La Massoneria non è una colonia.
Nel 1717 millenni di Tradizione e secoli di operatività creativa nel Medio Evo europeo sono stati costretti nella camicia di forza della logica coloniale dei landmarks della corona inglese, redatti da un prete protestante.
Il riconoscimento della regolarità da parte di Londra nulla ha a che fare con la reale regolarità, che è conformità alle regole della Tradizione, essendo un atto coloniale, politico, assolutamente estraneo alla logica propria di un’eteria iniziatica.
Il dichiararsi fonte della certificazione della regolarità è un atto imperiale assolutamente non inerente ad un cammino iniziatico.
Con Jan Assmann[i] è il caso di introdurre la distinzione tra séder (ordine, ripetizione) e haggadásh (raccolta di interpretazioni, attualizzazione ermeneutica).
“Il principio base di ogni struttura connettiva – scrive Assmann – è la ripetizione. Questa garantisce che le linee d’azione non si smarriscano nell’infinito ma che vengano ordinate secondo schemi riconoscibili e si possano identificare come elementi di una «cultura» comune”. [ii]
“Seguendo lo stesso «ordine», ogni celebrazione si ripete all’infinito come un pattern ornamentale: chiameremo questo principio «coerenza rituale»”. [iii]
La ripetizione rituale ricorda e attualizza la Tradizione, in quanto la Tradizione viene interpretata sulla base di una raccolta di interpretazioni (studio della storia della Massoneria in tutti i suoi aspetti) e con il metodo dell’ermeneutica, che è una continua interpretazione non soltanto dei testi, ma anche dell'intera esistenza umana.
Questo intreccio tra séder e haggadásh ha ben poco a che fare con la regolarità intesa come allineamento ai landmarks di Anderson ed è, piuttosto, la continua ricerca di una corrispondenza della coerenza rituale con i suoi fondamenti, che risultano dalla raccolta di interpretazioni, dai documenti, dalla storia e da quanto emerge dallo studio delle antiche eterie iniziatiche.
La Massoneria italiana soffre di un complesso di inferiorità che la condanna ad una perenne ricerca di legittimazioni tramite riconoscimenti, mentre dovrebbe incardinare il suo fondamento iniziatico nella Tradizione e nella sua abilità ermeneutica e creativa, proponendosi di radicarsi per accettare e affrontare le sfide che riguardano l’evoluzione dell’essere (sostantivo) umano (predicato), dell’umanità (ossia il procedere degli esseri divenuti umani) e della patria, luogo concettuale delle radici e delle identità.
La storia della Massoneria italiana è costellata di dipendenze, a cominciare da quelle protestanti (dal calabrese Saverio Fera al ravennate Giordano Gamberini) per finire a quella risorgimentale, in gran parte frutto di una narrazione mitologica.
Per quanto riguarda il Risorgimento, la Massoneria in quanto tale non ha dato un contributo significativo, mentre un grande impegno è sicuramente riscontrabile nell’opera di molti massoni e, nello specifico, di molti liberi muratori lombardi e dei territori che erano sotto il dominio austriaco.
Nella Loggia Amalia Augusta di Brescia, ad esempio, convivevano massoni che aderivano alle idee risorgimentali e il massone Salvotti, giudice dell’Imperial Regio Governo, che li mandava allo Spielberg.
“Occasionalmente – scrive in proposito il professor Franco Della Peruta - viene riproposto il dibattito sulla presenza o meno della Massoneria nella Penisola come istituzione fra il 1855 e il 1860 e sulla sua partecipazione al processo risorgimentale. Nessun documento soddisfa in senso positivo ai due quesiti”.[iv]
Decisivo fu, invece, il contributo dei massoni alla costruzione dell’unità d’Italia nella fase post risorgimentale.
Se si fa riferimento alla storia vera, non a quella encomiastica, autocelebrativa, quella della Massoneria italiana è costellata di inizi abortiti, rivendicazioni di patenti, accorpamenti e scissioni, con una sola costante: la continua ricerca di legittimazione da massonerie straniere.
