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OPINIONI

COSA RESTERA’ DI QUEGLI ANNI ‘80

COSA RESTERA’ DI QUEGLI ANNI ‘80

di Alberto Frau

La lotta al privilegio delle «baby pensioni» nel pubblico impiego

Gli anni ’80 vedono molti lavoratori usufruire di un sistema pensionistico basato su un numero di anni contributivi a dir poco grottesco che permette loro di andare in quiescenza ad una età ridicola: si tratta del sistema delle «pensioni baby».

Introdotte in Italia nel 1973 - dal governo di centro sinistra (Dc, Psi, Psdi e Pri) presieduto dal democristiano Mariano Rumor, con l’approvazione del «Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato» - consentono ai dipendenti del pubblico impiego di pensionarsi con 14 anni, sei mesi e un giorno di attività lavorativa se donne con prole; 19 anni, sei mesi e un giorno se uomini; 24 anni, sei mesi e un giorno se dipendenti degli enti locali (compresi di riscatto della laurea, maternità e servizio militare).

Una follia economica, una grandissima ingiustizia sociale e uno dei simboli più pregnanti della rovina dell’Italia, che durerà quasi venti anni ma che paghiamo tuttora.

Nonostante parte dell'opinione pubblica colleghi inesattamente le baby-pensioni ai due esecutivi maggiormente rappresentativi del decennio, guidati da Bettino Craxi tra il 1983 e il 1987, il leader socialista tentò, sotto impulso dei suoi ministri del lavoro, di abolire il meccanismo. Il suo tentativo di riforma - che immaginava l'innalzamento dell'età per la «pensione di vecchiaia» a 60 anni per le donne e 65 per gli uomini nonché la modifica dei requisiti per maturare la pensione «di anzianità» (un minimo contributivo di 35 anni per tutti indipendentemente dall'età del lavoratore) - aveva lo scopo di porre fine alle baby pensioni, conservando solo quelle già in essere. Ciò nonostante la riforma non passò il vaglio delle Camere, a causa dell'ostruzionismo di tutte le forze politiche e dello scioglimento anticipato della IX legislatura.

Il resto è storia.

Negli anni Novanta, dopo una prima riforma ad opera del Governo Amato, sarà la «riforma Dini», nel 1995, a dare un drastico taglio alle pensioni pubbliche, eliminando il beneficio in questione e introducendo, tra l'altro, il sistema contributivo.

Sebbene vada letta nel contesto generale e politico in cui si trovava il Paese negli anni Settanta, è appurato che l’introduzione del sistema delle baby pensioni abbia dato luogo al pensionamento di oltre 400.000 persone, di cui circa il 60% donne, con conseguente aggravio della spesa pubblica statale (che perdura ancora oggi) per centinaia di miliardi di euro.

Secondo autorevoli studi, considerata l’età di uscita dal lavoro dei baby pensionati e la speranza di vita media, tali soggetti (molti dei quali oggi ottantenni) hanno trascorso circa metà della loro esistenza in pensione. Ulteriori testimonianze dimostrano, inoltre, che tante di queste persone hanno comunque continuato a lavorare e non sempre regolarmente!

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