Non è possibile comprendere appieno il senso e l’origine della notte di Halloween senza tener presente due importanti archetipi insiti nell’inconscio collettivo di tutti i popoli: il mito dell’età dell’oro ed il timore del ritorno dei morti. Due motivi questi che, in sostanza, si compendiano e si sintetizzano nella continua, pressante attenzione che l’essere umano ha verso il passato: passato che egli vive come in sogno (gli aborigeni australiani chiamano, infatti, il passato più remoto della loro stirpe “il tempo del sogno”).
Un tale contenuto archetipico genera in ognuno un sentimento inespresso carico di attesa, di timore, di perplessità, desiderio e nostalgia insieme, che si traduce nella pratica sociale in una ricorrenza, in un evento calendariale in cui in un certo qual modo quel sentimento si realizza nella forma di una kermesse. E tale pratica produce, proprio per il suo riferirsi ad altro tempo (quando si era felici) e ad altri uomini (quando erano viventi), una sospensione del ritmo normale dell’esistenza, un irrompere nella quotidianità di uno smarrimento e rimescolamento delle norme sociali ed esistenziali, in cui una specie di collettiva follia istituzionalizzata si intercala al tempo annuo della veglia, della ragione lucida e delle norme sociali consolidate.
Era questo il senso dell’antica notte celtica del Ritorno, che metteva in scena sia il reingresso dei defunti ai luoghi della loro vita trascorsa provenendo dall’Avalon (l’Occidente), l’oltretomba dei Celti, sia una pratica distribuzione di beni che simulava il ripristino di una età in cui non esistevano, contrapposte, povertà e ricchezza, schiavi e liberi. Una tale feria aveva luogo nella notte tra il 31 Ottobre e il giorno del 1° Novembre, tra la mezzanotte e l’alba di Samain il dio custode dei morti che permetteva loro quel breve ritorno al mondo dei vivi: giorno che per quei popoli era anche il capodanno ed insieme il giorno del Gheimredh, la stagione invernale posta sotto il patrocinio della dea Morrigan, il tempo in cui la terra stessa “moriva” nel freddo e nelle tenebre.
Una tale kermesse passò poi dalle popolazioni celtiche a quelle germaniche, che la denominarono Hellewindeh, l’Inverno degli Inferi (lo Hell, residenza dei comuni defunti non ascesi al Valhalla, l’Ade degli eroi guerrieri). Oltre che a scaricare la tensione e la perplessità prodotta dall’inconscia aspettativa dell’archetipo timore dei morti e del loro riproporsi come soggetti nella vita sociale, la ricorrenza di Samain serviva da supporto ad un rivolgimento ritualizzato delle situazioni economiche mediante il proporsi regolato di azioni intese a restaurare una parvenza di uguaglianza economica (e quindi sociale), quale esisteva nei tempi arcaici della proprietà.
Nella notte di Samain (per i Celti la giornata andava, come per noi, dalla mezzanotte alla mezzanotte) le persone povere, infatti, si travestivano da defunti di ritorno dallo Hell, il loro regno posto nell’estremo Occidente del mondo, là dove il sole tramonta. E si presentavano ai vivi indossando gli abiti alla rovescia poiché era opinione diffusa in tutto il mondo antico che nell’Al di là ogni cosa avvenisse in senso contrario rispetto al mondo dei vivi.
Questi “revenant”, inoltre, portavano un lungo bastone come i viaggiatori dell’epoca, in segno del lungo cammino compiuto nel loro tragitto dal mondo dei defunti a quello dei vivi (bastone che si accorcerà sino a diventare la spatola che Arlecchino porta infilata sotto la cintura, ma per ben altro uso).
E bussavano in gruppo alle porte dei ricchi, fingendo di essere le anime degli antenati, chiedendo “quello che era stato loro”, minacciando la malasorte ai pretesi discendenti se quanto richiesto venisse negato. Gli abbienti regalavano, allora, viveri, indumenti ed oggetti, evidentemente preparati in precedenza; ed è proprio da questa ritualità che discende nel moderno Halloween la questua dei bambini che bussano alle porte dei vicini in piccoli gruppi, richiedendo leccornie e minacciando scherzosamente guai in caso di rifiuto.
