Il titolo dell’articolo di Elena Tempestini: “Una complessa architettura della pace", non poteva che renderne ancor più visivamente l'immagine nella dinamica degli eventi.
Simile ad un grande Tempio di confine, del quale non si riesce mai a terminare l'opera, Israele e Palestina hanno convenuto ora fermarsi sin dove erano giunti.
La decisione, orbita in un’analisi della situazione in un contesto di grandi sacrifici di vite umane e di constatata immobilità da ambo le parti.
Simile alla dinamica degli scacchi, quando in una partita non c'è né resa né vittoria, si conclude con una patta, che in termini scacchistici, vuol significare (un pareggio), anche se in una partita, due delle ragioni più comuni sono lo stallo, che si configura o quando un
giocatore non ha mosse legali ma il suo re non è sotto scacco o per accordo tra i giocatori
ed è questa la situazione prospettatasi tra Israele e Hamas, dopo il lavoro di mediazione fatto da Trump.
Certo, che il disegno di un accordo, qualsivoglia sia, a scapito o discapito di alcuna delle parti, si realizza con la volontà di queste di por fine alla partita, ben sapendo l'uno o l'altro che non vi sara' Vittoria per nessuno dei due, se non accordandosi così per la patta, affinché la partita si concluda.
Strategicamente è stata l'occasione o potremmo pure definirla l’opportunità, verificatasi verso la fine della partita in cui Israele, in termini scacchistici, pur avendo più pezzi dell'avversario, ha ben compreso che (la sola forza) non sarebbe stata sufficiente per vincere, mancando a questa alcune combinazioni di pezzi.
Quindi, nel nostro caso, la partita è dichiarata patta, poich' nessuno dei due giocatori ha "materiale sufficiente" per forzare uno scacco matto. Raimondo Anna Montanari
