Tensioni Cina-Giappone: il nuovo fronte dell’Asia-Pacifico
Osservando attentamente le recenti mosse di Pechino e Tokyo, appare chiaro che ci troviamo oltre la semplice dialettica diplomatica.
L’ingresso delle unità della Guardia Costiera cinese nelle acque contese delle isole Senkaku (Diaoyu) non è un gesto isolato, ma un test strategico: una verifica dei limiti, un segnale sulle reali intenzioni cinesi, e un modo per misurare la reattività giapponese in un contesto più ampio, che include inevitabilmente lo scenario taiwanese.
Il Giappone, storicamente prudente e vincolato a una postura difensiva, sta progressivamente ridefinendo la propria identità strategica, soprattutto dopo le dichiarazioni della premier Sanae Takaichi, che ha lasciato intendere che un intervento cinese su Taiwan potrebbe legittimare una risposta di Tokyo.
È un cambio di paradigma: dalla neutralità vigilante alla deterrenza attiva. La Cina, nel frattempo, intensifica pattugliamenti, sorvoli militari e droni nello spazio aereo tra Taiwan e le isole giapponesi, in quella che appare come una guerra di logoramento più che di conquista immediata.
La strategia non punta allo scontro diretto, ma alla creazione di un nuovo status quo regionale, in cui la pressione diventa normalità. Gli scenari futuri restano fluidi: prosecuzione della tensione controllata, rafforzamento dei legami strategici Tokyo-Taipei (con ombra americana), maggiore presenza militare USA nel Mar Cinese Orientale.
Ma ciò che preoccupa di più non è la guerra pianificata, bensì l’incidente non voluto: una collisione navale, un drone abbattuto, un errore di calcolo. In definitiva, non si tratta solo di isole contese, ma di un progressivo ridisegno degli equilibri dell’Asia-Pacifico. La vera incognita non è se la tensione aumenterà, ma quando e dove si manifesterà la prima crepa irreversibile.
