti musicisti hanno responsabilità immense. L’operazione di normalizzazione delle droghe fu ampiamente favorita dagli apparati riservati statunitensi, preoccupati dalla contestazione giovanile che metteva in questione i fondamenti del sistema. I popoli sono stati abituati alle dipendenze (ossia ai vizi) e le droghe chimiche si sono unite alle droghe culturali, comportamentali, visive e musicali, determinando la dipendenza di massa a luci, suoni, abitudini, consumi, stimoli artificiali che il potere usa per dominare una plebe degradata a gregge.
La nostra è una società della prestazione. Vado al massimo, come cantava Vasco Rossi, è l’imperativo di chi insegue la performance. Ecco che diventa positivo, addirittura obbligatorio, assumere farmaci per reggere il ritmo, non avere pause, tenere a freno la stanchezza, o sostanze come la cocaina, che “tirano su” , promettono le forze per vincere, avere successo, competere nella guerra di tutti contro tutti della società liberale. Un’altra dipendenza determinata dal consumo, l’ideologia che prevede finanche l’autosfruttamento pur di conseguire futili obiettivi. Poiché solamente “uno su mille ce la fa”, il miraggio della ricchezza si trasferisce nel gioco in mille forme compulsive organizzate da un apparato che promette di cambiare la vita in un attimo attraverso l’alea, la scommessa- più emozione e adrenalina- al prezzo di una malattia sociale, la ludopatia, mai tanto diffusa.
L’erotizzazione della società determina ansia da imitazione degli esempi inaccessibili della pornografia. Il linguaggio corrivo, le immagini e le promesse dell’immenso apparato pubblicitario lavorano a creare dipendenza dai consumi, dalle mode, da modelli lontani come i divi dello spettacolo, gli straricchi e la nuova categoria degli influencer, sanguisughe dell’ingenuità altrui. Impressiona la dipendenza dal “mi piace”, il pollice alzato cliccato sui nuovi media, la mania ansiogena di essere approvati. In ogni ambito dell’esistenza, dipendiamo da qualcosa che finisce per sovrastarci, svuotarci, possederci: la forma contemporanea della schiavitù.







