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USA-UE FACCIAMO IL PUNTO CON IL PUZZLE

USA-UE FACCIAMO IL PUNTO CON IL PUZZLE

Per capire a quale livello sia arrivato lo scontro tra gli Usa di Donald Trump con i suoi alleati e la ciurma in ritirata che associa i neocon e alle famiglie monarchiche neo coloniali europee che stanno dietro alla finanza globalista, è necessario mettere assieme le tesserine del puzzle per far uscire, per quanto possibile, il quadro d’insieme.

Possiamo partire dai fatti di casa nostra, per poi allargare i collegamenti al quadro d’insieme.

Maurizio Landini dice che Giorgia Meloni è la cortigiana di Donald Trump. Il concetto è chiaro: l’Italia governata dal centro destra è al servizio meretricio dell’odiatissimo presidente degli Stati Uniti. Landini esprime il concetto con il veleno del quale è capace il progressismo.

La realtà è che nello scontro ormai senza esclusione di colpi tra Usa e Vecchio Continente, l’Italia, guidata da Giorgia Meloni, è un alleato di ferro, in quanto affidabile, di Donald Trump, così come lo è l’Ungheria di Viktor Orban, scelta, non a caso per il prossimo vertice tra Trump e Putin.

Negli Usa, basta scorrere X, impazzano i video su Giorgia Meloni e su Andrea Bocelli che nello Studio Ovale della Casa Bianca canta “Con te partirò” alla presenza di Donald Trump, il quale, per sentire il tenore italiano, fa aspettare Volodymyr Zelensky.

Anticamera, quella di Zelensky, che ripete quella riservata a Ursula Gertrud Albrecht sposata Von der Leyen in Scozia, quando Trump doveva finire la sua partita a golf. Anticamera che è riservata ai vassalli o agli amici altrui, attualmente questuanti.

I segnali sono chiari. Giorgia Meloni vede il suo libro pubblicato in America e in India, con prefazione di Modi e post fazione del figlio di Trump.

Sintesi: Giorgia Meloni è alleato sicuro in Europa, in Africa, in Medio Oriente e nel quadro della via del Cotone che potrebbe realizzarsi dopo il riconoscimento di Israele da parte dell’Arabia Saudita.

L’Italia, con il suo Piano Mattei, si pone come il maggiore protagonista del fianco sud della NATO, oggi più che mai strategico.

Rubo una battuta all’amico Pietro Imberti: “Giorgia Meloni sta superando in affidabilità Bettino Craxi”. Farà venire i vermi a qualcuno, ma è la realtà.

Sul fianco est il maggiore alleato Usa diventa l’Ungheria di Viktor Orban, in una logica non conflittuale con la Russia.

Sul fianco nord funziona il gioco cinese del Go.

I neocon e le famiglie monarchiche europee, con al loro servizio la finanza degli ebrei passati al servizio di Mammona (leggere” Il filantropo” di Vladimir Sergeevič Solov'ëv ), hanno spinto, grazie alla complicità dei Dem Usa, per accerchiare la Russia inglobando progressivamente Paesi ex Patto di Varsavia nella Nato e i Paesi baltici, facendo del Baltico un lago Nato. Ora Putin e Trump, guardando all’Artico, accerchiano il lago Nato e lo inglobano in un quadro più ampio, il cui segno riguardante il futuro è il tunnel ferroviario tra Russia e Alaska.

 Tunnel alaska

L'inviato presidenziale russo per gli affari economici Kirill Dmitriev ha dichiarato che Mosca e Washington hanno avviato discussioni sulla costruzione di un tunnel sotto lo stretto di Bering per collegare i due paesi. "Iniziano le discussioni sul tunnel", ha detto venerdi scorso su X Dmitriev, che è anche a capo del Fondo russo per gli investimenti diretti (RDIF).

Donald Trump ha dichiarato venerdì alla Casa Bianca, nell’incontro con Volodymyr Zelenskyy, di trovare "interessante" il progetto di costruire un tunnel sotto lo stretto di Bering, che collegherebbe Russia e Stati Uniti tramite il trasporto ferroviario.

Dmitriev ha affermato che la costruzione di un tunnel moderno può richiedere meno di otto anni e il costo ammonterà a meno di 8 miliardi di dollari, grazie alle tecnologie di The Boring Company di proprietà del miliardario americano Elon Musk, che è significativamente inferiore alle stime tradizionali di 65 miliardi di dollari.