Come ho avuto modo di scrivere nel mio: “La Massoneria lombarda” (Ilmiolibro.it), alle “soglie dell’unità del Paese, la Massoneria si presenta suddivisa in più linee iniziatiche. In Italia erano all’epoca attive, per quanto si conosca, la Loggia Trionfo Ligure Genova (1856), con riferimento la Francia e la Loggia Cuori Riuniti (1859), anch’essa con riferimento la Francia. L’8 ottobre1859 viene fondata la loggia Ausonia, all’Oriente di Torino, di Rito francese, di orientamento moderato i cui membri sono personaggi legati a Cavour. Nel 1861 si tiene l’Assemblea Generale del Grande Oriente Torinese (Gran maestro Costantino Nigra, uomo vicino alla Francia). Fondato il 20 dicembre 1859 come provvisorio, il Grande Oriente diviene definitivo il 9 ottobre 1861 ed è riconosciuto dal Grande Oriente di Francia.
Il 10 agosto 1861 è costituito il Grande Oriente di Sicilia.
Nella seconda metà del 1860 è attivo a Palermo un Grande Oriente Italiano costituito, con una patente della Louisiana, il 28 marzo 1861, da tre capitani di mare e composto da due logge: “Nazareth” e “I Rigeneratori al 12 gennaio 1848 e Garibaldini al 1860”. Il Grande Oriente Italiano ingloba il Grande Oriente di Sicilia. Poi i tre capitani per dissensi escono e portano con sé la patente, ma i 33 presenti in Sicilia proseguono l’azione del Supremo Consiglio Grande Oriente Italiano, che partecipa alla prima assemblea del Grande Oriente di Torino.
Il 7 febbraio 1861 viene fondata a Torino la Dante Alighieri (con Giuseppe Zanardelli, Filippo De Bonis, Agostino Depretis, Lodovico Frapolli, Aurelio Saffi, Saverio Friscia, Mauro Macchi, Mattia Montecchi, Antonio Mordini, e gli esuli ungheresi Gyorgy Klapka e Ferenc Pulzky). L’orientamento politico è quello del liberalismo avanzato.
La Dante Alighieri esce dal Grande Oriente di Torino e si collega al Supremo Consiglio Grande Oriente Italiano di Palermo, poi si stacca e nel 1862 si costituisce in Loggia Madre con la possibilità di ammettere o fondare logge ed assumere funzione provvisoria di Grande Oriente al Rito Scozzese per le provincie subalpine. Vediamo i passaggi nel dettaglio. Il 17 marzo 1862 a Torino arriva Garibaldi, nel frattempo diventato 33 e nominato presidente del Supremo Consiglio Grande Oriente d’Italia sedente in Palermo con il titolo di Potentissimo Sovrano Gran Commendatore. Il 18 marzo la Dante Alighieri passa all’ordine del Supremo Consiglio di Palermo. Il 29 marzo la Sezione Concistoriale della Valle del Po decreta “essere il dogma e il Rito Scozzese, professati dalla Madre Loggia Dante Alighieri e sue filiali, incompatibile con le istruzioni, norme e prescrizioni date dal Grande Oriente della Massoneria che si dice di Rito Italiano, residente all’Oriente di Torino”.[v] Il 30 maggio il Grande Oriente decreta la demolizione della Dante Alighieri, ma questa il 16 di ottobre del 1862 rientra nel Grande Oriente.
Va ricordato che il Rito Scozzese aveva avuto un suo Supremo Consiglio nel 1805 a Milano, fondato da dignitari di influenza bonapartista.
Il 29 giugno 1863 Ludovico Frapolli, venerabile della Madre Loggia Capitolare Dante Alighieri, in una circolare traccia un panorama preciso della situazione massonica italiana: “Tre categorie dunque vi sono di massoni in Italia, la prima, e più numerosa, è quella che abbraccia la vasta classe dei massoni che non sono all’obbedienza né dell’uno, né dell’altro Grande Oriente, ma che si mantengono le loro antiche filiazioni, o che si sono aggruppati intorno al Gran Consiglio di Napoli, che funziona da Grande Oriente Napoletano; la seconda di quelli dipendenti dal Grande Oriente di Torino; la terza di quelli dipendenti dal Grande Oriente di Palermo”.[vi] A Palermo e a Napoli si lavora al Rito Scozzese”.
Nell’agosto del 1863 si tiene un’assemblea del Grande Oriente a Firenze e il 22 e 23 maggio del 1864 in un’altra assemblea a Firenze viene proclamata la libertà dei riti. Si fronteggiano officine scozzesi e simboliche. Nella quarta seduta il Grande Oriente è costituito pariteticamente dai rappresentanti del Rito Simbolico e di quello Scozzese.
