di Augusto Vasselli
La teologia cristiana considera il corpo umano anche come il tempio dello spirito santo; gli alchimisti e i loro successori come una pietra grezza da lavorare; gli antichi egizi, i caldei, i greci, i romani ed altri come un microcosmo.
Proprio il microcosmo, rappresentato dall’uomo, fu preso, dai tempi più remoti, come modello dagli gli antichi architetti e dai costruttori, che progettavano e costruivano le dimore sacre, quali i templi, le cattedrali ed ogni edificio dedicato alla divinità e alle connesse funzioni rituali. In tali opere viene così rappresentato l’uomo e suggerito il cammino che lo stesso deve percorrere per ritornare all’uno, al nous, all’idea archetipa.
Il risultato di questo lavoro, mirabilmente eseguito, che si prefissero sin dai primordi gli antichi maestri costruttori, è perfettamente comprensibile sia mediante l’osservazione, sia mediante lo studio dell’architettura e delle forme dei templi, delle antiche basiliche e, soprattutto, delle cattedrali gotiche, delle quali la tradizione ci ha trasmesso anche il nome del misterioso architetto Jacques, il cui nome rammenta Giacomo, collega dell’architetto Hiram di Tiro, come ci narra la leggenda relativa alla nascita del compagnonaggio, termine che ci ricorda un’antica confraternita di mestiere.
Jacques rappresenta S. Giacomo, l’alchimista, colui che è considerato il fondatore della Chiesa esoterica, dalla quale presero ispirazione i templari, conoscitori del percorso sacro e interiore, che veniva rappresentato anche nella l’edificazione di un tempio, come nella costruzione delle cattedrali, che a loro volta dovevano trasmettere il numinoso, offrendo a coloro che sapranno leggere il mutus liber, il libro scritto con le pietre, una vera e propria rappresentazione di un viaggio iniziatico che è stato anche definito “il percorso diacronico dell’iniziazione, dalla terra al cielo”.
Infatti, varcando la porta di questi luoghi sacri, certamente opere sapienziali, si entra idealmente nella tempio dello spirito, che consente la conoscenza, in linea con la tradizione trasmessa dalla gnosi, intesa come la conoscenza stessa.
Con la porta, quindi, luogo di passaggio per eccellenza, si sottolinea il il punto e il momento in cui si inizia ad accedere in nuce al messaggio volto a trasmettere tutta la potenzialità, che si può cogliere varcando la porta stessa, allorchè si percepisce un’altra dimensione, ovvero un altro stato di coscienza.
Nell’Apocalisse di S. Giovanni si descrive la Gerusalemme celeste con le sue dodici porte di perla; proprio perché la perla è, da sempre, associata alla luna, a Yesod, all’intuizione/immaginazione, alla sfera di Maya.
Anche la tradizione trasmessa per il tramite dell’Alchimia, ci parla delle dodici porte della Gerusalemme celeste, le quali rappresentano le fasi nelle ove si svolgono le “moltiplicazioni”, cui fanno altresì riferimento i dodici “fluidi” solari, corrispondenti ai mesi dell’anno.
Nella costruzione dei templi le porte erano costruite prevalentemente con il granito, in quanto essendo un materiale roccioso formatosi per azione del fuoco lo rappresentava anche simbolicamente.
Per questo la porta viene associata al simbolo del fuoco, quale trasmutatore necessario, ogni volta che ci si addentra nel proprio tempio interiore.
In Cina, ove gli edifici sacri erano solitamente di legno, si ovviava ponendo accanto alla porta d’ingresso un albero, il salice, emblema del fuoco e dell’immortalità.
Dalla porta, quindi, si accede per ricercare il sacro che, per noi occidentali, in parte figli dell’illuminismo e del nichilismo, non è in genere qualcosa di naturale, seppur insito in ogni essere, ma è qualcosa che si inizia ad attivare con un lavoro, che non è solo una mera elaborazione razionale.
L’essere umano ha sempre sentito la necessità di individuare e circoscrivere luoghi, atti a favorire la vicinanza dell’anima al numinoso. Il Tempio-fano nasce come luogo-spazio individuale e collettivo, non più pro-fano, sacralizzato da un divenire sapienziale (con l’iniziazione e la trasmissione di verità), attraverso la ritualità ed i simboli.
Lo spazio sacro, destinato al culto, era costituito anticamente da un luogo naturale: un bosco, una radura, un campo o un monte, testimoni di presenze divine. Non solo, doveva avere come tetto il cielo e come pavimento la terra su cui sorgeva l’ara sacrificale di forma cubica, ove anche i liquidi e gli odori, secreti dal rito sacrificale, congiungevano gli uomini agli Dei. Tutto questo avveniva sotto lo sguardo vigile degli ierofanti, che si connettevano al sacro per mezzo del linguaggio dei gesti. Infatti lo ierofante, il sacerdote, educato e preparato attraverso la purificazione degli abiti e di se stesso nel suo cammino spirituale, era l’unico che poteva comunicare gettando un ponte tra l’umano e il divino.
