Usa e Qatar hanno avvertito senza mezzi termini: o cambiate indirizzo sul green o vi chiudiamo il rubinetto del gas.
Mangiare la minestra o saltare la finestra.
E così il Parlamento europeo ha mangiato la minestra che però è un salto fuori dalla finestra senza sapere a quanti piani sia la finestra e come finirà la caduta.
Rimane il fatto che l’Unione Europea è davvero alla canna del gas.
Scene di giubilo e caos in aula dopo che il Parlamento europeo con 318 voti contrari, 309 sì, 34 astenuti, ha bocciato il mandato negoziale sulla proposta della Commissione Ue relativa ai testi sugli obblighi di rendicontazione della sostenibilità e alla due diligence per le aziende europee.
Di fatto l'Aula ha bocciato l'accordo raggiunto a margine della prima plenaria di ottobre in commissione tra Socialisti, Renew e Ppe, per rendere meno ambiziosi gli obblighi aziendali inizialmente previsti nel testo in materia di sostenibilità ambientale e sociale. Ora dibattito e voto sul testo alla prossima plenaria.
Gli obblighi di rendicontazione di sostenibilità, introdotti in Italia con il D. Lgs. 125/2024 che recepisce la direttiva europea CSRD, rendono obbligatoria per molte aziende la pubblicazione di un bilancio di sostenibilità (o report ESG) che comunichi in modo trasparente e affidabile le proprie performance ambientali, sociali e di governance (ESG) secondo gli standard ESRS. L'obbligo si applica progressivamente a partire dalle grandi imprese e dalle quotate, con scadenze differite anche per PMI e imprese di Paesi terzi, in base a soglie dimensionali specifiche.
Cosa sono e a cosa servono.
Rendicontazione di sostenibilità: un processo che misura, monitora e comunica le performance non finanziarie di un'organizzazione, dimostrando coerenza tra dichiarazioni e azioni.
Bilancio di sostenibilità (o report ESG): il documento che integra indicatori ambientali (E), sociali (S) e di governance (G) nella rendicontazione aziendale, fornendo una visione completa delle performance oltre i dati finanziari.
Obiettivo: aumentare trasparenza, affidabilità e comparabilità delle informazioni ESG, agevolando l'accesso ai capitali e rafforzando la fiducia degli stakeholder.
Chi è obbligato e quando:
La CSRD introduce un'applicazione graduale basata sulla dimensione e tipologia dell'azienda:
Dal 2024 (esercizi fiscali 2023): Grandi imprese già soggette alla precedente direttiva NFRD (con oltre 500 dipendenti e determinate soglie di stato patrimoniale/ricavi).
Dal 2025 (esercizi fiscali 2024):
Grandi imprese (anche non quotate) che superano almeno due dei seguenti limiti: Stato Patrimoniale € 25M, Ricavi € 50M, 250 dipendenti.
Enti di Interesse Pubblico (EIP).
Dal 2026 (esercizi fiscali 2025): PMI quotate (con possibilità di posticipare al 2028) e specifiche PMI, istituti di credito e assicurazioni.
Dal 2028 (esercizi fiscali 2027): Imprese di Paesi terzi che generano ricavi nell'UE sopra una certa soglia.
Cosa prevedono gli standard:
La rendicontazione deve basarsi sugli European Sustainability Reporting Standards (ESRS).
Si applica il principio della doppia materialità: l'azienda deve descrivere sia l'impatto delle proprie attività sull'ambiente e la società (materialità d'impatto), sia come le questioni di sostenibilità influenzano i propri risultati finanziari (materialità finanziaria).
Scadenze chiave:
2024: Prime grandi imprese rendono i dati 2023.
2025: Ulteriori grandi imprese.
2026/2028: PMI quotate e PMI in generale.
Con un voto segreto, la maggioranza ha respinto il mandato negoziale che era stato faticosamente concordato in commissione solo due settimane fa.
Una manciata di nove voti ha fatto saltare il banco, bloccando l’avvio dei negoziati finali tra le istituzioni UE (il cosiddetto “trilogo”) previsto per venerdì.
Ora, tutto è rimandato e dovrà essere riesaminato nella plenaria del 13 novembre, dove i parlamentari, questa volta a voto palese, dovranno ripresentare le proprie posizioni.
La giornata parlamentare europea segna una pesante sconfitta politica per il Partito Popolare Europeo (PPE), il gruppo di centro-destra che guida il dossier. Il PPE aveva spinto con forza per un accordo, cercando di imporre le proprie condizioni ai partner di maggioranza, i Socialisti e Democratici (S&D) e i liberali di Renew. Ma il castello è crollato.
A chiedere lo scrutinio segreto è stata la Destra e i Sovransti. Sapevano che il compromesso negoziato dal PPE era insoddisfacente per loro, ma anche, e qui sta la finezza politica, per molti Socialisti. Il PPE aveva imposto una mezza soluzione che non risolveva il problema burocratico.
Si è così creato un “fronte del no” tanto eterogeneo quanto efficace. I Verdi (Greens) hanno votato contro perché ritenevano l’accordo troppo debole e un “ricatto” del PPE che indeboliva il quadro della sostenibilità europea. ECR, più centrista, si è spaccato, con i polacchi contrari e gli italiani a favore, allineati sul PPE. PfE e gli altri han votato contro perché ritengono normative sulla sostenibilità e sulla Due Diligence qualcosa da eliminare, non da “semplificare”. I Socialisti (S&D), ufficialmente a favore dell’accordo, molti di loro hanno quasi certamente usato il segreto dell’urna per bocciare un testo. Dopotutto, questa parte politica si è impegnata quasi fino al “suicidio industriale” europeo su queste norme, e ora fatica a giustificare un passo indietro imposto dal PPE.