Il Grande Oriente di Torino si avvia a diventare Grande Oriente d’Italia, al quale giungerà il riconoscimento inglese solo nel 1875.
Un ulteriore quadro della situazione italiana si trova in una lettera di Garibaldi, inviata a Palermo (19 giugno 1864), nella quale il “primo massone d’Italia” informa che nell’assemblea di Firenze si è deciso che: ”1° Tutta la massoneria italiana viene divisa in quattro Centri, cioè Torino, Firenze, Napoli, Palermo, l’uno indipendente dall’altro. 2° In ogni Centro vi sarà un Supremo Consiglio di dieci fratelli massoni, i quali avranno direttamente relazione con il Gran Maestro e con il suo Gran Segretario residente in Torino. 3° Per ogni Supremo Consiglio il Gran Maestro nominerà un Presidente che lo rappresenterà. 4° D’ogni Supremo Consiglio dei quattro Centri si eleggeranno due delegati da risiedere all’Oriente di Torino per far parte del Gran Segretariato. 5° I quattro Supremi Consigli formeranno il Gran Supremo Consiglio della Massoneria italiana”. [vii]
La Massoneria italiana, come si può ben capire anche da queste brevi e schematiche note, è lo specchio dell’Italia, ossia un insieme di varie realtà diverse tra di loro che, per quanto ricomposte, faticheranno ad essere davvero un unico corpo. I contrasti proseguiranno negli anni ed è significativo che nel 1866, avendo Garibaldi preso parte per il Grande Oriente d’Italia, il 31 luglio il Gran segretario di Palermo abbia offerto a Carlo Cattaneo la Gran Maestranza.
La Massoneria italiana divenne presto instrumentum regni del neonato Regno d’Italia.
La politicizzazione della Massoneria italiana divenne un fatto costante ed evidente con l’avvento della Sinistra alla direzione dei governi del Regno, fino ad essere eclatante durante la gran maestranza di Adriano Lemmi e i governi del garibaldino Francesco Crispi. Lo strettissimo rapporto tra il Gran Maestro e il Fratello Crispi portò all’interno delle logge la discussione e la divisione e il Grande Oriente non fu in grado, per tutto il periodo, di mediare le due tendenze di fondo che si agitavano sotto la volta dei templi: quella democratica e socialista, interprete della piccola e media borghesia e dei ceti popolari e quella moderata e conservatrice.
Massoni furono Agostino Depretis e Francesco Crispi, ma anche l’anarchico Bakunin, Andrea Costa, prima anarchico e poi tra i fondatori del socialismo in Italia, il lodigiano Enrico Bignami, socialista e punto di riferimento per anni di Marx e di Engels in Italia, il filosofo Antonio Labriola, che fece conoscere agli italiani le teorie marxiste, con il suo famoso saggio del 1895 su: “La concezione materialistica della storia”.
Massone fu l’operaista Mauro Macchi e massone fu Leonida Bissolati. Massone fu Osvaldo Gnocchi Viani, fondatore nel 1891, a Milano, della prima Camera del lavoro, sull’esempio delle francesi Bourse de Travail, studiate da Viani in un soggiorno in Francia, in occasione dei congressi operai del 1889.
Si può quindi affermare, senza azzardo, che l’élite intellettuale che diede vita al movimento operaio e lo diresse nelle sue prime battaglie fu formata da massoni o da uomini che alle idee massoniche si sentivano molto vicini.
I massoni furono promotori di molte società di mutuo soccorso, di cooperative, di scuole popolari e di giornali che si facevano interpreti delle esigenze e delle posizioni, politiche e ideali, di emancipazione delle classi meno abbienti e, in particolare, del proletariato delle città e delle campagne, nelle quali, con la concentrazione delle terre, si veniva formando un forte bracciantato.
Non va dimenticato l’apporto della Massoneria al decollo industriale del Paese.
La Massoneria fu protagonista finanziaria, con la nascita della Comit e del Credito Italiano, di un cambio di alleanze che nell’ultima parte del secolo vide l’Italia schierarsi con la Germania e con l’Austria a scapito dello strettissimo rapporto, quasi di vassallaggio, che aveva avuto fino ad allora con la Francia.