Dmitriev ha definito il progetto "Tunnel Putin-Trump" e ne ha sottolineato il potenziale per lo sviluppo congiunto delle risorse, la creazione di posti di lavoro e la crescita economica.

L'idea di un tunnel lungo 100 chilometri sotto lo Stretto di Bering, sottolinea l’Agenzia Tass, è in discussione da decenni e potrebbe sbloccare l'esplorazione congiunta delle risorse naturali.

Artico è uguale a risorse immense e vie commerciali da attivare e controllare.

Nel frattempo negli Usa Ted Cruz ha presentato una proposta di legge per impedire a persone come George Soros di finanziare raduni come quello di No Kings, trattato come un crimine Rico, quindi il Dipartimento di Giustizia potrà congelare i loro conti bancari.

Presidente del Comitato del Senato sul Commercio, Scienza e Trasporti (Senate Committee on Commerce, Science, and Transportation), dal 2025 Cruz presiede questo comitato chiave, che si occupa di politiche relative a trasporti, telecomunicazioni, commercio, scienza e tecnologia, inclusi temi come l'IA, le infrastrutture e la regolamentazione del settore tech.

L’obiettivo evidente è colpire e affondare George Soros e le sue attività, collegate con i Dem, con i neocon, con gli interessi delle monarchie neo colonialiste europee. Dopo che gli Antifa sono stati dichiarati terroristi, a chi li ha finanziati si applica la legge sulla criminalità organizzata.

Mettere Soros e le sue attività nel mirino significa smontare gran parte della rete neocon e neocolonialista del globalismo finanziario, con il correlato delle ideologie green, woke, gender e idiozie varie.

Negli Usa i Dem si sono già arresi con le dichiarazioni di Hillary Clinton e di Joe Biden sulla pace di Trump nel Medio Oriente. Resiste la Pelosi, paradigma del veleno neocon, ma è prossima ad accuse pesanti, così come Barack Obama, ormai intrappolato per aver orchestrato il Russiagate.

E con la resa de Dem e la fine di Soros si arriva direttamente alla questione della guerra in Ucraina.

Donal Trump, stando a quanto riportano i media Usa, avrebbe detto a Zelensky, trattato ancora una volta piuttosto male, che deve cedere il Donestsk a Putin, in cambio dalla restituzione di parti delle  zone di Kerson e di Zaporizhzhia e di farla finita. L’alternativa è stare con gli inglesi, i volonterosi e i baltici e la distruzione dell’Ucraina.

Cosa ha a che fare sorso con tutto questo? Ecco un tassello fondamentale per capire il disegno.

Il tassello fondamentale si chiama Victoria Nuland, con la quale George Soros ha organizzato il colpo di Stato di Maidan nel 2014, attivando il conflitto nel Donbass.

Victoria Nuland, democratica, e George Soros hanno organizzato la rivolta arancione di Maidan.

Subito dopo Maidan, la Russia reagì militarmente per consolidare il controllo sulla Crimea, una penisola strategicamente vitale per la sua flotta nel Mar Nero (base di Sebastopoli).

L'annessione della Crimea ispirò insurrezioni filorusse nel Donbass (regioni di Donetsk e Luhansk, industrializzate e russofone), dove proteste anti-Maidan sfociarono in guerra ibrida. Nell’aprile 2014 separatisti occupano edifici pubblici a Donetsk e Luhansk, proclamando le due regioni "repubbliche popolari" indipendenti (DPR e LPR).

Ne conseguirono i cosiddetti accordi di Minsk I (settembre 2014) e Minsk II (febbraio 2015), che prevedevano il cessate il fuoco, il ritiro armi e l’autonomia per il Donbass. Non sono mai stati attuati.

Angela Merkel, parlando a Budapest, recentemente ha attribuito il fallimento degli accordi con la Russia ai Paesi Baltici e alla Polonia.

Se Zelensky accettasse la proposta che sembra essergli stata suggerita da Trump, si cancellerebbe di colpo tutto quanto è avvenuto dal 2014 in poi, con l’evidente sconfitta non tanto dell’Ucraina ma degli inglesi, che in questi anni assieme ai Dem Usa hanno guidato la logica dell’accerchiamento della Russia e della sua riduzione a potenza regionale se, non addirittura, a Paese smembrato in tanti staterelli da consegnare alle mire della finanza globalista.

