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GEOPOLITICA

BREZEZINSKI E LA GRANDE SCACCHIERA

BREZEZINSKI E LA GRANDE SCACCHIERA

Brzezinski e la grande scacchiera: il futuro che avevamo davanti agli occhi

Conoscere Zbigniew Brzezinski significa comprendere non solo la sua teoria, ma la traiettoria biografica che l’ha generata. Nato a Varsavia nel 1928, cresciuto in un’Europa lacerata dalle potenze totalitarie e figlio di un diplomatico polacco, Brzezinski porta negli Stati Uniti,  dove sarà naturalizzato cittadino americano l’esperienza diretta delle fratture geopolitiche del continente eurasiatico. Da studioso brillante a Harvard e alla Columbia University, diventa rapidamente uno dei più influenti strateghi del secondo dopoguerra.

Il suo nome entra però nella storia quando Jimmy Carter lo sceglie come National Security Advisor degli Stati Uniti (1977-1981): da quel ruolo, Brzezinski definisce molte delle direttrici che ancora oggi influenzano la postura americana nel mondo. Supervisione della risposta all’invasione sovietica dell’Afghanistan, consolidamento del rapporto con la Cina, rafforzamento dei corridoi energetici e politici verso il Medio Oriente: ogni decisione era già un preludio alla sua grande teoria del potere globale.

Ed è proprio dopo quell’esperienza che, nel 1997, pubblica The Grand Chessboard, il testo con cui consegna alla storia un paradigma strategico destinato a diventare un riferimento non dichiarato ma riconoscibile della politica estera statunitense per i decenni successivi.

Oggi, 2025, osserviamo con maggiore lucidità quanto quella visione fosse proiettata nel futuro: L’Eurasia sta divenendo il centro del mondo: il presagio che si avvera

Conoscere Brzezinski significa imparare a leggere la geopolitica come un sistema di forze in movimento continuo, in cui nessun evento è isolato e ogni scelta degli Stati Uniti è una mossa calibrata per preservare la propria posizione sull’“Isola-Mondo”.

A distanza di quasi trent’anni dalla pubblicazione della Grande Scacchiera, molte delle sue intuizioni sono divenute struttura portante dell’ordine internazionale contemporaneo: dalla competizione strategica con la Cina che è ormai il motore dell’intero sistema globale, alla Russia, che pur indebolita, continua a incarnare il rischio di una convergenza euroasiatica ostile agli Stati Uniti. L’India, si proiettata come potenza demografica, economica e tecnologica, divenendo il cardine della strategia statunitense in Asia: esattamente il tipo di alleato che Brzezinski riteneva inevitabile per contenere Pechino.

La sua “grande scacchiera” non è una metafora: è una descrizione ancora attuale delle frizioni, delle convergenze e dei vuoti di potere che attraversano oggi il continente decisivo del sistema internazionale.

Brzezinski intuì prima di molti che il potere globale si sarebbe giocato lungo corridoi terrestri e marittimi, le infrastrutture attraverso cui scorrono energia, commercio, tecnologia e sicurezza.

Oggi possiamo vedere quanto questa intuizione sia diventata realtà: Gli Stati Uniti cercano di bilanciare la Belt and Road cinese con nuove reti di connettività dall’Oceano Indiano al Mediterraneo.

L’Asia Centrale da lui indicata come “pivot geopolitico” è tornata un campo di competizione per rotte terrestri, cavi digitali e supply chain critiche.

Il Golfo Persico evolve da hub energetico a nodo tecnologico, inserendosi in una visione multilivello della proiezione americana in Eurasia. La geopolitica prevista non è scomparsa, anzi si è infrastrutturata nonostante che il timore centrale di Brzezinski fosse una coalizione continentale anti-americana

La sua preoccupazione principale non era la Cina o la Russia prese singolarmente, ma la possibilità che l’Eurasia desse vita, un giorno, a un blocco integrato e ostile agli Stati Uniti.

Un rischio che oggi rimane. L’asse sino-russo è una pragmatica convergenza contro l’Occidente. Potenze medie come Iran, Turchia e alcune repubbliche centroasiatiche oscillano tra cooperazione e autonomia strategica. L’Europa attraversa una fase di vulnerabilità che riduce la sua capacità autonoma di proiettare potere.

L’idea di una “Grande Eurasia” non è più una teoria accademica: è un’ipotesi strategica che condiziona le mosse americane.

Brzezinski aveva compreso che gli Stati Uniti avrebbero mantenuto la propria leadership solo restando attivamente coinvolti nello spazio euroasiatico. Per questo motivo Washington rafforza alleanze con India, Giappone, Australia e Filippine.

Ricalibra la sua presenza nel Golfo, dove la tecnologia, l’industria sono al centro di legami importantissimi. In questa settimana di metà novembre il forum d'investimento Stati Uniti-Arabia Saudita, che si terrà a Washington sarà il primo viaggio del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman alla Casa Bianca. Gli investimenti  nella competizione tecnologica come nuovo campo di dominio erano già stati previsti da Brzezinski. La scacchiera non è più solo territoriale: è tecnologica. Il cloud, i microchip, i dati e l’intelligenza artificiale sono diventati gli “scacchi invisibili” su cui si gioca la supremazia, tanto da essere visionari per aver letto  il presente con gli occhi del futuro

La lezione finale che Brzezinski ci ha lasciato è semplice e complessa allo stesso tempo: il futuro non si predice, si osserva attraverso le strutture profonde del potere.

Oggi, vediamo quanto la sua visione fosse in anticipo sui tempi: l’Eurasia come teatro decisivo; gli Stati Uniti come potenza che deve rimanere centralmente coinvolta; la geopolitica come sistema interconnesso di regioni e corridoi.

La sua grande scacchiera continua a vivere. Non come schema rigido, ma come lente che illumina i movimenti profondi della storia.

Brzezinski ci ha insegnato che la geopolitica è un atto di lucidità. E guardando l’Eurasia del 2025, la sua lucidità appare oggi più attuale che mai.

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