Massone era infatti Otto Joel, tedesco, ebreo e tessitore del rapporto, in gran parte costruito tramite i garanti d’amicizia con le Obbedienze tedesche ed austriache, che convogliò in Italia i capitali tedeschi e svizzeri che diedero vita al consorzio dal quale, nel 1894, nacque la Banca Commerciale Italiana, fondata a Milano il 10 di ottobre, con sede nel palazzo Brambilla e con primo presidente Alfonso Severino Vimercati, uomo dell’entourage crispino che si era fatto le ossa nel campo bancario dirigendo la Banca Popolare di Milano.
Non è questa la sede per proseguire, passaggio per passaggio, nella storia della Massoneria italiana, ma di interesse, per la riflessione odierna, è la questione dei riti.
Le logge si dividevano secondo i riti di appartenenza. Esistevano quindi logge di Rito scozzese antico accettato, logge di Rito simbolico, logge di Rito memphitico o misraimita, ecc.
Il Rito scozzese, lo ricordiamo, era gran parte dell’origine della Massoneria italiana, fin dalla fondazione, nel 1805, del primo Supremo Consiglio e del Grande Oriente. Alla ripresa della vita massonica, nella seconda metà degli anni Cinquanta dell’Ottocento, nella Penisola troviamo attivi un Supremo Consiglio del Rito Scozzese legato alla Loggia Sebezia di Napoli, diretto dall’arciprete calabrese Domenico Angherà e un Supremo Consiglio, sempre del Rito Scozzese, sedente in Torino.
Inoltre il 28 marzo del 1861 il Supremo Consiglio della Louisiana aveva fornito patenti di Sovrano Grande Ispettore del Rito a Giuseppe Tortorici, che si era pertanto sentito autorizzato a fondare un Supremo Consiglio del Rito sedente in Palermo.
La situazione, dunque, era parecchio confusa e ad aggiungere confusione era venuto, nel 1875, il riconoscimento del Convento di Losanna al Supremo Consiglio sedente in Torino, con la conseguente delegittimazione di quello che nel frattempo si era costituito nel Grande Oriente guidato dal Gran maestro Giuseppe Mazzoni.
Sarà necessario arrivare alla Costituente massonica del 24 aprile del 1879 per vedere finalmente riuniti sotto lo stesso tetto del Grande Oriente il Rito Simbolico Italiano, che aveva nel frattempo spostato nella capitale la sua Serenissima Gran Loggia, il Rito di Memphis, accolto il 4 gennaio nella comunione dell’Ordine e il Rito Scozzese Antico Accettato, finalmente unito da accordi tra Roma e Torino che saranno suggellati nel 1888 dalla delega conferita al Gran Maestro Adriano Lemmi di reggere la carica di Sovrano Gran Commendatore per nove anni.
Vediamo, nelle sue tappe essenziali, il cammino compiuto dal Rito Scozzese Antico e Accettato, dalla ripresa dell’attività, sino alla sua riunificazione.
Nel 1861 a Palermo si forma un “Supremo Consiglio dei 33” dove viene nominato Sovrano Gran Commendatore Giuseppe Garibaldi, il quale però rifiuta, dovendosi occupare di problemi militari e politici. Sempre nel 1861 anche a Torino si forma un “Supremo Consiglio dei 33”, con alla testa i Fratelli Federico Piret, Ferdinando Ghersi e Gabriele Morin e a Napoli si costituisce un “Supremo Consiglio dei 33” con Sovrano Gran Commendatore Domenico Angherà.
Un primo tentativo di riunificare i Supremi Consigli di Torino e di Napoli avviene alla Costituente massonica di Firenze, convocata per il 6 agosto del 1863, ma il Supremo Consiglio di Torino, ritenendosi più importante, in quanto sedente nella capitale del Piemonte, da cui era partita l’azione politica di riunificazione dell’Italia, rifiuta ogni fusione.
Nel 1865, parecchi massoni torinesi di alto grado, che si erano trasferiti per lavoro a Firenze, propongono al Supremo Consiglio di Torino di trasferirsi nella nuova capitale, ma questi si oppone. Si forma così un nuovo Supremo Consiglio con sede a Firenze, del quale sono membri alcuni massoni insigni, come Giuseppe Garibaldi, Lodovico Frapolli, Giorgio Tamaio.
Il 5 ottobre 1871 molti massoni, ritenendo necessario ricostruire l’unità della Massoneria italiana, anche nella sua parte rituale, formano una commissione di studio, che si riunisce a Roma (divenuta nel frattempo capitale d’Italia). La commissione decide di convocare una Costituente massonica formata da delegati di tutte le Logge e di tutti i Supremi consigli. Il 28 aprile del 1872 questi si riuniscono a Roma in assemblea sotto la presidenza del Fratello Correa e riconfermano il principio dell’unità massonica lasciando ad un congresso successivo il compito di organizzarla. Congresso che si riunisce il 23 maggio 1874 e afferma il principio di riunificazione, stabilendo la necessità di un’unica sede per la Massoneria italiana.
