Un vero politico, Bruno Boni, sindaco trentennale di Brescia, del quale mi onoro di essere stato amico, (ci siamo dati del lei anche se ci siamo incontrati per anni a pranzo una volta alla settimana) mi diceva: “Si ricordi, la furbizia è il cascame dell’intelligenza”. Grande uomo, anima eccelsa.
Era il tempo nel quale due persone, che non erano esattamente delle stesse idee politiche, si rispettavano e potevano essere veri amici. Lo ricordo come un grande, non solo politico, ma saggio. Poteva essere ministro di qualsiasi governo democristiano, ma è rimasto a Brescia, legato al suo popolo. Potrei raccontare mille episodi di come può instaurarsi un vero rapporto tra un uomo politico e la sua città. Era amico di Emanuele Severino, l’unico filosofo vero del Novecento e di Benedetti Michelangeli, un genio della musica, ma rimaneva uomo del popolo, con grande onore di esserlo. Forse un giorno, se il tempo me lo consentirà, metterò per iscritto l’uomo, il maestro, il politico, l’anima di una città. Così come l’ho vissuto.
Ecco, oggi la furbizia, cascame dell’intelligenza, domina la politica europea.
In questi giorni le cronache ci consegnano la dimostrazione che la furbizia è il cascame dell’intelligenza.
Zelensky chiede all’Europa le armi che non riceve da Trump e, guarda caso, riscoppia come un temporale, in questo caso prevedibilissimo, il dibattito sulla governance europea, con l’accento sulla necessità dei soliti pacifinti, di eliminare l’unanimità prevista dai trattati. La scusa è che togliendo l’unanimità si può fare in modo che l’Europa governi gli stati, ossia che un burosauro al servizio della finanza globalista e delle monarchie neo colonialiste domini gli Stati aderenti.
Premesso che questo mostro burocratico che abita a Bruxelles è meglio non governi gli Stati, avendo già dato dimostrazione dei guai che sa mettere in atto, va detto che i Trattati consentono già per molte materie (ambiente, energia, trasporti, commercio, ecc.) le decisioni sono prese a maggioranza, mentre il Trattato dell’Unione (art.31) stabilisce che sulla politica estera e sulla sicurezza comune, oltre che sulla fiscalità, sull’adesione di un nuovo membro e sulle modifiche dei Trattati è necessario il voto unanime.
Va ricordato che il Consiglio europeo è composto dai capi di Stato o di Governo dei Paesi membri e dal Presidente del Consiglio.
Unanimità che non c’è e, pertanto l’agitazione, è del tutto inutile, ma rende evidente il nervosismo di chi vorrebbe cambiare le regole del gioco, in quanto si sente escluso dal gioco.
Giorgia Meloni che ha portato in Parlamento la questione, ha detto no alla revisione dei Trattati e, avendo ricevuto un assenso del parlamento italiano è chiaro che l’Italia, nonostante il parere difforme di Enrico Letta, Mario Draghi, Romano Prodi, Sergio Mattarella, non aderirà a qualsiasi tentativo di cambiare le regole del gioco.
E qui arriva la tempistica a far capire cosa c’è in ballo.
Gli Stati Uniti, secondo quanto afferma il capo dell'ufficio presidenziale ucraino, l’onnipresente Yermak, hanno confermato che Trump ha dato il via libera al trasferimento dei sistemi di difesa aerea Patriot a Kiev. Dal Consiglio europeo di Bruxelles, Zelensky ha ribadito che il dialogo con Washington sui missili Tomahawk «resta aperto» ed escluso qualsiasi concessione territoriale. «Era impensabile ottenere certe sanzioni energetiche, eppure oggi sono realtà. Accadrà lo stesso con i Tomahawk», ha detto, chiedendoli all'Ue e spiegando che «anche alcuni Paesi europei li hanno», per poi sottolineare che Kiev non ha mai usato armi americane a lungo raggio contro la Russia, mentre Mosca «uccide civili e bambini».
Subito Londra, che tira le fila delle strategie che si differenziano (eufemismo) da quelle di Tramp (le monarchie colonialiste non mollano), ha convocato la riunione dei Volonterosi. Zelensky ha chiesto ai volenterosi di "ricordare che le questioni relative all'integrità territoriale e qualsiasi presunto scambio di territori non devono premiare l'aggressore, né incoraggiare future aggressioni". Non si mostra quindi disponibili a lasciare alla Russia i territori che vorrebbe.
