PASOLINI E IL CINEMA
Parola, visione, mito di Gian Piero Brunetta Collana Frecce Carocci editore S.p.A. Roma
Peccatore innocente. Antimoralista. Intellettuale inquieto e scomodo.
La sua una religione eretica lo aiuterà a decifrare simboli, tormenti, contraddizioni del suo tempo.
Parola e visione, semiologia del tragico.
Ecco lo sforzo pasoliniano per salvaguardare il sacro dalla omologazione consumistica.
Uno sguardo nuovo, un cinema nuovo, irriverente e profondamente anticonformista.
La lingua filmica è per lui la cifra assimilata ed assimilabile di un epos letterario, Caronte necessario delle nostre pulsioni e delle nostre nevrosi.
Con una prosa accurata e solida, Gian Piero Brunetta ci presenta il suo Pasolini e il cinema.
Dal testo scritto, alla scarnificazione della partitura cinematografica.
Pier Paolo Pasolini scoprirà la dimensione e la profondità del mito e della tragedia proprio attraverso la telecamera con Edipo Re (1967) e Medea (1969).
Ancor prima, nel 1964 con Il Vangelo secondo Matteo, personalissima rilettura del sacro e del divino.
Si è detto della cultura figurativa. Per l'autore del saggio, gran parte dell'immaginario pasoliniano è stato attinto dalle lezioni del maestro Roberto Longhi, storico e critico d'arte tra i più grandi.
L'arte per il poeta, non è una sovradimensione, ma è la nostra stessa concezione di vita.
Arte, cinema, teatro, le discipline necessarie e vicendevoli per dare voce alla "disperata vitalità".
Con Decameron, I Racconti di Canterbury e Il Fiore delle Mille e una notte, arriva la trasposizione innocente della nudità, della sessualità esplicita.
L'epilogo artistico coincide con Salò o le 120 giornate di Sodoma, film uscito postumo, apoteosi del potere e della sua prevaricazione.







