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CULTURA

BAGDAD, LA CITTA' DELLA SAPIENZA

BAGDAD, LA CITTA' DELLA SAPIENZA

Baghdad, la città della sapienza.

Nel tempo in cui l’Europa era ancora immersa nella penombra del Medioevo, a Baghdad si accendeva una luce che avrebbe rischiarato il mondo intero: la “Bayt al-Ḥikma”, la Casa della Sapienza. Fondata nel IX secolo dal califfo al-Maʾmūn, figlio di Hārūn al-Rashīd, fu molto più di una biblioteca: un’università, un laboratorio, un osservatorio astronomico, un ospedale del sapere e dell’anima. Vi si incontravano greci e persiani, siriaci, ebrei, indiani e cristiani nestoriani; uomini e donne di fede e di scienza che, sotto il medesimo tetto, cercavano la verità nel linguaggio universale della conoscenza.

La Bayt al-Ḥikma custodiva manoscritti provenienti da Alessandria, da Costantinopoli, da Taxila e da Atene: i testi di Aristotele, Ippocrate, Euclide e Tolomeo dialogavano con la matematica indiana e la filosofia neoplatonica. Da qui nacque l’idea che la sapienza non fosse un possesso, ma un ponte e Baghdad, crocevia tra Oriente e Occidente, divenne la sua capitale spirituale. Quando nel 1258 i Mongoli distrussero la città e gettarono i volumi della Casa della Sapienza nel Tigri, si racconta che il fiume divenne nero per l’inchiostro dei libri: come se la conoscenza, pur annegando, avesse voluto tingere di sé l’acqua e la memoria.

Tra quei corridoi, un matematico di nome Muḥammad ibn Mūsā al-Khwārizmī gettò le fondamenta dell’al-jabr, l’algebra, e con essa dell’algoritmo parola che deriva proprio dal suo nome latinizzato, Algoritmi. È ironico, e forse simbolico, che l’età digitale contemporanea, fondata su algoritmi che generano potenza e dominio, debba il proprio nome a un uomo di Baghdad, figlio di una civiltà che sognava di armonizzare le leggi del cielo con quelle della ragione. La statua che oggi lo ricorda in Uzbekistan non celebra soltanto uno scienziato, ma l’idea che la conoscenza possa essere architettura dell’universo.

Gli Abbassidi, dinastia raffinata e cosmopolita, avevano fatto della loro capitale un centro di meccanica meravigliosa e di arte simbolica. Nei loro palazzi, narrano le “Mille e una notte” che gli alberi erano d’oro e i frutti di gemme, mossi da congegni idraulici e ingegni nascosti che imitavano il battito della vita. Quelle invenzioni, metà poesia e metà tecnica, traducevano nella materia il desiderio di dominare la forma attraverso l’intelligenza. La ricchezza non era solo orpello, ma strumento di rivelazione: la bellezza come chiave del divino.

Ricordare oggi la Casa della Sapienza, nel tempo fragile delle nuove elezioni irachene, significa restituire a Baghdad la sua dimensione più profonda: non solo città di conflitti, ma luogo originario della mente e dello spirito, dove nacque l’idea che la conoscenza potesse unire invece che dividere. È un paradosso che proprio da quelle sponde del Tigri, un millennio fa, partì la corrente che avrebbe attraversato Toledo, Firenze e l’Europa intera, fino a plasmare la scienza moderna la stessa scienza che oggi alimenta il potere e, talvolta, la guerra.

L’antica Baghdad ricordava che il sapere non è mai neutro: può illuminare o distruggere, può curare o dominare. Ma nella sua essenza, come l’inchiostro disperso nel fiume, resta una promessa: che ogni civiltà, per quanto ferita, può rinascere se torna a credere nel potere salvifico della conoscenza.

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