L’economia tedesca è in stallo. Dopo il -0,3% del 2023, il PIL del 2024 è cresciuto solo dello 0,1%, il peggiore risultato tra le grandi economie europee. La produzione manifatturiera è calata del 5% in due anni, l’export verso la Cina — un tempo principale motore di crescita — si è ridotto del 14%, e il costo dell’energia resta fino al 40% più alto della media UE. Le aziende tedesche che avevano prosperato su energia russa a basso costo e domanda globale in crescita si trovano ora schiacciate tra crisi energetica e concorrenza asiatica.
Brooks individua il cuore del problema nell’architettura dell’eurozona: una moneta unica senza unione fiscale. Secondo lui, la Germania non può più adattarsi agli shock esterni perché ha rinunciato al proprio strumento di aggiustamento — il tasso di cambio. Con il vecchio marco, spiega, Berlino avrebbe potuto rafforzare la valuta, calmierare l’inflazione e conservare potere d’acquisto. Con l’euro, invece, è intrappolata in una politica monetaria “ibrida” pensata per il Sud Europa.
Nei suoi interventi, Brooks parla apertamente di “euro disfunzionale”: una moneta troppo debole per la Germania e troppo forte per l’Italia e la Grecia. Il risultato è che la locomotiva tedesca, priva di benzina, ora frena tutto il convoglio europeo. Il paradosso è evidente: nel 2000 la Germania era il campione del surplus commerciale (oltre 7% del PIL), oggi quel margine si è quasi dimezzato, e la domanda interna è stagnante.
Brooks non si limita alla critica. Propone una riflessione radicale: “Se la Germania uscisse dall’euro, si libererebbe da una struttura che non le permette di investire, innovare e reagire agli shock globali.” In altre parole, la Germania potrebbe tornare a essere un modello competitivo globale, non un gigante intrappolato in un’unione monetaria che serve più alla stabilità politica che all’efficienza economica.
L’Europa, dice Brooks, è diventata una “matrigna”: difende la moneta ma non la crescita. Mentre la BCE di Christine Lagarde tiene tassi d’interesse al 4,5%, rallentando ulteriormente gli investimenti, il governo Merz fatica a finanziare la transizione verde bloccato da vincoli costituzionali sul debito.
Il messaggio di Brooks è un avvertimento geopolitico, non solo economico.
In un continente dove le crisi non si contano più — energia, debito, sicurezza — l’idea di un “divorzio consensuale” tra Berlino e l’eurozona non è più tabù. È l’ipotesi estrema di un economista che vede arrivare la tempesta prima che gli altri sentano il vento.








Quando a dirlo è Robin J. Brooks, ex capo economista dell’Institute of International Finance (IIF) ed ex strategist di Goldman Sachs, non è più una provocazione: è una diagnosi. Brooks, uno degli analisti più seguiti dalle banche centrali, da anni sostiene che la Germania è la vera vittima della moneta unica. Il suo ragionamento è lineare e tagliente.