L’unificazione effettiva dei riti avviene solo allorquando il 27 gennaio 1887 al Supremo Consiglio d’Italia, con sede in Roma, viene eletto Sovrano Gran Commendatore Adriano Lemmi, che comunica ai Supremi Consigli stranieri la sua elezione. Le “Resumé Historique du S[uprême] C[onseil] pour la France” di J. M. Raymond, Paris, 1908, in proposito scrive: “Anno 1887 - Il Supremo Consiglio di Francia è informato che i Supremi Consigli di Roma, Napoli, Torino si sono riuniti per formare un’unica potenza sotto il titolo di “Supremo Consiglio per l’Italia e le Colonie e sotto la presidenza dell’Elettissimo e Potentissimo Fratello Adriano Lemmi, nominato Sovrano Gran Commendatore”.
Il 7 dicembre del 1895, infine, Adriano Lemmi rinuncia alla carica di Gran Maestro, conservando solo quella di Sovrano Gran Commendatore e la gran maestranza del Grande Oriente passa ad Achille Ballori, già Gran Maestro aggiunto, al quale succederà, il 31 maggio 1896 Ernesto Nathan.
In questo contesto si inserisce il contrasto tra alcune Officine del Rito Simbolico Italiano e il Grande Oriente. Contrasto che si sviluppò durante la gran maestranza di Lodovico Frapolli e che ne assorbì una buona parte delle energie.
Alla base del contrasto ci fu la questione della libertà dei riti, che aveva trovato tra i suoi maggiori sostenitori il Gran Maestro Giuseppe Garibaldi, il quale l’aveva posta con forza all’assemblea costituente massonica di Firenze nel 1864.
Nel 1865 in Milano il Maestro venerabile della Loggia “Insubria” Ausonio Franchi, pseudonimo del sacerdote Cristoforo Bonovino, in antitesi con il Grande Oriente d’Italia, creò un Gran Consiglio della Massoneria Italiana di Rito Simbolico i cui Statuti, detti del Rito Simbolico Milanese, furono proposti il 5 luglio 1864.
Ausonio Franchi, attivissimo (pubblicò anche un periodico massonico), giudicò complicati, astrusi e non tradizionali i trentatré gradi del Rito Scozzese Antico Accettato e sostenne l’opportunità e la legittimità dei soli tre gradi simbolici, in parziale contrasto con il Frapolli, poi Gran Maestro del Grande Oriente, sostenitore della piena libertà dei Riti.
Il Franchi sosteneva peraltro la necessità di ridurre al minimo le tasse in modo che non fossero gravose e quindi non fossero di ostacolo ad alcuno per la entrata in Massoneria, poveri e braccianti comunque esclusi.
Il 15 luglio del 1867 si riunirono a Milano i rappresentanti delle sette Logge di Rito Simbolico, che riconobbero l’autorità di Ausonio Franchi 33°, e mentre questi annunciava il suo ritiro, pur restando Presidente Onorario Perpetuo, decisero di procedere autonomamente senza il riconoscimento di alcun Oriente straniero.
Fermiamoci qui.
La Massoneria alla vigilia della presa di Roma e della fine della gran maestranza di Frapolli era ridotta ai minimi termini.
Rimasto solo al comando Lodovico Frapolli il 7 settembre 1870 aveva piantato in asso i Fratelli per precedere Garibaldi nella difesa della Comune e il Gran Maestro Aggiunto Giuseppe Mazzoni era privo di mezzi persino per trasportare la sede nella capitale. Il Grande Oriente si insediò quindi a Roma nel novembre 1871 in poche stanze, in una casetta di via del Governo Vecchio.
Sarà Adriano Lemmi, nominato nel 1879 Gran Tesoriere, a ristabilire le sorti finanziarie della Massoneria.
L’entusiasmo per la fine del potere temporale dei papi e per la conquistata unità del Paese fu particolarmente evidente fra i massoni e la Massoneria considerò la soluzione della questione romana come uno dei suoi successi: su 540 Deputati 300 erano massoni di fatto o per comunanza di pensiero e tutti avevano assunto posizioni favorevoli per una radicale soluzione del problema romano.