È importante, ha aggiunto Zelensky, non dare a Mosca "alcun motivo di pensare di poter concludere questa guerra con un risultato ingiusto nei nostri confronti". Solo una soluzione "forte ed equa" potrà funzionare. Zelensky sul punto ha trovato l'appoggio di Starmer, che ha definito le richieste di Putin sui territori dell'Ucraina "ridicole".
Perfetta intesa, ovviamente tra Londra e Zelensky, che, come si può ben comprendere, agisce in subordinata sintonia con i suggerimenti della Gran Bretagna.
L’Inghilterra sorprende sempre. Come riporta Insider Over il 13 Ottobre 2025, un’inchiesta del Guardian ha gettato “nuove ombre sulla figura dell’ex premier britannico Boris Johnson, uno dei più ferventi sostenitori dell’Ucraina in Occidente. Nel settembre 2023, racconta il quotidiano britannico, Johnson ha intrapreso uno dei suoi viaggi in Ucraina: era accompagnato, tra gli altri, da Christopher Harborne, l’uomo che gli aveva precedentemente donato 1 milione di sterline, la più grande donazione mai ricevuta da un singolo parlamentare britannico.
Ma cosa c’entra l’uomo d’affari con Kiev? Harborne è il principale azionista di un’azienda britannica di armamenti che fornisce droni all’esercito ucraino. “I file trapelati – osserva il Guardian – sollevano interrogativi sul fatto che, anche in questo caso, Boris Johnson abbia confuso i confini tra servizio pubblico e guadagno personale”.
Ovviamente Londra è favorevole a fornire armi, anzi spinge, per fornire all'Ucraina armi a lungo raggio, con questo volendo innalzare il livello del confronto fino a provocare non la resa della Russia, che appare impossibile, ma qualche risposta che vada nella direzione di una guerra mondiale.
A dare una calmata ai bollenti spiriti della guerriera Inghilterra di Starmer, il cui partito perde voti ad ogni prova elettorale parziale, ci ha pensato la presidente del Consiglio, nel corso del suo intervento, alla riunione dei volonterosi. Giorgia Meloni "ha ribadito l'importanza dell'unità tra le due sponde dell'Atlantico nel perseguire un cessate il fuoco da cui venga avviato un credibile percorso negoziale che prenda le mosse dall'attuale linea di contatto con l'obiettivo di raggiungere una pace giusta e duratura".
Una doccia fredda a Starmer è arrivata anche dal segretario generale della Nato, Mark Rutte, il quale ha detto che spetta ai singoli Paesi membri della Nato decidere quali armi fornire all'Ucraina.
Dallo scorso luglio, gli Stati Uniti hanno fornito all'Ucraina armi di importanza fondamentale; quanto alla possibilità di inviare a Kiev dei missili Tomahawk, "la questione – ha aggiunto Rutte- è ancora all'esame del Presidente (Donald Trump) e, naturalmente, spetta agli Stati Uniti decidere".
Gli Stati Uniti hanno già detto che possono dare dei patriot, ma non dei Tomahawk, perché non hanno alcuna intenzione di alzare il livello dello scontro.
Non a caso, ecco di nuovo la tempistica. Mentre Londra esce allo scoperto, avendo interpretato con Zelensky al seguito, le sanzioni di Trump sul petrolio come un cambio di rotta nei confronti di Putin, lo zar russo manda a Miami Kirill Dmitriev, direttore del Fondo per gli investimenti diretti di Mosca e dal 2025 omologo russo di Steve Witkoff. I due s’incontreranno oggi a Miami, nel tentativo di ricostruire il dialogo tra il Cremlino e Washington dopo la decisione di Trump di sanzionare i colossi petroliferi russi Lukoil e Rosneft.
Putin ha definito le sanzioni un atto ostile, pur minimizzandone l’impatto e ha accusato Washington di allinearsi “alla folle Europa”, minacciando risposte “scioccanti” qualora Trump desse a Kiev l’ok per utilizzare i missili Tomahawk.
La risposta scioccante vale anche per gli europei.
