Alceste De Ambris, il socialista e sindacalista rivoluzionario e mazziniano che mise a nudo il regime fascista
Esponente del mazzinianesimo novecentesco, del socialismo e del sindacalismo rivoluzionario, già deputato socialista, Alceste De Ambris (1874 - 1934), celebre per aver dato vita, assieme al Vate Gabriele d'Annunzio, alla libertaria Carta del Carnaro dello Stato libero di Fiume, fu estraneo tanto alla tradizione liberale, che a quella marxista.
Per questo vergognosamente e volutamente dimenticato.
Esponente del primo, del più puro, del più autentico e intransigente antifascismo, De Ambris, nel 1930, darà alle stampe il pamphlet “Mussolini. La leggenda e l'uomo”, ripubblicato recentemente dalla Mario Pascale Editore.
Un saggio unico, per la minuziosa descrizione, quasi in stile giornalistico, dei voltafaccia, dei bluff, dell'immenso opportunismo e dell'immensa mediocrità di Benito Mussolini e della sua per nulla originale e assai confusa ideologia, che pretendeva di prendere a prestito idee socialiste, d'annunziane, mazziniane, pur svuotandole di significato e ponendo il tutto al servizio del grande capitale industriale e borghese.
De Ambris, Mussolini, lo conobbe bene, essendosi entrambi formati sul piano delle idee nell'ambito del socialismo e del sindacalismo rivoluzionario.
Con differenze fondamentali, ad ogni modo.
De Ambris, intransigente, lontano da ogni credenza nel liberalismo, nel parlamentarismo e nel riformismo borghese, ma anche nel bolscevismo burocratico e autoritario, sarà un promotore dell'elevazione morale e materiale dei lavoratori e delle classi meno abbienti.
Le quali avrebbero dovuto auto-governarsi e auto-gestirsi, attraverso un sistema democratico, dal basso e anti-autoritario, sulla base degli insegnamenti mazziniani e socialisti originari.
Il Mussolini, invece, come ce lo descrive De Ambris, prendendo anche a prestito numerose testimonianze di chi lo conobbe da vicino, come la socialista Angelica Balabanoff, fu, fin da giovanissimo, un opportunista, un perdigiorno privo di coraggio, idee e nerbo.
E, infatti, nel suo “Mussolini. La leggenda e l'uomo”, ce lo descrive come un demagogo parolaio, che sfrutta i suoi stessi compagni di partito (facendosi compiangere e dicendo di avere il padre alcolizzato), che usa il socialismo più per farsi un nome che per vera fede politica. Che parte neutralista e prosegue ultra-interventista, nella Prima Guerra Mondiale. Ma che si guarderà sempre bene dal partecipare in prima persona, sia alle battaglie (rimarrà 38 giorni in trincea, senza mai combattere); sia durante gli scioperi operai; sia in quella Marcia su Roma, alla quale Mussolini, fisicamente, non parteciperà affatto.
Un Mussolini che utilizzerà qualsiasi stratagemma per farsi finanziare, dal governo francese e dalla grande industria italiana, “Il Popolo d'Italia”, il suo giornale personale e che si guarderà bene dall'appoggiare e sostenere l'impresa d'annunziana di Fiume, per non inimicarsi il giolittismo.
Anzi, Mussolini, il suo giornale e la sua confusa ideologia, il fascismo, diverranno utili alla classe dirigente liberal-giolittiana dell'epoca per combattere il nascente bolscevismo e ogni anelito libertario, fosse d'annunziano, anarchico, socialista o repubblicano mazziniano.
Mussolini divenne, una volta traditi gli ideali socialisti, dunque, l'uomo di riferimento della borghesia e dello Stato liberale ed ebbe quindi gioco facile, attraverso le sue violente squadracce, nel farsi strada verso l'unica cosa che gli interessava davvero: ottenere il potere.
Un potere che facilmente gli sarà ceduto, dalla decadente classe politica liberale di allora e da un Re opportunista e pavido, come sempre fu Casa Savoia e come ricorda il De Ambris.
Fu dunque facile, per i fascisti, insinuarsi nello Stato, nella sua burocrazia, nella sua polizia e nelle leve del comando, distruggendo tutto quanto il Risorgimento italiano aveva costruito.
Purtuttavia, come ci ricorda Alceste De Ambris, Mussolini, dopo essersi appropriato della retorica socialista, svuotandola completamente di significato e contenuto, si appropriò anche di quella risorgimentale, giungendo persino a far aderire al fascismo Ricciotti e Ezio Garibaldi, insozzando, come sottolinea il De Ambris, persino la gloriosa tradizione garibaldina.
Alceste De Ambris, infatti, conclude il suo saggio, sottolineando come non è con il tradimento di certi garibaldini, che termina l'ideale garibaldino di emancipazione sociale e civile ed in proposito scrive: “Quella camicia rossa che i nipoti indegni hanno gettato nel fango fetido, la raccoglierà il popolo nostro, lavandola e ritingendola col suo sangue più generoso, per innalzarla ancora come una bandiera di riscossa”.
Ed aggiunge: “E se il giorno sperato verrà, vendicheremo il sacrilegio affogando l'Insozzatore nello sterco. Poiché la ghigliottina, il plotone d'esecuzione, la forca stessa dei ladri, sarebbero troppo insigne onore per lui”.
“Mussolini. La leggenda e l'uomo” è un documento prezioso, per troppo tempo rimasto dimenticato, che non solo getta luce su Mussolini e il fascismo, che non fu mai un'ideologia, ma un coacervo di mediocrità, incoerenza, opportunismo, menzogna, pavidità (aspetti che possiamo osservare bene anche nei suoi eredi storici di oggi), ma riporta in luce Alceste De Ambris, politico e intellettuale socialista, sindacalista rivoluzionario, mazziniano e garibaldino.
La cui tradizione rimane, ancora oggi, per quanto non riconoscibile in nessuno dei partiti italiani della Seconda Repubblica (nella Prima Repubblica essa fu presente unicamente nella corrente di sinistra del Partito Repubblicano Italiano, fino al 1957 e in parte in alcuni esponenti del PSI e del PSDI), un faro di luce per coloro i quali avranno il coraggio di approfondirla e portarla avanti.