Ed eccoci giunti ad un punto cruciale della nostra riflessione.
Il periodo post-unitario è testimone di molte tensioni interne alla Massoneria. Tensioni dovute in alcuni casi all’eccessivo impegno politico della Massoneria (con i conseguenti riflessi interni delle differenti posizioni esterne), altre al carattere laicista e anticlericale di molte manifestazioni interne ed esterne alla vita delle logge, che creavano disagio in chi rivendicava alla Massoneria il carattere dell’antica provenienza iniziatica.
Così, se prima dell’Unità e fino al 1805, la mancanza di un punto di riferimento, quale il Grande Oriente d’Italia, aveva reso la vita della Massoneria in Italia esposta, in particolare, alle pressioni delle “famiglie” inglese, francese e austriaca, dopo l’unificazione nazionale l’eccessiva contiguità tra lavoro delle officine e lavoro profano (politico e sociale) l’aveva portata sulla via di lacerazioni interne e della divisione.
La contiguità tra Massoneria e politica della nuova classe dirigente liberale, giunta al potere con l’unità del Paese, pur scontando tensioni interne alla “Famiglia” non venne mai meno anche quando, con l’entrata sulla scena elettorale di classi nuove e di un elettorato sempre più ampio, i liberali si trovarono costretti prima ad appoggiarsi ai socialisti ed ai repubblicani (come dimostra l’esperienza di molte giunte bloccarde) e poi, sia pure tra molti travagli, a spostare l’asse delle alleanze verso i cattolici.
Il rapporto con i cattolici, con la Chiesa e più in generale con le religioni fu, negli anni a venire, sempre più incisivo per la vita interna dell’istituzione, fino ad essere causa scatenante, anche se non la sola, della più importante scissione subita dalla Massoneria italiana, quella che diede origine, nel 1908, all’Obbedienza di Piazza del Gesù.
La scissione che porterà alla nascita dell’Obbedienza che poi fu detta di Piazza del Gesù non fu estranea alla nuova temperie culturale che si andava affermando.
La crisi fu l’effetto di più fattori concomitanti. Vi fu in primo luogo un fattore politico, determinato dalle tensioni interne alle forze politiche, rimbalzate all’interno di logge i cui lavori spesso si occupavano delle vicende del Paese. A questo si aggiunse, come sua conseguenza diretta, la rivendicazione di un ritorno alla tradizione.
Si fece largo tra i Fratelli l’esigenza, indotta anche dai nuovi orientamenti culturali generali, di un recupero della tradizione iniziatica nei lavori di loggia, con la conseguente messa in secondo piano dell’interesse politico.
La politica veniva incalzata dalla tradizione.
Di riti, di simboli, di correnti esoteriche, nel dibattito massonico si era persa la memoria. La valenza e la portata delle nuove esigenze non furono sufficientemente capite dal Grande Oriente, ancora impegnato a discutere gli orientamenti politici ai quali erano tenuti i Fratelli impegnati nei partiti, nelle associazioni, in Parlamento e teso alla promozione della coalizione organica tra tutti i partiti democratici e progressisti, compresi i socialisti, per la conquista e la gestione del potere pubblico al fine di realizzare quel governo di popolo al quale faceva riferimento il Gran Maestro Ferrari.
L’occasione, la goccia che fece traboccare il vaso, nella fattispecie, fu la proposta di legge presentata da Leonida Bissolati per l’abolizione dell’istruzione religiosa nelle scuole elementari.
L’iniziativa di Bissolati non ebbe successo e fu respinta alla Camera il 27 febbraio del 1908.
L’impegno del Grande Oriente a sostegno dell’ipotesi Bissolati creò il fatto scatenante della scissione, ma non è da considerare secondario, come motivo del divorzio di una parte dei “fratelli” dal Grande Oriente, anche il fallimento del tentativo di fondere il Rito scozzese antico e accettato con il Rito simbolico. Nel 1907, infatti, per 4 mesi, il Supremo consiglio della Massoneria discusse su tale argomento, acquisendo l’assenso del Rito simbolico, ma non quello del Rito scozzese.
