testata3

GEOPOLITICA

IL RITORNO DELLA SIRIA NEI CALCOLI DI WASHINGTON

IL RITORNO DELLA SIRIA NEI CALCOLI DI WASHINGTON

Il ritorno della Siria nei calcoli di Washington: la diplomazia come nuova frontiera della deterrenza

L’annuncio del prossimo incontro tra Donald Trump e il presidente siriano Ahmad al-Sharaa, previsto per il 10 novembre alla Casa Bianca, segna un momento di discontinuità nel quadro geopolitico del Medio Oriente. Non si tratta solo del primo faccia a faccia tra un presidente statunitense e un omologo siriano dal 2000, ma di un gesto che rompe la logica dell’isolamento e inaugura una fase di “diplomazia tattica”, in cui il dialogo torna a essere un mezzo di potere, non un segno di debolezza.

La mossa arriva in una fase di fragile equilibrio post-tregua tra Israele e Gaza, mentre le tensioni regionali restano sospese su un filo sottile. In questo contesto, l’apertura verso Damasco appare come un tentativo di stabilizzare il fronte levantino attraverso il coinvolgimento, più che tramite la coercizione. Trump, da abile interprete della politica di forza, sembra ora applicare una logica di “deterrenza negoziata”: includere l’avversario nel tavolo per ridurne la capacità di disallineamento strategico.

Per la Siria, il vertice rappresenta una vetrina diplomatica senza precedenti dopo anni di isolamento politico e sanzioni. Al-Sharaa potrà presentarsi come interlocutore legittimo, pronto a dialogare con Washington in cambio di aperture graduali sul piano economico e umanitario. Ma dietro le quinte, il vero campo di battaglia rimane quello delle sfere di influenza: l’incontro sarà osservato con attenzione da Mosca, Teheran e Ankara, ciascuna consapevole che anche un minimo riavvicinamento tra Stati Uniti e Siria potrebbe ridisegnare le catene di comando geopolitico nella regione.

Per Washington, la posta in gioco è duplice. Da un lato, contenere la proiezione russa nel Mediterraneo orientale e la penetrazione iraniana nel Levante; dall’altro, riaffermare la propria capacità di mediazione dopo anni di ritirata tattica. Non si tratta ancora di una pace né di un nuovo accordo strategico, ma di una tregua diplomatica calibrata, un “dialogo controllato” che consente agli Stati Uniti di mantenere margini di pressione senza scivolare nel confronto aperto.

La partita, in fondo, è sunziana, ci ricorda il millenario trattato dell’Arte della Guerra, vincere, ma evitando la guerra, piegare le dinamiche regionali senza impiegare la forza. In questo senso, l’incontro tra Trump e al-Sharaa non è un episodio marginale, ma un nodo di transizione nella geostrategia americana: la dimostrazione che, in un’epoca di guerre asimmetriche e alleanze fluide, la diplomazia torna a essere l’arma più sofisticata del potere.

RIFERIMENTI

ngn logo2

Testata totalmente indipendente, di proprietà dell’associazione Libera Stampa e Libera Comunicazione

Sostienici per dare una libera informazione

Donazione con Bonifico Bancario

TAGS POPOLARI

Info Nessun tag trovato.
Image
Image
Image
Image
Image
Image

Ricerca