di Silvano Danesi
Le contraddizioni interne della Germania si riflettono pesantemente su un’Europa già in crisi di credibilità e di identità, compromettendo gli aiuti previsti agli Stati membri per la pandemia. Il nuovo blocco della Germania, oltre a rivelare le profonde spaccature esistenti nel Paese dell’ordo-liberalismo, mettono in luce la necessità di una profonda revisione dei meccanismi di funzionamento dell’Europa comunitaria che, così com’è, non funziona più e quando funziona, funziona male.
La Corte costituzionale tedesca ha bloccato ieri il Recovery Fund, chiedendo che il presidente della Repubblica non firmi la legge appena ratificata dai due rami del Parlamento.
Ora il capo dello Stato, Frank-Walter Steinmeier, dovrà attendere la pronuncia dei giudici dalla toga rossa, che potrebbe anche essere pronunciato fra alcune settimane, mettendo a repentaglio la strategia europea di contrasto agli effetti economici del virus cinese.
Ancora una volta, dunque, la Corte di Karlsruhe si mette di traverso agli aiuti europei, come ha fatto, nel recente passato, per delegittimare l’Omt, il programma lanciato e mai usato dalla Banca centrale europea allora guidata da Mario Draghi per riportare sotto controllo gli spread dei Paesi periferici della zona euro sotto attacco della speculazione durante la crisi del debito sovrano e poi contro il Quantitative Easing, il programma di acquisti di titoli, inclusi i titoli di Stato, lanciato sempre da Draghi per far ripartire l’economia.
Ora l’ostacolo tedesco arriva al fondo da 750 miliardi di euro varato dall’Ue per la ripresa dell’Europa devastata economicamente dal virus cinese.
Lo stop è arrivato proprio nel giorno in cui il Bundesrat – la camera dei Laender - ha dato, all’unanimità, il suo via libera al pacchetto di aiuti post-pandemia.
La decisione tedesca è devastante per l’Europa e per gli Stati membri, in quanto la Commissione Ue può dare il via all’ammissione dei crediti e dei pagamenti solo quando tutti e 27 i Paesi membri avranno a loro volta ratificato l’accordo sul Recovery fund.
La decisione della corte tedesca potrebbe anche arrivare fra alcuni mesi, bloccando, di fatto, tutto il meccanismo del Recovery.
Non è un caso che proprio giovedi al Consiglio europeo Mario Draghi abbia rilanciato gli eurobond, dei quali si parla dal Libro bianco di Delors del 1993 e che ora appaiono come un segnale per dire che l’Europa non c’è e che per esserci deve marciare nella direzione degli Stati Uniti.
Draghi ha messo in chiaro la necessità di discontinuità con il passato fallimentare di un’Europa che ha fatto prevalere altre logiche quando si è trattato di mettere in comune debiti e rischi.
Per Draghi gli eurobond sono non solo la soluzione economica per l’Europa post pandemia, ma anche l’occasione per portare l’Europa all’integrazione fiscale e gli Stati Uniti d’Europa.
La strada per avere un’Europa unita è quella di rifondarla a partire dalla politica, dotandola di una Costituzione che non ha. Serve, in buona sostanza, un principio democratico comune, cioè uno Stato federale. O si va in questa direzione o la crisi dell’Europa sarà esiziale.
Draghi ha tracciato una strada che non è quella di Monnet e nemmeno quella dell’ordo-liberalismo tedesco, emerso con il volto di un Quarto Reich dopo la caduta del muro di Berlino e la riunificazione delle due parti della Germania.
O si va nella direzione di uno Stato federale o non si va da nessuna parte e si torna, come è necessario che sia, agli interessi nazionali, perché l’Italia ha i suoi, che non sono di vassallaggio del teutonico ordine.