Nell’antica kermesse, peraltro, i visitatori ultraterreni se non sufficientemente soddisfatti di quanto veniva loro “restituito”, potevano impadronirsi, sia pure con moderazione, di quanto capitava loro a tiro. Si attuava così una ritualizzata, simbolica ed al contempo in certo modo effettiva ridistribuzione di ricchezza ed un parziale e momentaneo ritorno all’uguaglianza economica vigente negli antichi gruppi tribali.
In un tale contesto ludico e rituale, il ritorno dei morti e la soddisfazione per i regali loro elargiti attenuava il senso di colpa inconscio che i vivi concepivano in relazione al fatto di essersi impadroniti dei beni dei loro congiunti estinti, mentre questi nel loro mondo “non possedevano più nulla”.
Peraltro, l’irrompere nella quotidianità dei vivi, dei “defunti”, i quali ostentavano la loro condizione avendo il viso dipinto di bianco (il colore della morte), serviva da una parte a realizzare un fisico contatto dei viventi con i loro complessi di colpa e con i loro timori di punizione rispetto ai trapassati; e dall’altra, proprio attraverso questa visualizzazione spettacolare, permetteva il compiersi dell’elaborazione e del superamento della paura. Era lo stesso genere di razionalizzazione degli incubi connessi ai defunti che motiva la kermesse del Ritorno dei morti come la celebrano gli indigeni Papua delle tribù Asaro in Nuova Guinea, come ci mostra un famoso documentario di Folco Quilici del 1957; momento rituale di ricorrenza annuale in cui gli uomini dei villaggi si impiastrano il corpo di argilla bianca ed indossano maschere grottesche foggiate con lo stesso materiale, ed assumono per qualche ora l’identità di parenti ed amici scomparsi.
Nello halloween moderno, di stampo nordamericano, sono venuti invece a situarsi motivi di per se stessi angoscianti, sia reali che immaginari, quali la morte, l’inferno ed i suoi demoni, l’oltretomba ed i suoi spettri, la stregoneria e le sue fattucchiere, le favolose figure di mostri notturni quali i vampiri etc.
Al carico di angoscia che tali icone comportano per l’inconscio, si pone rimedio, con la stessa modalità della futura Festa dei Matti - ossia volgendoli in scherzo - facendone oggetto di divertimento, finto spavento ed occasione di kermesse. Il fatto poi che oltre alla morte fisica di innegabile eterna realtà, le paure dell’uomo moderno abbiano ancora contenuti fiabeschi come gli spettri, le streghe ed i vampiri, è dimostrato proprio dalla presenza di oggettistica scherzosamente macabra dello Allowin, quali scheletri di plastica, maschere spettrali, cappelli da streghe, canini di vampiro etc. Ponendoli bene in vista ma su di un orizzonte ludico, si volge in scherzo il contenuto angoscioso di tali icone, depotenziandolo e riducendolo a stimolo vitalistico.
Sembra che anche i romani antichi usassero questo metodo: Petronio “arbiter elegantiarum” nel Satyricon narra come il ricco Trimalcione durante un banchetto facesse portare nel triclinio uno scheletro d’argento e lo facesse porre assiso a mensa, commentando:” un giorno saremo tutti come lui. Perciò amici, godiamoci a vita finché dura. Gaudeamus igitur!”.
L’uomo moderno, festeggiando il ritorno dei morti, dimostra di non aver superato la persistenza di immagini archetipe di contenuto fobico, alla cui origine risiede il timore della morte e delle disgrazie esistenziali, personificato nelle figure terrifiche di demoni, spettri streghe e mostri. L’uomo del duemila che guida aerei supersonici, utilizza computer e conosce la struttura del genoma della propria specie, nel suo ego profondo continua a temere i predatori umbratili della malasorte; e lo dimostra difendendosi da essi con il riso liberatorio su tali evocati terrori, ridotti alla caricatura di essi medesimi.