La scelta dei luoghi, la modalità rituale di consacrazione e di elevazione è sempre stata effettuata seguendo precise norme codificate per delimitarne l’area, dopo aver circoscritto virtualmente la volta celeste, nostro cielo occulto, e la terra, nostro recipiendario, congiungendo lo zenit al nadir al di là di ogni abisso.
Il Tempio, luogo sacro, sia esso una semplice chiesa o una spettacolare cattedrale, o una costruzione dedicata ad un altro culto, variamente denominato, può essere quindi definito il luogo, anche ricavato in un ambito naturale, che divenuto sacro, consente di ricercare il non conosciuto, l’invisibile e, per le sue potenzialità, il divino.
Il termine deriva dalla radice indoeuropea tem, il cui significato è dividere, delimitare. I greci chiamavano il tempio naturale temenoz, appunto delimitazione di un luogo adibito al culto, sul quale sorgeva sovente anche un manufatto (naos) in cui si riponevano i beni relativi al Tempio, come pure quelli del pubblico erario.
Il Templum per i Romani era la porzione di cielo o di terra che veniva esaminata per eseguire gli auruspici.
Il termine sacro deriva dall’indoeoropeo Sakros, la cui radice è Sak, con cui viene indicato qualcosa alla quale è stata conferita validità, quindi riconosciuta reale. Termine che, rispetto all’ordinario ed al profano, sancisce e certifica ‘il diverso, ovvero ciò che è connesso ad una divinità e al culto’. Sak, che significa anche ‘rito’, in lingua sacra, è kadosh, da kadesh santificare, che, per equivalenza numerica, corrisponde a ‘siede nelle tende’, oltre che ad ‘essere legati’ ed ‘essere svegli’ in particolare nel senso di ‘attenzione, vigilanza e perveranza’.
Individuati i riferimenti, ovvero le linee delle energie, il Tempio viene edificato secondo precisi rapporti geometrici e numerici, affinchè la costruzione sia armonizzata anche con le energie telluriche presenti nel luogo prescelto.
Ne deriva che la geometria sacra, trasmessa dalla Tradizione ed ampiamente utilizzata, va a beneficio del centro animico, del cuore, al di là del tempo e dello spazio.
Le dimensioni del tempio sono determinate seguendo le armonie cosmiche e terrestri, riferite rispettivamente al cielo astronomico e alle correnti telluriche. Il numero aureo può essere considerato l’unità di misura riferita al sacro, che riporta in esso il concetto di bellezza e proporzione divina. Non a caso il santo dei santi, l'altare, il tabernacolo, era collocato nel punto determinato geometricamente in relazione con il cubo. Nel Tempio di Salomone, nel solco della Tradizione ereditata in gran parte dall'Egitto, si praticava lo studio delle scienze, tra le quali la geometria ne era la principale nonchè principio di tutte le altre scienze, quali la musica, l'arte e la lavorazione dei metalli.
Il Tempio, sempre inteso come luogo sacro, rappresenta sia il macro che il microcosmo, favorendo in tal modo la percezione, allorchè si entra nel Tempio stesso, ove, purificati, favorisce l’acceso a una dimensione sacra, ovvero spirituale.
Il Tempio è pertanto, come ci ricorda Mircea Eliade, “imago mundi”, le cui origini e il sapere riferito alle origini sono identici, ove ogni elemento diviene rievocazione del verbo che ha creato il mondo.
Il Tempio e la sacralità ad esso correlata sono dunque, un unicum, lo strumento primario, che offre il percorso per ricercare il sacro o il divino, al di là dell’ampliamento della conoscenza dell’uomo, del sé, della natura e del perfezionamento psichico ed etico di ogni essere umano.
Il sacro consente di attivare, attraverso il piano sottile inferiore, l’energia vitale, che sul piano fisico attiva l’azione, l’istinto di conservazione e di riproduzione, come pure il piano intermedio emozionale, centro del cuore, dei desideri, delle emozioni, dei sentimenti e della devozione, per arrivare a alla nostra parte più elevata, allorchè capta l’energia superiore che governa il nostro essere.
Un viaggio pieno di ostacoli, da affrontare con la mente, con il cuore e con il silenzio, che viene svolto negli edifici sacri che da sempre hanno supportato e quindi aiutato a intuire e percepire, e talvolta a far avvicinare la saggezza e l’essenza spirituale, all’essere umano.
L’essere umano che ha saputo trovare un varco, una apertura, proprio come ci ricorda un breve ma noto brano tratto dal Papiro V di Leida, citato da Marcellin Berthelot, noto personaggio politico e scienziato francese, nel suo libro “Introduzione allo studio dell’alchimia degli antichi”:
“Le porte del Cielo sono aperte,
le porte della Terra sono aperte,
la via della Corrente è aperta;
il mio Spirito è stato inteso da voi tutti, Dei e Geni;
dallo spirito del Cielo, della Terra, del Mare, delle Correnti”.