Il Sovrano Gran Commendatore Ballori, a seguito del diniego all’unificazione, più per ragioni di forma che di sostanza, com’egli stesso ebbe a dire, si dimise e a reggere le sorti del Rito toccò a Saverio Fera, suo Luogotenente. Allorquando il Grande Oriente fu investito della questione Bissolati e, in particolare, della richiesta di prendere provvedimenti nei confronti dei Fratelli che avevano trasgredito la linea di palazzo Giustiniani, votando in Parlamento contro la mozione, la Famiglia si spaccò.
La discussione vide i “fratelli” del 33° grado, capeggiati dal pastore protestante Saverio Fera (Luogotenente Sovrano Gran Commendatore), contrari alla mozione proposta dalla maggioranza guidata da Ballori, all’epoca Sovrano Gran Commendatore dimissionario a causa, come s’è detto, delle difformità di opinioni sulla questione dei riti.
Il 26 giugno del 1908 Saverio Fera, di fronte alla messa in stato d’accusa di quei massoni che avevano votato contro la mozione di Bissolati, seguito da 21 Fratelli del 33° grado del Rito scozzese e da 2 delle 66 Camere Superiori diede vita alla Gran Loggia d’Italia, in via Ulpiana.
Si ebbero così due Supremi Consigli di RSAA, con sede a Roma: uno del Grande Oriente d’Italia, che riconosceva la Serenissima Gran Loggia del Rito simbolico italiano, presieduta da Adolfo Engel di Treviglio (Bergamo) e uno della Gran Loggia d’Italia, detta Massoneria di piazza del Gesù dal nome della seconda sede dopo il trasferimento da via Ulpiana.
Il Rito Scozzese finisce in una bufera
Nel 1900 il Supremo Consiglio, rappresentato dal Fratello Blanc, assiste al “Congresso dello Scozzesismo” tenuto a Parigi.
Il 23 maggio 1906 muore il Sovrano Gran Commendatore Adriano Lemmi e gli subentra il Luogotenente Achille Ballori, che viene confermato nella carica di Sovrano Gran Commendatore il 22 marzo del 1908, mentre Luogotenente Sovrano Gran Commendatore viene eletto Saverio Fera, che con questo titolo aveva già rappresentato il Supremo Consiglio d’Italia alla Conferenza internazionale di Bruxelles il 10 giugno del 1907.
Achille Ballori, dimissionario, viene sostituito ad interim da Saverio Fera. La vicenda Bissolati, diventa motivo di frattura e Saverio Fera, in via Ulpiana 11 a Roma, costituisce il Supremo Consiglio d’Italia, che riuscirà a far riconoscere come regolare nella “Conferenza dei Supremi Consigli Confederati” tenutasi a Washington.
Saverio Fera, con una balaustra inviata alle Potenze straniere il 20 maggio 1912, conservata negli archivi del Supremo Consiglio di Francia, accusò il Grande Oriente d’Italia di aver ridotto la Massoneria ad essere un partito politico, una setta di ateismo; di imporre ai massoni che hanno funzioni politiche i voti che devono emettere; di immischiarsi nel funzionamento del Supremo Consiglio; di perseguire l’unificazione dei riti della Massoneria italiana.
La nuova Obbedienza fondata da Fera, scaturita da una scissione nel Rito, non ebbe per due anni un Ordine, finché il 21 marzo del 1910 procedette alla fondazione della “Serenissima Gran Loggia d’Italia” assumendone la Gran Maestranza.
Fermiamoci qui.
Come si può ben vedere, gli attuali fermenti, con abbandoni, scissioni, richieste di legittimazioni straniere non sono una novità, ma rivelano una logica di sudditanza della Massoneria italiana che vive un perenne complesso di inferiorità e soggiace alla colonizzazione inglese e, in parte francese.
Sarebbe ora che la Massoneria italiana diventi adulta, si legittimi da sé e stabilisca rapporti con le altre istituzioni massoniche mondiali rivendicando la propria regolarità come portato della Tradizione.
[i] Jan Assmann, La memoria culturale, Biblioteca Einaudi
[ii] Jan Assmann, La memoria culturale, Biblioteca Einaudi
[iii] Jan Assmann, La memoria culturale, Biblioteca Einaudi
[iv] Franco Della Peruta, introduzione a: Luigi Polo Friz, La Massoneria italiana nel decennio post unitario – Ludovico Frapolli Franco Angeli Editore
[v] Vedi Luigi Polo Friz, op. cit.
[vi] Vedi Luigi Polo Friz, op. cit
[vii] Vedi Luigi Polo Friz, op. cit.