Dmitriev è a capo del Russian Direct Investment Fund (RDIF) dal 2011 e nel 2025 è stato nominato inviato speciale del presidente Putin per la cooperazione economica e gli investimenti internazionali.
Nato a Kiev, formato in fisica e matematica e poi negli Stati Uniti (tra Stanford e Harvard), ha lavorato in Goldman Sachs e McKinsey prima di affermarsi come figura chiave dell’élite economica russa. Parla correntemente inglese ed è visto come uno dei membri più vicini all’universo americano del circolo di potere russo.
Nei mesi scorsi Dmitriev ha promosso iniziative volte a riavvicinare Mosca e partner stranieri tramite progetti economici: dall’attrazione di investimenti per lo sviluppo artico a proposte infrastrutturali di grande impatto simbolico ed economico. Ad ottobre è emersa su sua iniziativa la proposta di un tunnel ferroviario sotto lo stretto di Bering per collegare i due Paesi l’Alaska e la Chukotka.
Nel frattempo, a dimostrazione che l’Europa conta come il due di coppe, il Consiglio Europeo non ha preso una decisione sull'ipotesi di utilizzare gli asset russi congelati per finanziare il prestito per il sostegno all'Ucraina, ma non ha neanche menzionato questa proposta specifica nelle sue conclusioni a 26.
Oltre all'Ungheria, contraria, quasi tutti i Paesi (Italia inclusa) avevano infatti sollevato perplessità su un meccanismo che presenta notevoli complessità e rischi.
Il Belgio, come ormai fa da tempo, continua a chiedere la garanzia della "mutualizzazione integrale dei rischi". È proprio questo Paese, infatti, che custodisce, con la finanziaria Euroclear, il 90% degli asset russi congelati, per una cifra di 180-185 miliardi. I restanti sono divisi, in parti molto più piccole, tra Svizzera, Regno Unito, Francia, Germania, Usa, Giappone.
Il primo ministro belga Bart De Weaver teme che in caso di contenziosi il suo Paese si troverebbe a dover ripagare questa cifra monstre, visto anche che esiste ed è in vigore un accordo bilaterale russo-belga di protezione degli investimenti (che rende possibile un arbitrato internazionale) e che ci sono già, per questo, cause pendenti su Euroclear, che ha a sua volta asset in Russia - in misura molto minore, circa un decimo - che potrebbero essere "ostaggio" in una battaglia legale. Peraltro la garanzia che chiede il Belgio dovrebbe essere estesa anche nel tempo, ben oltre i 2-3 anni che dovrebbero servire per l'erogazione dei finanziamenti all'Ucraina. Un quadro che allarma un po' tutti i Paesi e infatti alla fine la decisione è stata non decidere.
"Il Consiglio europeo - si legge nel paragrafo 8 delle conclusioni - si impegna a far fronte alle urgenti esigenze finanziarie dell'Ucraina per il periodo 2026-2027, anche per i suoi sforzi militari e di difesa". In quest'ottica, "il Consiglio europeo invita la Commissione a presentare, il prima possibile, opzioni di sostegno finanziario basate su una valutazione delle esigenze di finanziamento dell'Ucraina e invita la Commissione e il Consiglio a proseguire i lavori, affinché il Consiglio europeo possa tornare sulla questione nella sua prossima riunione". Per quanto riguarda gli asset, nel documento si ribadisce solo che "nel rispetto del diritto dell'Ue, i beni della Russia dovrebbero rimanere immobilizzati finché la Russia non cesserà la sua guerra di aggressione contro l'Ucraina e non la risarcirà per i danni causati dalla sua guerra".
Il "forte impegno" a sostenere l'Ucraina nelle sue esigenze finanziarie, viene sottolineato a Bruxelles, è di fondamentale importanza, e nelle conclusioni c'è una menzione specifica al sostegno alle sue esigenze di difesa e militari. Il Consiglio, inoltre, conferisce un mandato alla Commissione, chiedendole di presentare "opzioni" il prima possibile, ampliando così lo spettro delle possibili soluzioni. Viene inoltre avviato un processo decisionale, con una nuova discussione a dicembre.
Sintesi: chiacchiere.
Come al solito, la strategia di Trump fa uscire allo scoperto i furbi e la furbizia è il cascame dell’intelligenza.







