Per comprendere questi drammatici risultati economici dell'ultimo trentennio potrebbe essere interessante rivolgersi ad un "soggetto terzo" come AI Mode, l'intelligenza artificiale di Google, per individuare la complessità delle ragioni che abbiano determinato questo terribile risultato.
All' inserimento del mio "cognome/ delocalizzazioni produttive / una delle testata con la quale collaboro" AI Mode propone questo risultato: "L'economista F. Pontelli, attraverso i suoi articoli per Nuovo Giornale Nazionale, la rivista Il Patto Sociale, Ticinolive e in altre pubblicazioni, analizza criticamente il fenomeno della delocalizzazione produttiva, inquadrandolo come un processo che ha avuto profonde conseguenze economiche e sociali, in particolare per l'Italia.
Punti chiave dell'analisi di Pontelli: Critica al mondo accademico degli anni '90. nPontelli sostiene che, a partire dagli anni '90, la classe accademica (in particolare quella della Bocconi) ha promosso la delocalizzazione come soluzione ideale per le imprese, prevedendo che i paesi occidentali avrebbero mantenuto le professioni ad alto valore aggiunto, mentre la produzione a basso costo si sarebbe spostata altrove. Questa teoria viene definita da Pontelli come "delocalizzazione intellettuale".
Trasferimento di conoscenze e tecnologia: Secondo l'economista, la delocalizzazione produttiva ha comportato un vero e proprio trasferimento del "vantaggio culturale e tecnologico" dei paesi occidentali a quelli con manodopera a basso costo, azzerando in parte il divario di know-how che era considerato un punto di forza.
Impatti sociali ed economici: la delocalizzazione viene identificata come una delle cause della "desertificazione industriale, economica e sociale" dell'Italia. Questo processo ha portato a una riduzione dei livelli produttivi e occupazionali, danneggiando il tessuto economico locale e sociale.
Costi di produzione come motivazione: Pontelli sottolinea che la motivazione principale della delocalizzazione è stata un'analisi comparata dei costi di produzione, in particolare quelli legati al lavoro, che hanno reso più attrattivi altri paesi.
Tradimento e miopia europea: Pontelli esprime una visione molto critica sulla classe dirigente europea, accusandola di aver "tradito" gli interessi del paese con una gestione economica priva di ragionevolezza e dominata da un'ideologia ambientalista estremista. Questa miopia avrebbe creato le condizioni per l'attuale declino industriale.
Effetti sulla filiera e sul sistema industriale: in altri articoli pubblicati in linea con le tesi di Pontelli, evidenziano come la delocalizzazione non sia solo un trasferimento di attività produttive, ma anche di aspetti fiscali e legali, con effetti significativi sull'intera filiera. "
A conferma di quanto proposto la medesima AI, ora, in relazione alle delocalizzazioni produttive, ci dice:
"Le delocalizzazioni produttive, il trasferimento delle attività economiche in paesi con costi di produzione inferiori, generano diversi effetti negativi, sia nei paesi di origine che in quelli di destinazione. Gli effetti per il paese di origine ricomprendono la perdita di posti di lavoro: le delocalizzazioni comportano la chiusura di stabilimenti o la riduzione della produzione in loco, con conseguente perdita di posti di lavoro, specialmente nel settore manifatturiero. La disoccupazione può generare problemi sociali e un peggioramento delle condizioni economiche locali.
Riduzione dei salari: La concorrenza con manodopera a basso costo può portare a una pressione al ribasso sui salari anche per i lavoratori che rimangono nel paese di origine, aumentando le disparità salariali.(*)
Impatto negativo sull'economia locale: Il trasferimento delle aziende riduce il gettito fiscale locale e nazionale,(**) con una diminuzione degli investimenti pubblici e del sostegno all'economia del territorio.
A ciò si aggiunge la perdita di un indotto fondamentale per l'economia di molte aree.
Perdita di competenze e conoscenze: la chiusura di stabilimenti produttivi provoca una dispersione del capitale umano e delle competenze tecniche accumulate nel tempo, che possono essere difficilmente recuperabili.
Indebolimento della catena del valore: la perdita di fornitori e di altre aziende collegate al processo produttivo indebolisce l'intera catena del valore interna, rendendo l'economia locale più fragile.
Maggiore fragilità economica: in più affidarsi a catene di approvvigionamento globali rende le economie dei paesi sviluppati più vulnerabili agli shock esterni, come pandemie o crisi internazionali, che possono interrompere i flussi di produzione.
Effetti sul paese di destinazione:
1.sfruttamento della manodopera: La delocalizzazione spesso sfrutta manodopera a basso costo in paesi con scarse tutele per i lavoratori;
2.impatti ambientali negativi: In molti casi, le aziende si trasferiscono in paesi con normative ambientali meno restrittive, portando a un aumento dell'inquinamento atmosferico, idrico e del suolo;
3.crescita non sostenibile: Sebbene possano creare posti di lavoro iniziali, le delocalizzazioni possono promuovere modelli di sviluppo insostenibili, basati sul basso costo della manodopera piuttosto che sull'innovazione e sulle competenze a lungo termine;
4. perdita del controllo sulla qualità: La frammentazione della catena di approvvigionamento e la distanza fisica possono rendere più difficile per l'azienda d'origine monitorare la qualità dei prodotti, con il rischio di un calo degli standard.
Effetti a livello globale ( forse più deleterie in assoluto):
1.pressione verso il basso su standard sociali e ambientali: La competizione globale per attrarre investimenti spinge spesso i paesi a ridurre gli standard sociali e ambientali, in una "corsa al ribasso" che danneggia i lavoratori e l'ambiente a livello globale;
2.perdita di sovranità economica: La globalizzazione spinta dalle delocalizzazioni può limitare l'autonomia e la sovranità nazionale nelle decisioni economiche.
Quindi i risultati riportati nel grafico non fanno che certificare la correttezza della mia contrarietà alle delocalizzazioni produttive, spinte semplicemente da una ricerca speculativa finalizzata al conseguimento del massimo ROI ( Return on Investment) adottando la modalità i finanziaria.
Questi dati ci dimostrano, purtroppo solo ora, come l'Unione Europea sia di fronte al più completo disastro economico continentale.
Va poi ricordato come la Ue abbia favorito la più nefasta sintesi tra una economia di rimessa (***) ed una ideologia ambientalista, (GreenDeal), non comprendendo il danno economico strategico del trasferimento di tutti i know-how industriali, frutto di decenni di investimenti economici finanziari ed umani.
In altre parole l 'istituzione Europea ha offerto la propria sponda istituzionale al mondo finanziario speculativo, favorendo il trasferimento della attività manifatturiere (old economy veniva definita con disprezzo) e conseguentemente l'annullamento della nostra cultura economica.
(*) Quanto tutto il mondo occidentale afferma ancora oggi che il problema dei salari bassi sia legato ad una bassa produttività del lavoro dimostrando quanto anche il mondo liberale sostenitore di questa tesi sia inquinato da un mediocre approccio ideologico.
(**) Quando invece si afferma come l'aumento della pressione fiscale in corso sia la conseguenza di un ipotetico aumento dei posti di lavoro , dimostrando così un'alfabetismo economico senza precedenti.
(***) Intesa come un'economia che trae la propria forza non da una domanda interna , ma dai trend economici globali perdendo conseguentemente ulteriore capacità di indirizzo.







