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Politica

25 Aprile 2021: 76 anni che festeggiamo la Liberazione, ma ….

25 Aprile 2021: 76 anni che festeggiamo la Liberazione, ma ….

di Vito Schepisi

Anche quest’anno il XXV aprile ci ricorda che la nostra storia ha pagine del passato che abbiamo girato. La storia è così e ci ricorda che niente potrà più essere come prima. Ed ogni anno pensiamo che sia arrivato il tempo d’approfittarne per cambiare tutto e per metterci alle spalle le incrostazioni dei vecchi attrezzi polemici.
Mettiamoci alle spalle anche gli antagonismi di modo, degenerati come in una demenza senile, nel riproporre gli stessi dogmi  ideologici del secolo scorso.
Non serve alimentare odio e intolleranza. Niente sarà più come prima se saremo convinti, come accade per gli eventi più tragici, che la nostra vita meriti d’essere alleggerita dal peso delle discussioni dirompenti sul nulla.
Ciò che non serve non è affatto senza oneri.
La stupidità d’impedire la fluidità del processo democratico e d’impedire il rispetto delle scelte del popolo ha sempre un costo pesante. Si pensi al dilatarsi dei tempi per il completamento delle opere pubbliche, con il costo dei servizi non erogati, piuttosto che alla somma degli sperperi di quelle incompiute, e si pensi alla distruzione della ricchezza, solo per il gusto d’assaporare il gusto della vendetta.
L’Italia, con il personale politico che si contraddice e che si districa nella propria ipocrisia, subisce un processo di progressivo sgretolamento, ed è sorprendente osservare che a far finta di niente, come se non ne avvertisse i rischi, sia la nostra classe dirigente.
Quando il popolo entra nella cabina elettorale non pensa affatto d’entrare in una sala da gioco per fare la sua puntata e affidarsi alla sorte. Fa le sue scelte e ne ha titolo. Perché è questa la democrazia.
In Italia si fa un uso improprio di tutto. Si pensi alla “memoria”.
Se la memoria racchiude le tante pagine della storia che non si possono e non si devono dimenticare, la retorica sulla memoria racchiude, invece, speculazioni, interessi di parte, la voglia d’antagonismo, oltre alla presunzione d’essere migliori degli altri.
E c’è tanta retorica in quella memoria che ha una visione manichea delle cose e che rende come bene ciò che in altro ambito è male. E viceversa.
E se è importante che, anno dopo anno, la memoria abbia il suo spazio nella rievocazione degli episodi che fanno parte del tessuto sociale del Paese, è anche importante che la memoria con occhio severo si soffermi, senza distinzioni ed omissioni, sul ricordo dei crimini e degli orrori e sulla rievocazione degli esempi e dei messaggi da tramandare e trasmettere. Senza partigianerie.
Ché qua le colpe le han tutti. Nessuno ha vinto niente, soprattutto nessuno ha vinto la facoltà di scrivere la storia a suo uso e consumo.
Usare la storia come uno strumento retorico per lanciare segnali di pericolo per ogni episodio della vita sociale e politica diventa un limite alla libertà e alla democrazia. Limita il confronto e di fatto soffoca il pluralismo che è sostanza della democrazia.
La legittimazione o il suo contrario, poi, non è compito della politica - che per definizione è di parte - ma del popolo.
Solo il voto legittima le scelte, le maggioranze ed i governi.
E se si parlasse di legittimazione, non sono legittimati dalla volontà popolare, per primi, i governi che da almeno dieci anni a questa parte abbiamo.
La criminalizzazione del confronto, inoltre, contraddice il senso lessicale della democrazia, ove il dissenso e la diversità di pensiero dovrebbero essere metodo e sostanza d’un sistema di uomini liberi, non pretesto e motivo d’insulto.
La democrazia, quella liberale - che è l’unica che abbia senso - non teme, infine, l’analisi ed il revisionismo storico, né i processi rivoluzionari (burocratici, industriali, sociali). Non teme la cultura delle riforme e né il cambiamento d’un mondo che corre più veloce delle leggi. Non teme, ancora, il riequilibrio degli assetti di potere, in particolare se servissero a dare al popolo maggiori strumenti di indirizzo e di controllo.

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