Il veleno progressista è il prodotto del veleno neocon e neo colonialista e deriva dalla sconfitta in atto.

Veniamo ad altre tesserine del puzzle. I Rotschild, da sempre al servizio delle case regnanti, tutte, anche quando stavano su opposti fronti di guerra, sono oggi sconfitti in Francia e in Inghilterra.

In Francia il loro pupillo Emmanuel Macron è alla canna del gas e sta in piedi per miracolo, ma non si sa bene fino a quando.

In Inghilterra il premier Starmer, laburista, fabiano, è sotto attacco continuo con Farage che è ormai arrivato oltre il 30 per cento di voti nei sondaggi e con Re Carlo III che va dal Papa essendo capo di una Chiesa anglicana spaccata, con una gran parte resasi autonoma e lontana dalla legittimazione di Canterbury. La conseguenza è una perdita enorme di potere geopolitico di un regnante che sta diventando l’emblema della fine del predominio del Regno Unito sul Vecchio Continente (e non solo).  

In Medio Oriente l’Unione Europea è totalmente fuori gioco, come si è ben visto a Sharm el-Sheikh e se continuerà a giocare al riarmo e a sostenere la guerra fino all’ultimo ucraino, assieme agli inglesi, finirà con il suicidarsi, ammesso che non si sia già suicidata.

Se si mettono assieme i tasselli, il puzzle ci restituisce la Pax trumpiana.

Al tempo dell’impero romano, Seneca (De providentia IV, 14) introdusse il concetto di Pax romana, poi divenuta usuale per indicare quello della dominazione romana sul mondo intesa come garanzia di universale pace e concordia.

Oggi il mondo sta entrando nella fase della Pax trumpiana, con l’accordo di Putin, degli Stati arabi e, sullo sfondo, anche della Cina, che non ha alcun interesse a confliggere vedendosi bloccati i mercati esteri quando non è ancora in grado di espandere quello interno. Inoltre in Cina è in atto un duro scontro tra Xi e l’esercito. Pochi giorni fa il ministero della Difesa ha annunciato che il generale He Weidong, il numero tre nella catena di comando e il numero due per gerarchia militare, è stato estromesso da ogni funzione ed espulso dal Partito comunista e dall'esercito. È il più alto ufficiale in servizio attivo a finire nella rete dell'anticorruzione di Xi, promotore più di 10 anni fa di una campagna moralizzatrice e contro la slealtà, sempre più mirata dal 2023 alla leadership dell'Esercito popolare di Liberazione.

La rimozione di He, 68 anni, è la prima a carico di un generale in carica come vicepresidente nella Commissione militare centrale, l'organo di controllo dei militari cinesi presieduto da Xi come commander-in-chief, dai tempi della Rivoluzione Culturale del 1966-76. Insieme a lui, sono stati epurati ed espulsi altri otto comandanti di alto rango, incluso Miao Hua, il massimo ufficiale politico dell'esercito, anche lui componente della Cmc. Tutti sono accusati di "gravi violazioni della disciplina del Partito e sospettati di gravi reati legati all'esercizio dei loro doveri, coinvolgendo una quantità di denaro estremamente elevata".

Come si vede la Cina, in questo momento, ha altro da pensare che a Kiev.

Per Zelensky si aprono due strade. La prima è quella di stare con Trump, accettare la mediazione e chiudere la partita, salvando l’Ucraina e la sua pelle, non la sua leadership, perché a pace fatta il suo ingaggio può dirsi finito con il ben servito. La seconda è quella di ascoltare gli inglesi, Kaja Kallas, Ursula Gertrud Albrecht sposata Von der Leyen e compagnia cantante e tirare dritto fino all’ultimo ucraino, con la prospettiva sicura di perdere la guerra, di perdere l’Ucraina e forse anche di perdere la pelle.

Per decidere da che parte stare ci sono pochi giorni, perché la partita ormai è giunta all’ultimo giro.

La questione riguarda anche Bruxelles, che deve stabilire se vuole aprire un confronto con gli Usa e prepararsi all’abisso o chiudere la partita delle follie e atterrare nella realtà, mandando a quel paese verdi e socialisti, progressisti e globalisti. Compito, questo, che spetta in primo luogo al Partito popolare europeo che non ha più molto tempo per decidere.

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